giovedì 30 luglio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte cinquantasette






Con la solita cautela uscì e si diresse velocemente a casa. Il giorno era già spuntato e se qualcuno lo avesse visto poteva destare sospetti. Controllò varie volte di non essere seguito e giunse a casa che era sfinito.
Cincia gli mise davanti la colazione.
“Non vuoi dirmi cosa hai fatto?” Chiese stancamente la vecchia.
Gastone non sapeva se metterla al corrente o meno ma, in quel momento entrò Margherita e fece finta di niente.
Abbracciò la nuova venuta, salutò la vecchia, prese la bisaccia del pranzo e uscì per il suo lavoro. Non aveva chiuso occhio ed era stanco, ma non poteva cambiare le sue abitudini.
Inizio il giro come ogni altro giorno e si accorse subito di essere seguito, era lo stesso uomo del giorno prima.
“Perché non mi raggiunge? Così mi può parlare mentre lavoro.” Gli disse Gastone, e l’investigatore non se lo fece ripetere, lo affiancò e continuarono in silenzio.
Erano vicini alle proprietà di Gorrini. Gastone scese da cavallo e si inoltrò nei vigneti osservando terreno e tralci che non crescevano come dovevano.
“Cos’hanno, secondo te queste viti?” Chiese l’investigatore.
“Non lo so, ma mi piacerebbe scoprirlo. Non è il mio settore, io conosco meglio gli animali selvatici, il loro habitat, conosco alberi e piante e so come curarli, così come curo gli animali quando ci riesco, ma qui, proprio non ci capisco niente. Per questo mi sono fermato, ho l’autorizzazione del padrone.”
Camminavano fra i piccoli sentieri tra i filari, era davvero desolante vedere quella immensa distesa di vigne che stava morendo. Scuotendo la testa, mestamente Gastone ritornò al suo cavallo seguito dall’altro uomo.
“Pensa di seguirmi per tutto il giorno? Mi faccia le domande che vuole così poi posso essere lasciato in pace!”
“Veramente vorrei passare con lei la giornata, vedere e conoscere il suo lavoro, farmi un’idea, insomma.”
“Perché non lo dice chiaramente? Sta investigando su di me. Faccia il suo lavoro in fretta, non sono abituato a lavorare con un cane da guardia alle calcagna.”
“Gliel’ho detto, lei mi incuriosisce e sono sicuro che nasconde qualcosa. Inoltre vive con una vecchia pazza e questo per lei potrebbe essere utile. Sono sicuro che lei non è quel che dice di essere.”
“Allora faccia il suo lavoro e scopra quello che le serve, da me non avrà risposte. Ora la saluto e le dò un consiglio: cerchi di non capitarmi tra i piedi in modo furtivo o il mio pugnale potrebbe trapassarle il cuore, stia lontano da casa mia e dalla vecchia Cincia o verrò io a cercarla, non è una minaccia ma una promessa. Ora vada fuori dai piedi prima che mi incazzi davvero.”
L’investigatore portò la mano al cappello in segno di saluto, girò il cavallo e si allontanò.
Gastone era stizzito da quell’uomo, ma sapeva pure che era pericoloso, era uno che non mollava l’osso tanto facilmente. Continuò il suo lavoro aspettando in ansia che la giornata finisse, perché era davvero stanco e aveva bisogno di riposare.
Rientrò che il crepuscolo non era ancora calato. Era troppo sfinito per proseguire. Si fermò alla pompa dell’acqua a rinfrescarsi prima di entrare in casa. Stranamente la casa era silenziosa, era strano che non ci fosse nessuno, lui era tornato in anticipo ed era sorpreso e un po’ preoccupato di non vedere le due donne. Si preparò uno spuntino e si mise alla finestra. Sentì i passi e uscì sotto il portico.
Un sorriso gli illuminò il viso alla vista delle due donne che arrivavano tenendosi sottobraccio e canticchiando. Cincia aveva proprio bisogno di compagnia e Margherita era una donna meravigliosa, peccato non poterla tenere lì a dormire.
Margherita lasciò il braccio della vecchia e volò fra le braccia dell’uomo che la sollevò da terra e la baciò. Cincia li guardava felice, non aveva perso la flebile speranza di vederli un giorno sposati.
Cenarono tutti insieme poi Gastone accompagnò Margherita a casa. Era evidente che fosse stanco e la donna non lo trattenne, si accordarono per i giorni a venire e, finalmente, l’uomo poté ritornare a casa. Si addormentò ancora prima di toccare il cuscino.
La scomparsa del fabbro era l’argomento di tutto il paese. Si rincorrevano un sacco di ipotesi ma nessuno sembrava essere molto preoccupato. Era un uomo non particolarmente amato dalla comunità.
Di sicuro erano molto più preoccupati gli altri cavalieri.
Gastone passò a trovare alcune delle amiche di Cincia. Ad ognuna aveva portato qualcosa e, soprattutto aveva instillato il dubbio, quello che le chiacchiere avrebbero dovuto riportare. Da quando avevano cominciato a girare dei forestieri a cavallo erano successe cose strane, in alcune case erano entrati degli estranei, le donne si sentivano seguite, ed ora era sparito il fabbro. Tutti fatti ed enigmi che cominciavano a dilagare fra i paesani.
Era ora di passare al passo successivo del piano.
Gastone bussò alla porta del sacrestano e gli disse che aveva un messaggio per lui, la sua vecchia madre aveva bisogno di vederlo e lo aspettava, era caduta e non riusciva a camminare. Lui era passato da quelle parti e le aveva fatto il favore di portargli il messaggio.
Sua moglie stava piuttosto male, ormai mancava poco alla sua fine e si era rassegnato. I suoi figli sarebbero andati a scuola e lui si sarebbe trovato un’altra donna, non vedeva l’ora di avere una vita coniugale migliore, e se la poteva permettere.
Disse alla donna che accudiva la casa che andava dalla madre e che sarebbe tornato per cena.
Ma non fece più ritorno.
Andò a fare compagnia al fabbro.
Era notte fonda e, finalmente Gastone avrebbe avuto tempo per interrogare i due uomini. Indossava un cappuccio ed era vestito di nero, non voleva farsi riconoscere e alterò anche la voce.
La stanza era alquanto macabra. Un letto arrugginito, uno scheletro poggiato al muro, il cadavere che pian piano si andava mummificando del capo dei guardiani, il fabbro con gli occhi spalancati dal terrore e il sacrestano, incredulo che si era appena ripreso e si guardava intorno.
Davanti a loro quell’uomo incappucciato che sembrava un gigante.
Portò alle labbra dei due uomini la borraccia dell’acqua e li dissetò.
“Siete pronti a confessare?” Chiese loro.
“Sei il diavolo?” Blaterò il sacrestano.
“Io sono molto peggio del diavolo, sono l’angelo vendicatore delle vergini!”
Un brivido percorse la spina dorsale dei due uomini. Avevano capito.
Mille pensieri vorticavano in quelle piccole teste, se quell’uomo aveva ammazzato le ragazze non avrebbe avuto rimorso ad ammazzare anche loro, sapevano che non sarebbero usciti vivi da quel posto, anche se non sapevano dove si trovassero.
“Sto aspettando, cominciate a parlare o comincerò io: vi caverò un occhio alla volta, sapete bene che lo so fare, soprattutto tu, sacrestano del diavolo, visto che li hai trovati tutti tu.”
“Cosa vuoi sapere?” Chiese piangendo il sacrestano.
“Non dire niente!” lo ammonì il fabbro. “Abbiamo dei figli e li dobbiamo tutelare, sai bene che non usciremo da qui, stai zitto!”
Lacrime di terrore bagnavano il viso del sacrestano. Gastone prese la borsa e fece tintinnare quello che conteneva. Prese un sottile pugnale e lo avvicinò agli occhi del sacrestano che si pisciò nei pantaloni serrando le palpebre con tutte le sue forze.
“Io sono l’angelo vendicatore.” E cominciò ad incidere la palpebra. Gualtiero urlò e perse i sensi.
“Ora tocca a te!” E si avvicinò al fabbro.
“Cosa vuoi sapere? Se sei davvero l’angelo vendicatore sai tutto, o non sai niente e sei semplicemente un imbroglione. Io non ti dirò una parola, anzi ti dico soltanto che farai una brutta fine! Hai messo il dito in un vespaio e non ne uscirai vivo. Noi siamo i più forti, non temiamo nessuno e c’è già chi ti cerca e stai certo che ti troverà e vendicherà la nostra morte. Noi abbiamo fatto un giuramento e non lo infrangerò!”
Gastone non si aspettava tanta forza. Aveva capito che da lui non sarebbe venuto niente.
“Ti accontento, non ti chiederò niente. Farò a te quello che voi fate alle ragazze.” Gli recise una sola vena del polso e lo lasciò a dissanguarsi lentamente.
Si avvicinò al sacrestano che si era svegliato ed aveva assistito a tutta la scena.
“Vuoi parlare o fare la sua stessa fine?” Gualtiero balbettava e una schiuma densa, provocata dal terrore e dal cuore malato cominciò ad uscirgli dalle labbra. Un rantolo e soffocò nel giro di qualche minuto sotto gli occhi del fabbro che ancora non aveva perso i sensi, ci sarebbe voluto tempo.
“Ora vi lascio, fatevi buona compagnia.” E se ne andò.
Era infuriato per non essere riuscito a farli parlare ma sapeva già quello che gli serviva.
La notte stava schiarendo quando entrò in casa. Ansimava e Rufus gli si accoccolò ai piedi. Ora non restava che aspettare. Le chiacchiere sarebbero aumentate, la sparizione di due uomini così conosciuti le avrebbero alimentate a dismisura. E tutto doveva portare al sospetto sugli investigatori, se serviva doveva fomentare una protesta e non sarebbe stato difficile.
Il piccolo paese era in subbuglio. Il portone della chiesa non era stato aperto e il sacrestano era sparito. La moglie stava morendo e lui non si trovava. Anche il prete era sconvolto: due sparizioni a così breve distanza di tempo non lasciano prevedere niente di buono.
Come succedeva quando c’era preoccupazione, paura o fermento, in chiesa e sul sagrato si radunarono un sacco di persone. C’era chi bisbigliava, chi imprecava e chi parlava apertamente dei forestieri a cavallo.
Il marchese e Morietti erano fra di loro e ascoltavano esterrefatti quelle chiacchiere ed erano davvero molto preoccupati. Non parlavano, non si fidavano, ma i loro sguardi erano eloquenti.
“Ci vediamo alla mia baita, avvisa gli altri, stasera vi aspetto!” E se andò lasciando Morietti a seguire quel fiume di gente e di commenti.
Era la prima settimana di luglio, c’erano molti lavori da fare nei campi ma il terreno sembrava malato più ancora degli animali che stavano morendo o erano già morti. Adesso la sparizione dei due uomini aveva aggravato la situazione.
In quel mentre, il figlio più grande del sacrestano uscì piangendo e urlando: sua madre era morta e voleva suo padre, lui non sapeva cosa fare. Fu il prete che lo prese fra le braccia e prese la situazione nelle sue mani, almeno quello lo sapeva fare.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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