IL SEGRETO DELLA LUNA
parte cinquantatre
Continuò la
sua perlustrazione al solo chiarore della luna. Era una costruzione molto
vasta, c’erano delle scuderie vuote, una grande lavanderia con parecchia
biancheria stesa, e non si trattava certo di biancheria da monache. Vicino
all’orto c’erano alcune latrine poste sopra una grande concimaia. Vide in
lontananza un’altra costruzione che poteva essere un pollaio o un ricovero per
animali e non si avvicinò.
Non poteva
fare altro. Al piano superiore si vedevano alcune luci. Dio come avrebbe
desiderato poter parlare con qualcuna di loro! Gli si strinse il cuore al
pensiero che quando avrebbe scatenato la sua vendetta su quel posto potessero
andarci di mezzo anche delle innocenti.
Riprese la
via del ritorno e Rufus lo aspettava davanti al sofà. Cincia sospirò e cercò di
dormire.
La mattina
si presentava già molto calda e, mentre facevano colazione mise al corrente la
sua amica di quello che aveva scoperto e le disse che sarebbe ritornato quella
stessa sera.
Fu una
giornata uguale alla precedente.
Gastone era
dentro il convento e si avvicinava alla porta. Passò sotto la finestra e sentì
alcune risate. Vide che alle stalle c’erano alcune torce accese, aspettavano
ospiti e lui era lì.
Il fresco di
quel posto era piacevole. Le candele e le torce illuminavano quasi a giorno ma
molti angoli restavano al buio. Sembrava un topo in cerca di una tana. Si fermò
vicino ad una grande statua di un santo e si nascose. Alcuni passi frettolosi
lo avvisarono di restare immobile.
Gli
passarono vicino quattro ragazze seminude e due monache.
“Andiamo, fra poco avrete da fare, e
non deludete la padrona!”
Riprese a
percorrere quel lungo corridoio e si appiattì contro il muro. Si aprì una porta
proprio di fianco a lui ed entrarono alcuni uomini. Riuscì a sbirciare dalla
fessura della porta e vide una stanza grande e illuminata, un grande tavolo con
varie sedie e qualcuno già seduto.
“Ci siete tutti?” riuscì a sentire prima che la porta
fosse chiusa. Non poteva sbagliarsi, quella era NUMERO UNO.
Un brivido
gli percorse tutta la schiena. Possibile che avesse trovato il covo di Numero Uno? Il posto dove svolgeva le
attività relative alla setta? Chi erano quelle persone? Come poteva saperne di
più? Il fiato gli mancava, doveva uscire al più presto, aveva bisogno di
pensare di dare forma ad alcuni pensieri che gli ribollivano nella mente.
Ritornò sui
suoi passi ma si rese conto di aver sbagliato l’uscita ed ora si trovava in una
zona semi buia. Sembrava si fosse trasformato in un gatto nero e passò davanti
ad un paio di porte chiuse. Continuò ad avanzare e vide uno spiraglio di luce.
Una porta era aperta e sentiva una voce bisbigliare preghiere. Si fermò in
ascolto e sbirciò all’interno. Una monaca era inginocchiata davanti ad una
immagine della Madonna e stava pregando. Prese una decisione senza pensarci.
Entrò e tappandole la bocca strinse l’altra mano intorno al collo fino a che,
quella, perse i sensi.
La depose
sul letto e le versò dell’acqua sul viso. La donna spalancò gli occhi e tentò
di urlare ma la mano di Gastone le chiuse la bocca.
“Stai zitta
o farai un volo fuori dalla finestra. Mi hai capito?”
La donna
assentì con gli occhi pieni di lacrime, sapeva che prima o poi il diavolo
sarebbe venuto a prenderla, e quello doveva essere proprio il diavolo, tutto
vestito di nero con occhi di fuoco.
“Se tolgo la
mano, prometti di non urlare?”
Al suo cenno
di assenso, Gastone mollò lentamente la presa, pronto a richiuderla di nuovo.
“Chi sei? Un
diavolo? Un Angelo vendicatore?” Chiese con una voce sottile.
“Sono un
angelo venuto a salvarti, ma tu ti devi confessare.” Non sapeva nemmeno lui
come gli fosse venuta quell’idea.
“Sto
ascoltando e non ho tempo da perdere, o mi trasformerò in diavolo e ti porterò
all’inferno!”
Era una
giovane donna, non riusciva a capirne l’età, si vedeva che era molto spaventata
e questo era un bene.
“Io non ho
molti peccati, soltanto uno molto grave: non mi ribello a quello che succede
qui e so che per questo andrò all’inferno! Io faccio quello che mi ordina la
madre superiora e passo il tempo a pregare per la mia anima.”
“Chi sono
gli uomini che sono qui stasera?”
“Io non lo
so. Ne vengono spesso e non sono sempre gli stessi. C’è un’ala del convento
destinata a qualcosa che io non conosco e non voglio sapere.”
“E cosa mi
dici di quella donna? Della contessa?”
“Mi fa paura
quella donna, io l’ho vista poche volte. Credo che sia lei la padrona del
convento. Viene spesso per trattare i suoi affari, ma non so di quali affari si
tratta.”
Gastone avrebbe
dato dieci anni di vita per poter ascoltare quello che avveniva in quella
stanza.
“Adesso me
ne vado, tu rimani qui nel tuo letto o tornerò col forcone incandescente e ti
spedirò dritta all’inferno!”
La donna era
terrorizzata. Il suo peggior incubo sembrava essere lì. Chiuse gli occhi e si
coprì fin sulla testa mentre Gastone usciva.
Uscì
all’aperto e respirò come se fosse stato sott’acqua. Prima di andarsene passò
dalle stalle per dare un’occhiata ai cavalli, potevano dargli informazioni sui
padroni. Ce n’erano tre, erano davvero dei begli animali e li memorizzò, li
avrebbe riconosciuti ovunque. La finestra della grande stanza della riunione
era aperta ma era troppo distante per poter capire quello che si dicevano. Il
suo istinto era quello di arrampicarsi su quel muro ma il buon senso gli diceva
di andarsene in fretta. Poteva essere visto, e anche se era coperto di nero
poteva essere riconosciuto.
A malincuore
ritornò da dove era venuto.
Capitolo venticinque
Era stanco
quando entrò in casa e Cincia lo stava aspettando seduta al tavolo con due
bicchieri e il fiasco di vino.
“Cos’hai
scoperto?”
“Forse
qualcosa, ma ancora troppo poco. Di sicuro è un posto dove la contessa si reca
spesso per riunioni delle quali non so nulla. Sembra che il posto sia di sua
proprietà, oppure della setta. Devo dirti che stanotte ho avuto paura, paura
più di me stesso che degli altri, avrei voluto ammazzarli tutti, ma presto lo
farò, e a quella sgualdrina riserverò un trattamento speciale.”
“Stai molto
attento. Ora cerca di riposare, l’alba è vicina e devi riprendere il tuo giro.”
Gli disse la vecchia prima di tornare nella sua camera.
Quanti
pensieri tormentavano la mente di Gastone mentre effettuava la sua
perlustrazione. Era stanco, arrabbiato; avrebbe voluto ammazzare tutti i
cavalieri, ora li conosceva e sapeva come farlo ma non voleva deviare dal suo
piano originale.
Era di nuovo
nei pressi dello stagno, sperava di incontrare le nipoti di Morietti ma tutto
era silenzioso e riprese il suo tragitto.
Girò il
cavallo e costeggiò un boschetto. Decise di proseguire e andare al mulino
Cestelli.
C’era un
gran fermento. Stavano costruendo la grande ruota del mulino e il vecchio in
persona dirigeva i lavori. Questi riconobbe l’uomo a cavallo e lo invitò per
chiedergli un parere.
Era davvero
un piacere per lui scoprire che i suoi capi ricorrevano a lui e gli chiedevano
consigli proprio sui danni che lui stesso aveva procurato. Rideva sotto i baffi
tenendo lo sguardo serio, ed ogni volta dava la stessa risposta: non sapeva
come aiutare.
Gli corse
incontro la bambina che aveva salvato dall’acqua e lo salutò con un gran
sorriso. Ricambiò il saluto guardandosi intorno e la madre della ragazzina lo
invitò a bere qualcosa di fresco.
Era in casa,
una casa pulita e fresca e beveva un boccale di birra. Ci voleva proprio.
“Presto ci
sarà una festa qui alla tenuta. Spero che riceva l’invito.”
“Non ne so
niente, di cosa si tratta?” Chiese senza curiosità Gastone.
“Ogni anno
in settembre festeggiamo il compleanno del signor Cestelli ma quest’anno faremo
la festa a metà luglio. Le figlie del padrone si fidanzano.”
“Che bella
notizia! Io non le conosco ma sono felice per loro!” Mentì l’uomo. “Ma dove
vivono? Qui non le ho viste, almeno credo, io non le conosco.”
“Sono in una
scuola per signorine. Arriveranno domani e cominceranno i preparativi.”
Gastone
avrebbe voluto fare altre domande ma non voleva insospettire quella brava donna.
Salutò e la ringraziò per la sua cortese ospitalità. Si avvicinò agli uomini
che stavano lavorando per salutare il padrone. Aspettò che finisse di parlare
con alcune persone e, senza volerlo ascoltò il loro discorso. Erano delle
guardie che dovevano sorvegliare le figlie, stava impartendo ordini ben
precisi.
Gastone si
avvicinò a Cestelli mentre quelli si allontanavano e salutò. Doveva scoprire da
dove sarebbero arrivate le due ragazze, non poteva farsi scappare l’occasione.
Continuò il
suo giro fino a che fu quasi buio, poi rientrò per la cena.
Aveva messo
al corrente Cincia.
“Se sapessi
da che parte arrivano potrei fare quello che devo, davvero non puoi aiutarmi a
scoprirlo?”
“E’ quasi
notte, cosa vuoi che faccia? Che vada da Gemma? E’ l’unica che può saperlo.”
“Preparami
un cesto di provviste, vado subito da lei.”
Cincia non
era molto soddisfatta, ma fece quanto richiesto.
Era buio e i
grilli facevano un gran baccano quando Gastone bussò alla porta di Gemma. Si
preparò un grande sorriso. La donna arrivò ciabattando e brontolando contro
chiunque fosse alla sua porta. L’aprì e fece un gran sorriso quando vide di chi
si trattava.
Lo fece
entrare meravigliata da quella visita ma Gastone le disse che aveva pensato a
lei quel giorno e aveva paura che le fosse successo qualcosa, così era passato
con del buon vino e una grossa pagnotta.
Gemma fu
lusingata e versò da bere per entrambi. Bastò
poco a quella vecchia signora per sentirsi brilla e Gastone fu abile a porre le
domande. Ora aveva la risposta e con grande cavalleria salutò la sua amica.
Uscì nella notte ma non tornò a casa. Diresse Amleto in altra direzione.
Percorsero al chiaro delle stelle una strada piuttosto larga e la controllò in
ogni particolare.
Ora sapeva
cosa fare. Tornò a casa, prese alcuni attrezzi e tornò indietro. Gli ci volle
parecchio tempo per fare quello che doveva e l’alba era già spuntata. Stanco ma
elettrizzato si nascose in attesa del calesse delle ragazze.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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