MISHA
parte sette
Poco dopo
arrivò anche Muriel e la mise al corrente di quello che era successo.
“Tu sai se
la storia che mi ha raccontato Anders è vera?” Le chiese incuriosita.
“Vieni,
siediti. Io vado al palazzo quando mi chiamano, e presto tu dovrai venire con
me. Vado nelle prigioni, addirittura nei sotterranei dove ci sono persone
torturate che soffrono terribilmente ma che il principe non vuole che muoiano
fino a quando non sarà soddisfatto di quello che avrà ottenuto.” Sospirò prima
di continuare. “Anche a me hanno raccontato la stessa storia, credo che
corrisponda al vero ma nessuno di quelli che vado a curare si fida a parlare,
sono in celle fatiscenti ed hanno paura di finire nei sotterranei. Ci sono
sempre due guardie che mi accompagnano, ti garantisco che dovrai essere pronta
a sopportare questo compito, e non sarà semplice. Non so mai quando vengo
chiamata. Mandano un carro a prendermi e poi mi riportano indietro. Sono ancora
viva perché servo a loro e mi temono.” Finì di raccontare.
Misha aveva
lo sguardo perso. “Anch’io sono stata prelevata da un carro, dal quale
fortunatamente sono caduta. Non ho mai smesso di chiedermi che fine fanno tutti
quei bambini che vengono tolti alle loro famiglie. Tu ne sai qualcosa?” Le
chiese.
“Misha,
dolcezza, non ti devi angustiare. Le cose di palazzo restano a palazzo,
difficile che qualcuno fuori da quelle mura ne parli.” Le disse stringendole la
mano.
“Allora
andrò a palazzo, e ci rimarrò fino a quando non scoprirò la verità!” Le rispose
convinta.
Muriel
sapeva che non avrebbe potuto fare niente per trattenerla, lei vedeva oltre e
le si stringeva il cuore. “Se è quello che vuoi sarà così, ma devi prima farmi
una promessa: aspetta ancora un paio di anni …”
“Un anno,
non un giorno di più!” Le rispose risoluta. “ Quando avrò quindici anni io me ne
andrò a palazzo!” Ribadì.
L’autunno
arrivò con dolcezza. La pioggia era lieve e una notte che ancora non era
gelida, Misha uscì con la speranza di ritrovare Oridea. La ragazza vagò per il
bosco, vicino alla riva del ruscello, ma della sua amata Oridea non vide
traccia.
Rientrò che
era fradicia e Muriel l’aiutò a spogliarsi e riscaldarsi vicino al fuoco.
“Non l’hai
trovata, vero? Sarà lei a farsi trovare quando servirà, non sei più oltre il
portale e qui le cose sono diverse. Stenditi e riposa che il giorno arriva
presto e sono sicura che anche il carro sarà qui prima di mezzogiorno.” Le
disse mentre le sistemava le coperte.
L’alba
spuntò su un giorno grigio e uggioso. Il vento passava fra i rami degli alberi
e costringeva le foglie a staccarsi e cadere grondanti sul terreno. Era autunno
e già i camini di quelle casupole sbuffavano fumo da giorni.
Muriel e
Misha stavano sistemando alcuni vasi di erbe e medicinali vari, due grosse sacche
erano pronte mentre il rumore delle ruote del carro si avvicinava.
“Dobbiamo
andare, Misha. Indossa il tuo mantello e non abbassare mai il cappuccio, fa in
modo di passare inosservata e, ti prego non fare gesti inconsulti o ne andrà
della nostra vita, segui i miei ordini e tutto andrà bene.” La istruì.
Il carro si
arrestò davanti alla porta e le due donne erano già pronte, ognuna con una
sacca in spalla e salirono sul carro coperto, mentre la pioggia batteva senza
sosta.
Per un
attimo nella mente di Misha passò un ricordo di un altro carro, di altra
pioggia e cercò di scacciarlo.
Ci vollero
due ore per giungere al palazzo. Il carro le lasciò davanti ad un grande
portone sorvegliato da guardie. Una di loro lo aprì e un soldato le accompagnò
dal capitano.
Il capo
delle guardie della prigione era un uomo piccolo e robusto, con occhi che non
smentivano quella che era la prima impressione: sguardo che non lasciva
speranza a nessuno, un uomo senza cuore, ligio al suo dovere e al suo principe.
“Avrete
parecchio da fare, oggi.”Disse loro. “Vedo che ti sei decisa a prenderti
un’aiutante, era ora.” Disse mentre prendeva varie chiavi e apriva sbarre.
La prima
cosa che colpì la ragazza fu il tanfo di quel posto, poi sentì tutta la paura e il terrore che vi ristagnava. Muriel se ne
accorse e le prese la mano. In silenzio seguirono il capitano che le condusse
nelle celle che c’erano nel primo settore.
Si sentivano
gemiti, preghiere, bestemmie, urla raccapriccianti.
“Da dove
vuoi che cominciamo?”Gli chiese Muriel.
“Seguitemi.”
Rispose soltanto.
Il corridoio
era lungo e sporco, poche aperture sbarrate per l’aria facevano entrare quel
poco che serviva per sopravvivere. Su ambo i lati le celle erano occupate da
persone che si faticava a riconoscere talmente erano degradate dal livello
umano.
Il capitano
aprì una cella. “Cominciate da qui.” Disse semplicemente.
Le due
guaritrici entrarono. Un uomo piuttosto giovane era sdraiato sul pagliericcio,
una profonda ferita all’addome si era infettata e già emanava odore di morte.
In silenzio
Muriel sollevò lo straccio sporco che lo ricopriva, aveva già capito che gli
rimaneva poco da vivere. “Perché vuoi salvare questo uomo? Dovevi chiamarci
prima!” Disse la vecchia.
“E’
importante che viva, devi fare il possibile e anche l’impossibile.”Le rispose.
“Intanto tu,
vieni con me!” Si rivolse a Misha.
Lo sguardo
di Muriel le trasmise tutta la sua preoccupazione.
Il capitano
la condusse attraverso un altro corridoio non diverso dal primo. Ogni cella era
occupata. Lei si teneva ben saldo il cappuccio e il mantello strisciava sul
pavimento lercio.
Fu
meravigliata nel notare una cella diversa dalle altre. Per un attimo volse lo
sguardo ma il capitano con uno strattone la costrinse a continuare. “Quello non
ti riguarda!” Le disse minaccioso.
In quella
cella, decisamente diversa dalle altre un uomo era seduto ad un tavolo e, alla
luce di una candela leggeva qualcosa.
Fu un soffio
o qualcosa di diverso che lo costrinse ad alzare lo sguardo ma vide solo il
bordo di un mantello e rimase a fissare le sbarre cercando di capire cosa gli
fosse capitato.
Anche Misha
si era accorta che qualcosa era passato da quelle sbarre e si concentrò per
riuscire ad arrivare con la sua mente fin dentro la cella. Non le fu possibile
perché il capitano aprì una cella, proprio l’ultima e, con uno strattone la
fece entrare.
“Avanti, fai
il tuo lavoro!” Le disse senza tanti complimenti.
La ragazza
si avvicinò alla branda ricoperta da coperte putride e le sollevò. Una giovane
donna, forse una ragazza, ma era talmente conciata male che non era possibile
capirlo. La ragazza distesa faticava a respirare e non riusciva nemmeno a
parlare. Cercò di calmare il forsennato battito di quel cuore e, come aveva
imparato da Moliniana, fece un incantesimo e quel cuore ritornò a battere in modo regolare. Con
un panno imbevuto di una sostanza disinfettante le pulì il volto, il petto e
vide che era ricoperta da varie ustioni, non fu difficile capire che era stata
barbaramente torturata. “Fammi morire.” Le disse in un soffio quasi soffocato.
“Non posso, sono qui per curarti.” Le rispose dolcemente. “Non vedi come sono ridotta?
Non vedi quello che mi fanno? Ti prego, poni fine alle mie sofferenze!” Non
aveva la forza nemmeno di parlare, ma Misha riusciva a leggerle la mente. “Chi
sei?” Le chiese. “Sono lady Marion Elisabeth Green, la fidanzata del vero
principe ereditario e mi terranno così fino a quando il principe reggente non
avrà finito di torturarmi. Ti prego, poni fine alla mia pena!”
Misha sentiva ogni dolore, ogni sofferenza di
quel corpo e di quella mente martoriata e provò una pena indicibile. Non si
capacitava della malvagità degli esseri umani. Le fece un incantesimo e quella
si addormentò. “Ti sveglierai in un mondo migliore!” Le disse mentre le baciava
la fronte bollente. Una lacrima non trattenuta bagnò il viso martoriato della
lady. La ricoprì e uscì dalla cella.
“Ora dorme,
ha la febbre molto alta, non arriverà a domani.” Disse semplicemente al
capitano.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina fb di Elfi, fate e mondo incantato
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