lunedì 7 dicembre 2020

MISHA

 MISHA

parte sette



Poco dopo arrivò anche Muriel e la mise al corrente di quello che era successo.

“Tu sai se la storia che mi ha raccontato Anders è vera?” Le chiese incuriosita.

“Vieni, siediti. Io vado al palazzo quando mi chiamano, e presto tu dovrai venire con me. Vado nelle prigioni, addirittura nei sotterranei dove ci sono persone torturate che soffrono terribilmente ma che il principe non vuole che muoiano fino a quando non sarà soddisfatto di quello che avrà ottenuto.” Sospirò prima di continuare. “Anche a me hanno raccontato la stessa storia, credo che corrisponda al vero ma nessuno di quelli che vado a curare si fida a parlare, sono in celle fatiscenti ed hanno paura di finire nei sotterranei. Ci sono sempre due guardie che mi accompagnano, ti garantisco che dovrai essere pronta a sopportare questo compito, e non sarà semplice. Non so mai quando vengo chiamata. Mandano un carro a prendermi e poi mi riportano indietro. Sono ancora viva perché servo a loro e mi temono.” Finì di raccontare.

Misha aveva lo sguardo perso. “Anch’io sono stata prelevata da un carro, dal quale fortunatamente sono caduta. Non ho mai smesso di chiedermi che fine fanno tutti quei bambini che vengono tolti alle loro famiglie. Tu ne sai qualcosa?” Le chiese.

“Misha, dolcezza, non ti devi angustiare. Le cose di palazzo restano a palazzo, difficile che qualcuno fuori da quelle mura ne parli.” Le disse stringendole la mano.

“Allora andrò a palazzo, e ci rimarrò fino a quando non scoprirò la verità!” Le rispose convinta.

Muriel sapeva che non avrebbe potuto fare niente per trattenerla, lei vedeva oltre e le si stringeva il cuore. “Se è quello che vuoi sarà così, ma devi prima farmi una promessa: aspetta ancora un paio di anni …”

“Un anno, non un giorno di più!” Le rispose risoluta. “ Quando avrò quindici anni io me ne andrò a palazzo!” Ribadì.

L’autunno arrivò con dolcezza. La pioggia era lieve e una notte che ancora non era gelida, Misha uscì con la speranza di ritrovare Oridea. La ragazza vagò per il bosco, vicino alla riva del ruscello, ma della sua amata Oridea non vide traccia.

Rientrò che era fradicia e Muriel l’aiutò a spogliarsi e riscaldarsi vicino al fuoco.

“Non l’hai trovata, vero? Sarà lei a farsi trovare quando servirà, non sei più oltre il portale e qui le cose sono diverse. Stenditi e riposa che il giorno arriva presto e sono sicura che anche il carro sarà qui prima di mezzogiorno.” Le disse mentre le sistemava le coperte.

L’alba spuntò su un giorno grigio e uggioso. Il vento passava fra i rami degli alberi e costringeva le foglie a staccarsi e cadere grondanti sul terreno. Era autunno e già i camini di quelle casupole sbuffavano fumo da giorni.

Muriel e Misha stavano sistemando alcuni vasi di erbe e medicinali vari, due grosse sacche erano pronte mentre il rumore delle ruote del carro si avvicinava.

“Dobbiamo andare, Misha. Indossa il tuo mantello e non abbassare mai il cappuccio, fa in modo di passare inosservata e, ti prego non fare gesti inconsulti o ne andrà della nostra vita, segui i miei ordini e tutto andrà bene.” La istruì.

Il carro si arrestò davanti alla porta e le due donne erano già pronte, ognuna con una sacca in spalla e salirono sul carro coperto, mentre la pioggia batteva senza sosta.

Per un attimo nella mente di Misha passò un ricordo di un altro carro, di altra pioggia e cercò di scacciarlo.

Ci vollero due ore per giungere al palazzo. Il carro le lasciò davanti ad un grande portone sorvegliato da guardie. Una di loro lo aprì e un soldato le accompagnò dal capitano.

Il capo delle guardie della prigione era un uomo piccolo e robusto, con occhi che non smentivano quella che era la prima impressione: sguardo che non lasciva speranza a nessuno, un uomo senza cuore, ligio al suo dovere e al suo principe.

“Avrete parecchio da fare, oggi.”Disse loro. “Vedo che ti sei decisa a prenderti un’aiutante, era ora.” Disse mentre prendeva varie chiavi e apriva sbarre.

La prima cosa che colpì la ragazza fu il tanfo di quel posto, poi sentì tutta la paura e il terrore che vi ristagnava. Muriel se ne accorse e le prese la mano. In silenzio seguirono il capitano che le condusse nelle celle che c’erano nel primo settore.

Si sentivano gemiti, preghiere, bestemmie, urla raccapriccianti.

“Da dove vuoi che cominciamo?”Gli chiese Muriel.

“Seguitemi.” Rispose soltanto.

Il corridoio era lungo e sporco, poche aperture sbarrate per l’aria facevano entrare quel poco che serviva per sopravvivere. Su ambo i lati le celle erano occupate da persone che si faticava a riconoscere talmente erano degradate dal livello umano.

Il capitano aprì una cella. “Cominciate da qui.” Disse semplicemente.

Le due guaritrici entrarono. Un uomo piuttosto giovane era sdraiato sul pagliericcio, una profonda ferita all’addome si era infettata e già emanava odore di morte.

In silenzio Muriel sollevò lo straccio sporco che lo ricopriva, aveva già capito che gli rimaneva poco da vivere. “Perché vuoi salvare questo uomo? Dovevi chiamarci prima!” Disse la vecchia.

“E’ importante che viva, devi fare il possibile e anche l’impossibile.”Le rispose.

“Intanto tu, vieni con me!” Si rivolse a Misha.

Lo sguardo di Muriel le trasmise tutta la sua preoccupazione.

Il capitano la condusse attraverso un altro corridoio non diverso dal primo. Ogni cella era occupata. Lei si teneva ben saldo il cappuccio e il mantello strisciava sul pavimento lercio.

Fu meravigliata nel notare una cella diversa dalle altre. Per un attimo volse lo sguardo ma il capitano con uno strattone la costrinse a continuare. “Quello non ti riguarda!” Le disse minaccioso.

In quella cella, decisamente diversa dalle altre un uomo era seduto ad un tavolo e, alla luce di una candela leggeva qualcosa.

Fu un soffio o qualcosa di diverso che lo costrinse ad alzare lo sguardo ma vide solo il bordo di un mantello e rimase a fissare le sbarre cercando di capire cosa gli fosse capitato.

Anche Misha si era accorta che qualcosa era passato da quelle sbarre e si concentrò per riuscire ad arrivare con la sua mente fin dentro la cella. Non le fu possibile perché il capitano aprì una cella, proprio l’ultima e, con uno strattone la fece entrare.

“Avanti, fai il tuo lavoro!” Le disse senza tanti complimenti.

La ragazza si avvicinò alla branda ricoperta da coperte putride e le sollevò. Una giovane donna, forse una ragazza, ma era talmente conciata male che non era possibile capirlo. La ragazza distesa faticava a respirare e non riusciva nemmeno a parlare. Cercò di calmare il forsennato battito di quel cuore e, come aveva imparato da Moliniana, fece un incantesimo e quel  cuore ritornò a battere in modo regolare. Con un panno imbevuto di una sostanza disinfettante le pulì il volto, il petto e vide che era ricoperta da varie ustioni, non fu difficile capire che era stata barbaramente torturata. “Fammi morire.” Le disse in un soffio quasi soffocato. “Non posso, sono qui per curarti.” Le rispose dolcemente. “Non vedi come sono ridotta? Non vedi quello che mi fanno? Ti prego, poni fine alle mie sofferenze!” Non aveva la forza nemmeno di parlare, ma Misha riusciva a leggerle la mente. “Chi sei?” Le chiese. “Sono lady Marion Elisabeth Green, la fidanzata del vero principe ereditario e mi terranno così fino a quando il principe reggente non avrà finito di torturarmi. Ti prego, poni fine alla mia pena!”

Misha sentiva ogni dolore, ogni sofferenza di quel corpo e di quella mente martoriata e provò una pena indicibile. Non si capacitava della malvagità degli esseri umani. Le fece un incantesimo e quella si addormentò. “Ti sveglierai in un mondo migliore!” Le disse mentre le baciava la fronte bollente. Una lacrima non trattenuta bagnò il viso martoriato della lady. La ricoprì e uscì dalla cella.

“Ora dorme, ha la febbre molto alta, non arriverà a domani.” Disse semplicemente al capitano.

Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina fb di Elfi, fate e mondo incantato

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