venerdì 24 luglio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte cinquantatre






Continuò la sua perlustrazione al solo chiarore della luna. Era una costruzione molto vasta, c’erano delle scuderie vuote, una grande lavanderia con parecchia biancheria stesa, e non si trattava certo di biancheria da monache. Vicino all’orto c’erano alcune latrine poste sopra una grande concimaia. Vide in lontananza un’altra costruzione che poteva essere un pollaio o un ricovero per animali e non si avvicinò.
Non poteva fare altro. Al piano superiore si vedevano alcune luci. Dio come avrebbe desiderato poter parlare con qualcuna di loro! Gli si strinse il cuore al pensiero che quando avrebbe scatenato la sua vendetta su quel posto potessero andarci di mezzo anche delle innocenti.
Riprese la via del ritorno e Rufus lo aspettava davanti al sofà. Cincia sospirò e cercò di dormire.
La mattina si presentava già molto calda e, mentre facevano colazione mise al corrente la sua amica di quello che aveva scoperto e le disse che sarebbe ritornato quella stessa sera.
Fu una giornata uguale alla precedente.
Gastone era dentro il convento e si avvicinava alla porta. Passò sotto la finestra e sentì alcune risate. Vide che alle stalle c’erano alcune torce accese, aspettavano ospiti e lui era lì.
Il fresco di quel posto era piacevole. Le candele e le torce illuminavano quasi a giorno ma molti angoli restavano al buio. Sembrava un topo in cerca di una tana. Si fermò vicino ad una grande statua di un santo e si nascose. Alcuni passi frettolosi lo avvisarono di restare immobile.
Gli passarono vicino quattro ragazze seminude e due monache.
“Andiamo, fra poco avrete da fare, e non deludete la padrona!”
Riprese a percorrere quel lungo corridoio e si appiattì contro il muro. Si aprì una porta proprio di fianco a lui ed entrarono alcuni uomini. Riuscì a sbirciare dalla fessura della porta e vide una stanza grande e illuminata, un grande tavolo con varie sedie e qualcuno già seduto.
“Ci siete tutti?” riuscì a sentire prima che la porta fosse chiusa. Non poteva sbagliarsi, quella era NUMERO UNO.
Un brivido gli percorse tutta la schiena. Possibile che avesse trovato il covo di Numero Uno? Il posto dove svolgeva le attività relative alla setta? Chi erano quelle persone? Come poteva saperne di più? Il fiato gli mancava, doveva uscire al più presto, aveva bisogno di pensare di dare forma ad alcuni pensieri che gli ribollivano nella mente.
Ritornò sui suoi passi ma si rese conto di aver sbagliato l’uscita ed ora si trovava in una zona semi buia. Sembrava si fosse trasformato in un gatto nero e passò davanti ad un paio di porte chiuse. Continuò ad avanzare e vide uno spiraglio di luce. Una porta era aperta e sentiva una voce bisbigliare preghiere. Si fermò in ascolto e sbirciò all’interno. Una monaca era inginocchiata davanti ad una immagine della Madonna e stava pregando. Prese una decisione senza pensarci. Entrò e tappandole la bocca strinse l’altra mano intorno al collo fino a che, quella, perse i sensi.
La depose sul letto e le versò dell’acqua sul viso. La donna spalancò gli occhi e tentò di urlare ma la mano di Gastone le chiuse la bocca.
“Stai zitta o farai un volo fuori dalla finestra. Mi hai capito?”
La donna assentì con gli occhi pieni di lacrime, sapeva che prima o poi il diavolo sarebbe venuto a prenderla, e quello doveva essere proprio il diavolo, tutto vestito di nero con occhi di fuoco.
“Se tolgo la mano, prometti di non urlare?”
Al suo cenno di assenso, Gastone mollò lentamente la presa, pronto a richiuderla di nuovo.
“Chi sei? Un diavolo? Un Angelo vendicatore?” Chiese con una voce sottile.
“Sono un angelo venuto a salvarti, ma tu ti devi confessare.” Non sapeva nemmeno lui come gli fosse venuta quell’idea.
“Sto ascoltando e non ho tempo da perdere, o mi trasformerò in diavolo e ti porterò all’inferno!”
Era una giovane donna, non riusciva a capirne l’età, si vedeva che era molto spaventata e questo era un bene.
“Io non ho molti peccati, soltanto uno molto grave: non mi ribello a quello che succede qui e so che per questo andrò all’inferno! Io faccio quello che mi ordina la madre superiora e passo il tempo a pregare per la mia anima.”
“Chi sono gli uomini che sono qui stasera?”
“Io non lo so. Ne vengono spesso e non sono sempre gli stessi. C’è un’ala del convento destinata a qualcosa che io non conosco e non voglio sapere.”
“E cosa mi dici di quella donna? Della contessa?”
“Mi fa paura quella donna, io l’ho vista poche volte. Credo che sia lei la padrona del convento. Viene spesso per trattare i suoi affari, ma non so di quali affari si tratta.”
Gastone avrebbe dato dieci anni di vita per poter ascoltare quello che avveniva in quella stanza.
“Adesso me ne vado, tu rimani qui nel tuo letto o tornerò col forcone incandescente e ti spedirò dritta all’inferno!”
La donna era terrorizzata. Il suo peggior incubo sembrava essere lì. Chiuse gli occhi e si coprì fin sulla testa mentre Gastone usciva.
Uscì all’aperto e respirò come se fosse stato sott’acqua. Prima di andarsene passò dalle stalle per dare un’occhiata ai cavalli, potevano dargli informazioni sui padroni. Ce n’erano tre, erano davvero dei begli animali e li memorizzò, li avrebbe riconosciuti ovunque. La finestra della grande stanza della riunione era aperta ma era troppo distante per poter capire quello che si dicevano. Il suo istinto era quello di arrampicarsi su quel muro ma il buon senso gli diceva di andarsene in fretta. Poteva essere visto, e anche se era coperto di nero poteva essere riconosciuto.
A malincuore ritornò da dove era venuto.

Capitolo venticinque
Era stanco quando entrò in casa e Cincia lo stava aspettando seduta al tavolo con due bicchieri e il fiasco di vino.
“Cos’hai scoperto?”
“Forse qualcosa, ma ancora troppo poco. Di sicuro è un posto dove la contessa si reca spesso per riunioni delle quali non so nulla. Sembra che il posto sia di sua proprietà, oppure della setta. Devo dirti che stanotte ho avuto paura, paura più di me stesso che degli altri, avrei voluto ammazzarli tutti, ma presto lo farò, e a quella sgualdrina riserverò un trattamento speciale.”
“Stai molto attento. Ora cerca di riposare, l’alba è vicina e devi riprendere il tuo giro.” Gli disse la vecchia prima di tornare  nella sua camera.
Quanti pensieri tormentavano la mente di Gastone mentre effettuava la sua perlustrazione. Era stanco, arrabbiato; avrebbe voluto ammazzare tutti i cavalieri, ora li conosceva e sapeva come farlo ma non voleva deviare dal suo piano originale.
Era di nuovo nei pressi dello stagno, sperava di incontrare le nipoti di Morietti ma tutto era silenzioso e riprese il suo tragitto.
Girò il cavallo e costeggiò un boschetto. Decise di proseguire e andare al mulino Cestelli.
C’era un gran fermento. Stavano costruendo la grande ruota del mulino e il vecchio in persona dirigeva i lavori. Questi riconobbe l’uomo a cavallo e lo invitò per chiedergli un parere.
Era davvero un piacere per lui scoprire che i suoi capi ricorrevano a lui e gli chiedevano consigli proprio sui danni che lui stesso aveva procurato. Rideva sotto i baffi tenendo lo sguardo serio, ed ogni volta dava la stessa risposta: non sapeva come aiutare.
Gli corse incontro la bambina che aveva salvato dall’acqua e lo salutò con un gran sorriso. Ricambiò il saluto guardandosi intorno e la madre della ragazzina lo invitò a bere qualcosa di fresco.
Era in casa, una casa pulita e fresca e beveva un boccale di birra. Ci voleva proprio.
“Presto ci sarà una festa qui alla tenuta. Spero che riceva l’invito.”
“Non ne so niente, di cosa si tratta?” Chiese senza curiosità Gastone.
“Ogni anno in settembre festeggiamo il compleanno del signor Cestelli ma quest’anno faremo la festa a metà luglio. Le figlie del padrone si fidanzano.”
“Che bella notizia! Io non le conosco ma sono felice per loro!” Mentì l’uomo. “Ma dove vivono? Qui non le ho viste, almeno credo, io non le conosco.”
“Sono in una scuola per signorine. Arriveranno domani e cominceranno i preparativi.”
Gastone avrebbe voluto fare altre domande ma non voleva insospettire quella brava donna. Salutò e la ringraziò per la sua cortese ospitalità. Si avvicinò agli uomini che stavano lavorando per salutare il padrone. Aspettò che finisse di parlare con alcune persone e, senza volerlo ascoltò il loro discorso. Erano delle guardie che dovevano sorvegliare le figlie, stava impartendo ordini ben precisi.
Gastone si avvicinò a Cestelli mentre quelli si allontanavano e salutò. Doveva scoprire da dove sarebbero arrivate le due ragazze, non poteva farsi scappare l’occasione.
Continuò il suo giro fino a che fu quasi buio, poi rientrò per la cena.
Aveva messo al corrente Cincia.
“Se sapessi da che parte arrivano potrei fare quello che devo, davvero non puoi aiutarmi a scoprirlo?”
“E’ quasi notte, cosa vuoi che faccia? Che vada da Gemma? E’ l’unica che può saperlo.”
“Preparami un cesto di provviste, vado subito da lei.”
Cincia non era molto soddisfatta, ma fece quanto richiesto.
Era buio e i grilli facevano un gran baccano quando Gastone bussò alla porta di Gemma. Si preparò un grande sorriso. La donna arrivò ciabattando e brontolando contro chiunque fosse alla sua porta. L’aprì e fece un gran sorriso quando vide di chi si trattava.
Lo fece entrare meravigliata da quella visita ma Gastone le disse che aveva pensato a lei quel giorno e aveva paura che le fosse successo qualcosa, così era passato con del buon vino e una grossa pagnotta.
Gemma fu lusingata e versò da bere per entrambi.  Bastò poco a quella vecchia signora per sentirsi brilla e Gastone fu abile a porre le domande. Ora aveva la risposta e con grande cavalleria salutò la sua amica. Uscì nella notte ma non tornò a casa. Diresse Amleto in altra direzione. Percorsero al chiaro delle stelle una strada piuttosto larga e la controllò in ogni particolare.
Ora sapeva cosa fare. Tornò a casa, prese alcuni attrezzi e tornò indietro. Gli ci volle parecchio tempo per fare quello che doveva e l’alba era già spuntata. Stanco ma elettrizzato si nascose in attesa del calesse delle ragazze.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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