MISHA
parte otto
Ritornarono
indietro e stavolta era concentrata su quello che l’aveva prima incuriosita.
Lasciò che la sua mente entrasse in
quella cella e vide una stanza
piuttosto ampia, pulita, con le pareti ricoperte di libri. Un letto piuttosto
comodo e un uomo immerso nella lettura.
Avrebbe
voluto saperne di più ma uno spintone del capitano la tolse dalla sua meditazione
e raggiunsero Muriel.
Visitarono
altri carcerati, erano ridotti davvero male e cercarono di alleviare le loro
sofferenze come potevano.
“Siete
fortunate, oggi niente sala delle torture, sono tutti morti.” Disse il capitano
con una risata sguaiata.
Vennero
accompagnate fuori e il carro era già in attesa. Respirarono aria fresca a
pieni polmoni e, senza dire nemmeno una parola salirono sul carro per fare
ritorno a casa.
Era buio
quando scesero dal carro. La prima cosa che fecero appena chiusero la porta fu
di spogliarsi di ogni indumento e immergerlo in una grossa vasca di legno con
polvere e liquido disinfettante, poi nell’altra vasca misero acqua calda e erbe
aromatiche e vi si immersero insieme inspirando gli aromi che le stesse
sprigionavano.
“Che mi dici, Misha?” Le chiese la vecchia
cercando di lavare via ogni odore anche dai capelli.
“Ho visto il
principe ereditario.” Le rispose.
“Stai
attenta, piccola, se solo scoprono quello che sai finirai nel pozzo dei mille tagli.” L’avvisò.
Era quasi
notte fonda quando si misero a tavola, si coricarono poco dopo mentre fuori la
pioggia continuava a cadere creando una sinfonia col vento che spassava fra i
rami degli alberi.
Misha si
addormentò, cercando di entrare di
nuovo nella cella del principe. Il suo sogno sembrava essere vero. Si ritrovò
ai piedi del letto ad osservare il principe che dormiva, mentre la candela che
debolmente illuminava la cella si stava smorzando. Si guardò intorno e vide
tanti libri, una finestra sbarrata ma più ampia delle altre, un piccolo
armadio, una tinozza, tutto quello che serviva per una persona, per le sue
necessità, ma niente più del necessario. Sul piccolo tavolo un piatto con degli
avanzi di cibo e una brocca mezza vuota.
Sentì il
respiro regolare dell’uomo e si avvicinò. Le sarebbe piaciuto vederlo in viso
ma la posizione supina e le coperte tirate gli coprivano il viso. Allungò la
mano verso di lui, mantenendosi a distanza e sentì il battito regolare del suo cuore, così come il suo respiro
lento e tranquillo. Quello non era un uomo spaventato, tutt’altro, e lei capì
che non sarebbe stato facile per nessuno riuscire a piegarlo ai propri voleri.
Spaziò con
lo sguardo in tutta la cella e vide un piccolo vaso di vetro, non riuscì a
trattenersi, fece apparire un piccolo fiore giallo e ve lo immerse. Sorrise
pensando alla sorpresa che avrebbe avuto il principe al risveglio, e ritornò nel suo letto continuando a
dormire.
L’inverno si
avvicinava e molte persone, soprattutto anziani e bambini avevano sempre più
bisogno delle guaritrici.
Anders si
era autoproclamato intermediario fra i bisognosi e le guaritrici, ogni scusa
era buona per andare da loro, soprattutto per rivedere Misha e parlare come
buoni amici.
Le strade si
erano ricoperte di ghiaccio dopo le abbondanti nevicate. Dicembre era arrivato
col suo carico di freddo e gelo, Muriel e Misha stavano preparando le loro
sacche, il giorno dopo sapevano che sarebbe arrivato il carro, Muriel lo sapeva
sempre.
Erano pronte
e fuori c’era ancora buio. Il freddo era intenso e si erano coperte con quello
che di più pesante avevano. Era strano che il carro fosse giunto così presto,
non era mai successo, per questo si aspettavano qualcosa di grave.
Salirono sul
carro con le loro sacche mentre le ruote del carro slittavano sul ghiaccio e i
cavalli faticavano a fare presa sul sentiero. Ci impiegarono molto più tempo
del solito ad arrivare, ma era solo metà mattina e furono introdotte nelle
prigioni e accolte dal solito capitano che aveva i baffi ghiacciati.
“Entrate,
svelte! Qui si gela.” Disse mentre
rimetteva alla cintura le numerose chiavi.
Le due donne
non dissero una parola ma Muriel capì che le stava conducendo nella sala delle
torture.
Dovettero
scendere varie rampe di scalini viscidi e sporchi prima di raggiungere la più
terribile parte della prigione.
Giunsero in
una ampia stanza dove molti strumenti di tortura facevano bella mostra. Un
grande fuoco ardeva in un braciere e il fumo usciva da varie feritoie molto in
alto. Varie torce erano appese alla pareti e il caldo era soffocante.
Misha si
guardò intorno ma non riconobbe nessuno di quei macchinari infernali, inventati
proprio per torturare e far soffrire
tante persone spesso innocenti.
Due erano i
carnefici che grondavano sudore, erano enormi, a dorso nudo e con lunghi
capelli legati dietro la nuca. Avevano mani talmente enormi che da sole
potevano spezzare il collo o qualsiasi osso del corpo senza sforzo. Erano
seduti in disparte e mangiavano mentre su un grezzo e sporco tavolo stava un
uomo coperto solo da un lercio pezzo di stoffa a coprirne le nudità. Era senza
sensi e sul corpo c’erano vari segni di torture.
“Curatelo e
fatelo rinvenire. Se non ci riuscirete vi lascio nelle mani dei miei uomini.”
Disse loro il capitano.
Muriel e
Misha iniziarono a pulire le ferite, a detergere il sudore. L’uomo aveva il
volto bollente e mani e piedi ghiacciati. Il suo cuore batteva come se dovesse
fermarsi all’improvviso. Fu quel battito che Misha riconobbe, quello era il
principe e lo comunicò con lo sguardo anche a Muriel.
Cosa gli
avevano fatto? Perché lo avevano torturato fino a quasi ucciderlo? Cosa
volevano da lui? Si chiese mentalmente la ragazza.
Pulirono,
disinfettarono, cucirono, detersero sudore per ore, ma l’uomo non si svegliava.
Misha passò leggermente la sua mano fresca sulla fronte del principe e cercò di
entrare nella sua mente. Vide quello
che vedeva lui, prati immensi e un cavaliere in groppa al suo cavallo che
rincorreva una donna felice. La riconobbe mentre quella si girava e mandava un
bacio al suo amato. Il principe stava sognando la sua vita passata, il suo
amore perduto. Entrambi correvano nel vento e sullo sfondo si vedeva il
palazzo, il suo palazzo, il suo regno, la sua futura sposa, e tutto era
felicità pura. Fu con grande tristezza che gli comunicò la morte della sua fidanzata.
Il cuore del
principe cominciò a battere all’impazzata e il suo petto si alzava e abbassava
mentre cercava, con grande difficoltà di ritrovare il respiro. Fu in quel
momento che decise di non voler morire, di non lasciarsi andare, che sarebbe
riuscito a riprendersi il posto che gli spettava.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina di fb di Elfi, fate e mondo incantato
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