MISHA
parte tredici
Chiuse gli
occhi è ritornò con la mente a quel terribile giorno, il giorno in cui perse tutto.
Come aveva
fatto a non accorgersi di niente? Ma come avrebbe potuto solo immaginare che
suo fratello, sua sorella e il suo stesso padre lo avrebbero disconosciuto?
Poteva accettarlo da suo fratello e sorella, ma suo padre? Come aveva potuto?
Questo non gli dava tregua, era un dolore che gli era penetrato nel cuore e non
se ne sarebbe mai liberato.
Sua madre,
la regina era morta da poco e il re era devastato dal dolore, aveva chiesto a
lui e suo fratello di portare una missiva vitale ad un personaggio molto
importante. Di solito si serviva di guardie fidate, ma questa volta, spinto
anche dal consiglio di sua figlia, affidò l’incarico ai principi.
I due
fratelli giunsero al castello del lord e furono subito ricevuti. Il lord era un
amico sincero della coppia reale ed era sempre stato un uomo fedele al regno.
Il vecchio
lord abbracciò il giovane Charles e poi il principe ereditario William. “Benvenuti
a casa mia, consideratevi a casa vostra, so che avete fretta di tornare ma
dovete lasciarmi un paio di giorni per poter darvi la risposta a questa
richiesta da portare a vostro padre.” Disse loro mentre usciva. Alcuni
servitori furono immediatamente a loro disposizione e furono condotti nella
parte del castello riservata agli ospiti
d’onore.
Ognuno nella
propria stanza, che era comunicante si stava lavando e ripulendo dalla polvere
quando William sentì bussare. Il lord non attese l’invito ad entrare e aprì la
porta. Si sedette accanto alla vasca dove il principe era immerso e cominciò a
parlare. Charles, incuriosito, e irritato per essere lasciato fuori dalla
discussione si mise ad origliare. Non riusciva a capire bene quello che i due
si stavano dicendo, ma capì quello che gli serviva per portare avanti il piano
che aveva studiato con sua sorella. Spalancò la porta e quelli sobbalzarono
dalla sorpresa.
“E così è
questo il segreto del quale ho sentito parlare!” Urlò verso i due che lo guardavano sgomenti.
“Tu non sei
il principe ereditario, sei soltanto un bastardo, nostra madre ti ha concepito
con questo uomo e, stai sicuro che sarà la prima cosa che dirò al re appena
torneremo. Nel frattempo stammi lontano, sei solo un bastardo senza titolo.”
Chiuse la porta con un gran botto e sorrise soddisfatto.
William si
alzò dalla vasca e, nudo ancora grondante acqua raggiunse suo fratello. “Cosa
ti salta in testa? Perché offendi nostra madre e me?”
Charles
aveva raggiunto la frusta e con un colpo secco lo colpì, lasciandogli la
cicatrice sulla fronte.
William non
disse una parola, sicuro della sua nobile discendenza e che suo padre non
avrebbe vacillato di un millimetro al pensiero che la regina potesse averlo
ingannato. Purtroppo non aveva fatto i conti con sua sorella che, aveva
cominciato a drogare suo padre e a convincerlo della storia.
Quando
ritornarono al castello, il re li aspettava seduto sul trono in assetto reale
e, con tutta l’autorità che solo un re può avere ordinò alle guardie di
imprigionare l’uomo che aveva sempre considerato il suo erede, che aveva amato
come un figlio. Ordinò di togliere la salma della regina dalla cappella e di
seppellirla nel cimitero comune. Questo fu un grande colpo al cuore di William,
sua madre, la sua amata madre non meritava un simile trattamento.
Le sue
guardie del corpo lo circondarono per difenderlo ma arrivarono tanti soldati e
li prelevarono mentre William ordinava alle sue guardie di non combattere e
seguire i soldati senza opporre resistenza.
Fece un
passo verso suo padre, ancora seduto sul trono che stringeva spasmodicamente lo
scettro. Si vedeva che soffriva, ma era il re, e suo compito era lasciare il
regno all’erede, e non poteva essere quello che lui aveva sempre considerato il
suo primogenito e che aveva amato con tutto se stesso. Se non avesse avuto la
mente ottenebrata dalla droga non avrebbe mai fatto un gesto del genere, non ci
avrebbe mai nemmeno creduto, ma ora aveva dato l’ordine e indietro non poteva
tornare, anche se lo avesse voluto.
William
guardò il viso stanco e gli occhi annebbiati di suo padre e capì. Si inchinò al
suo re e, senza dire una parola seguì i soldati che lo condussero in quella che
sarebbe divenuta la sua cella per molto tempo.
Erano
passati due anni da quel giorno e non aveva più avuto notizie di suo padre,
nessuno parlava con lui di quello che succedeva fuori da quelle mura e lui era
prigioniero della sua stessa famiglia. I suoi uomini ora erano liberi e aveva
la speranza che presto, almeno qualcuno di loro gli avrebbe portato notizie.
Passarono
alcune ore prima di sentire i soliti passi di colui che gli portava i pasti si
facessero sentire. Si ricompose e tornò a sedersi al tavolo. Chiuse il libro e
aspettò, come ogni giorno, come succedeva ogni giorno da due anni. Sospirò e
raddrizzò le spalle. Una delle guardie fidate del principe usurpatore entrò e
posò il cibo sul tavolo, uscì senza dire una parola, niente cambiava, ma
sarebbe cambiato. Con questa convinzione si impose di mangiare, non doveva
perdere le forze, così come non aveva perso la fede.
La primavera
sbocciava così come la bellezza di Misha. Aveva quasi quindici anni, era
diventata un’ottima guaritrice e aspettava il suo prossimo compleanno per
trasferirsi all’interno delle mura reali. Mancavano ancora alcuni mesi e Muriel
era triste al pensiero di perderla. Aveva sempre saputo che sarebbe rimasta con
lei per un breve tempo, ma le aveva alleviato la solitudine, la vita di una
guaritrice, di una donna con le capacità fuori dal comune come le sue la
rendeva schiva e schivata da tutti. Era rispettata, la chiamavano per ogni
malanno, riponevano in lei molta fiducia ma, per questo era tenuta a distanza,
era considerata diversa ed era la solitudine il prezzo da pagare per una vita
come la sua. Sperava che la vita di Misha potesse essere diversa, che potesse
trovare l’amore, vivere senza un uomo accanto rendeva tutto più difficile, e la
ragazzina meritava di essere felice. Avrebbe voluto parlarne con Moliniana, lei
conosceva molte più cose riguardo Misha. Sospirò e cominciò a preparare la
sacca, il carro sarebbe giunto molto presto il mattino dopo. Vide sul letto di
Misha che la sua sacca era già pronta. Sorrise, quella ragazzina non smetteva
di stupirla.
In quel
momento, Misha stava aiutando una cavalla a partorire, un parto difficoltoso e
lei era sudata, le maniche della camicia rimboccate mentre si dava da fare.
L’animale era agitato, nervoso, e soffriva parecchio, doveva rilassarsi o il
suo puledro non sarebbe nato vivo. I padroni del podere le erano vicini ma non
sapevano cosa fare. La ragazza guaritrice inizio a canticchiare una nenia
leggera che, dopo poco rilassò la cavalla e, finalmente, poté far nascere il
puledro. Lei amava gli animali, tutti gli animali, ed era felice ogni volta che
poteva alleviare i loro malanni. Amava le piante, ogni essere vivente, il suo
immenso amore verso ogni forma di vita traspariva da ogni suo gesto, per questo
la chiamavano per ogni problema che sorgeva, erano due giorni che non riposava
e sapeva che il giorno dopo sarebbe arrivato il carro.
Si raddrizzò
e stancamente sorrise, salutò e ritornò verso casa.
La cena era
pronta e Muriel le aveva preparato la tinozza con l’acqua calda.
Era talmente
stanca che si addormentò non appena pose la testa sul cuscino.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina fb di Elfi, fate e mondo incantato
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