mercoledì 8 luglio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte quarantuno






Per quel giorno aveva scoperto fin troppo e non sapeva se dirlo anche a Cincia. Stava ritornando a casa immerso nei suoi pensieri, aveva molte cose da fare, portare avanti il suo piano ma, ora non sapeva a cosa dare la precedenza. Sì, decise, doveva parlarne con Cincia per schiarirsi le idee.
Non si era reso conto di essere stato assente così a lungo. L’ora del pranzo era passata da un pezzo e la vecchia lo stava aspettando con la tavola ancora apparecchiata.
“Datti una ripulita prima di entrare, sembri un minatore tanto sei sporco!”
Si sciacquò alla pompa e si sedette a tavola mangiando di gusto sotto gli occhi attenti di Cincia.
Mentre beveva un bicchiere di vino fresco mise al corrente la sua amica di ogni cosa. La donna lo ascoltava con molta attenzione ma nessuna emozione traspariva da quel volto rugoso e da quegli occhi che, nonostante l’età, mantenevano una vivacità non indifferente.
“Ora cosa pensi di fare?” Gli chiese.
“E’ quello che mi domando anch’io in continuazione. La mia idea è di sistemare la famiglia del mugnaio. Hai qualche notizia a tal proposito che mi possa servire?”
“Tutti conoscono la famiglia di Carlo Cestelli! Il nonno di Carlo era un gran farabutto. Era una famiglia facoltosa e il vecchio Cesare prestava soldi a usura e li pretendeva indietro quando sapeva bene che i suoi debitori non potevano farlo. Si impossessò di molte terre e di molti immobili. Espropriò il primo mulino e lo diede in gestione al figlio maggiore, e nel circondario ne espropriò molti altri. Alla fine ebbe quello che si meritava: fu trovato cadavere appeso ad un albero e lo fecero passare per suicidio, anche se tutti sapevano bene che qualcuno si era vendicato.”
“Ma quanta brava gente abita in questo posto!” Si lasciò sfuggire l’uomo.
“Dopo la morte del vecchio Cesare cessarono anche le chiacchiere e nessuno dei suoi figli andò ad esigere il rimborso dei prestiti. Forse avevano capito che poteva essere pericoloso!”
“A me non interessa tutta la storia di quella famiglia, mi serve solo conoscere quella attuale, è lui che deve pagare!”
“Carlo Cestelli è un uomo buono, se così si può dire. Ha molti uomini e donne che lavorano per lui e non ho mai sentito nessuno lamentarsi del trattamento che ricevono, è rispettato e non credo che nessuno di quelli che lo conoscono gli vogliano poter fare del male.”
“Parlami della sua famiglia.”
“Se non ricordo male è vedovo da molti anni, e non si è mai risposato. Ha sette figli, cinque maschi e due gemelle, quelle che hanno fatto morire di parto la madre. Non so come si chiamino e non so niente altro di loro due. I figli, naturalmente dirigono ognuno un mulino, ma delle ragazze, che dovrebbero avere circa diciotto anni, non so niente. Non preoccuparti mi informerò con discrezione al prossimo pranzo che faremo con le mie amiche. Potresti sondare Margherita se ci riesci, ma non coinvolgerla in questa storia, quella donna è un’anima semplice, non dobbiamo complicarle la vita.”
“Domani andrò da lei, mi manca non averla più qui, ma non potevo rischiare. Ho bisogno della mia libertà di movimento. A tal proposito stanotte dovrò uscire, porto Rufus con me, voglio vedere dove sbuca il passaggio segreto e porterò un regalino con me.”
“Cerca di essere prudente, non c’è fretta con Morietti, hai altro da fare per ora.”
Gastone sorrise sotto i baffi e si sdraiò sul sofà, aveva bisogno di riposare, gli si prospettava una notte laboriosa.
Era giunto di nuovo davanti al muro che terminava il passaggio segreto. Era vestito di nero ed aveva la sua inseparabile sacca a tracolla. Afferrò l’anello di ferro e lo roteò lentamente. Ci fu un sordo rumore che nel silenzio della notte poteva essere udito facilmente. Con estrema calma tirò a sé l’anello e un portoncino, o quello che così pareva, si aprì: era basso e bisognava abbassarsi per oltrepassarlo. Aveva orecchie ed occhi aperti e Rufus lì vicino che avrebbe colto ogni rumore prima di lui.
Il cane, pur ansimante era tranquillo e questo diede coraggio a Gastone per proseguire.
Uscì da quella piccola apertura e si guardò intorno, era molto curioso di sapere dove iniziava quel tunnel. Le stelle non avevano abbastanza luce per illuminare quel posto e la luna non c’era. I suoi occhi erano già abituati all’oscurità e si guardò intorno. Davanti a lui c’era una statua in pietra e nell’aria un intenso profumo di fiori e di marcio. Stando ben accucciato fece qualche passo avanti e si ritrovò davanti alla statua della Madonna e vari vasi di fiori. Era una santella, e nemmeno tanto piccola: c’era una panca a tre posti, un inginocchiatoio e un paio di sedie di legno. Era ben tenuta e di sicuro anche molto frequentata, visto l’avvicinarsi del mese di maggio era certo che l’avrebbero usata per la recita del rosario.
Fece segno al cane di seguirlo e, con una certa apprensione cominciò ad ispezionare la tanto sorvegliata tenuta di Costantino Morietti.
Sentiva i movimenti di vari animali nelle stalle. Era quello che cercava. Fioche luci rischiaravano debolmente la prima stalla che incontrò sul suo cammino. Vi entrò e restò rasente al muro aspettando per essere sicuro che non ci fosse nessuno. Estrasse dalla sacca una boccetta e tolse il tappo. Versò alcune gocce del contenuto nelle mangiatoie, poi non fidandosi ad andare oltre entrò in un grande fienile pieno di foraggio e mangimi per animali. Sparse tutto il contenuto della boccetta e uscì. Avrebbe tanto desiderato vagare ancora ma sentiva gli zoccoli di alcuni cavalli che di sicuro appartenevano ai guardiani e, con Rufus che cominciava a dare segni di nervosismo tornò sui suoi passi.
Era nel tunnel e lanciò uno sguardo allo scheletro ma passò oltre, era quel libro che lo intrigava e ancora non aveva deciso come fare. Oltrepassò anche quella stanza e uscì all’aperto respirando a pieni polmoni. Aveva le gambe che gli tremavano e il cuore accelerato. Doveva ancora percorrere un bel tratto di strada prima di arrivare a casa e doveva stare molto attento.
Ci impiegò più del previsto, continuava a fermarsi e a controllare. Quello che aveva fatto quella notte era davvero un bel colpo: aveva sparso veleno sul foraggio e sul mangime per il bestiame di Morietti. Che cominciasse con quello!
Cincia si alzò dal letto come sentì aprire la porta. Lanciò uno sguardo all’uomo e al cane e, sospirando ritornò a letto.
L’alba era vicina e tutti avevano bisogno di dormire.
Il primo giorno del nuovo lavoro era fresco e luminoso. La primavera era arrivata con impeto e gli alberi sembravano non riuscire a starle dietro. A Gastone avevano dato un cavallo per il suo lavoro, il territorio da controllare era vasto e, col fucile in spalla, la sua inseparabile sacca e il pugnale nel calzino salutò Cincia e andò incontro a questa nuova avventura.
Mentre respirava a pieni polmoni quell’aria così fresca che tanto gli era mancata nella distilleria, gli sembrò di ritornare indietro nel tempo. Per un attimo gli parve che a casa le sue donne lo stessero aspettando e un malinconico sorriso gli rischiarò per un attimo il viso sempre serio e corrucciato. Non passava giorno che il ricordo e il dolore di quello che gli avevano tolto non gli trafiggesse il cuore. Il suo impegno nel portare a termine la sua vendetta diventava, ogni giorno che passava, sempre più impellente.
Era davanti alla casa di Margherita che lo aspettava per salutarlo. La donna scese i gradini e gli andò vicino.
“Ti aspetto stasera?”
“Farò il possibile. Ora vado. Ci vediamo.” E si inoltrò nel sentiero che avrebbe imparato a conoscere.
Portava con se un quaderno e una matita per riportare mappe, appunti, e tutto quello che gli poteva servire per riferire al suo datore di lavoro.
Andò a curiosare alla baita che aveva rimesso a posto per il marchese. Notò varie impronte di zoccoli di cavallo: qualcuno era stato lì, chissà cosa stava tramando quel perfido personaggio.
Passò oltre e si immerse nella natura ritrovando tutti gli stimoli di quando era ragazzo ed usciva con suo padre. Era questo il suo lavoro, quello che davvero amava fare e, soprattutto era libero di andare dove voleva senza paura di dover dare spiegazioni.

Capitolo diciannove
Le prime due settimane di lavoro passarono velocemente. Maggio era iniziato e lui non era più tornato nel tunnel, ma il pensiero di quel libro non lo lasciava un istante.
Il giorno seguente, domenica e suo giorno libero avrebbero avuto a pranzo le amiche di Cincia, era arrivato il momento di sistemare numero cinque.
Il vociare delle vecchie signore rallegrava la casa di Cincia. La tavola era apparecchiata e molto buon cibo sarebbe stato servito, con tanti avanzi che si sarebbero portate via.
“Ecco il nostro Gastone!”
“Buon giorno a voi, belle signore. Sono davvero contento che siate tornate. Dovremo renderlo un appuntamento fisso, almeno una volta al mese.”
Gridolini di gioia furono interrotti dall’ingresso di Margherita.
Gastone fu stupido divederla ma molto contento che fosse lì anche lei. Le andò incontro e sotto gli occhi e i battimani delle donne la baciò appassionatamente sulla bocca.
Fu con molta allegria che si misero a tavola ed iniziarono a mangiare, come sempre rivangando i vecchi ricordi, infiorando il passato e ridendo come ragazzine. Anche Cincia si stava rilassando e divertendo, sapeva di dover portare il discorso sul mugnaio e aspettava il momento giusto.
Fu una battuta spiritosa di Rosa a dare l’opportunità.
“Ragazze, ragazze, un po’ di serietà!” Disse Cincia senza smettere di ridere. “Qui tra farina, gatte morte e pane duro non ci sto a capire più niente.”
Le risate rendevano quella casa diversa, Gastone e Margherita si guardavano sorridendo, felici di tanto buon umore.
“E del mugnaio chi ne parla?” Buttò lì Cincia.
Altre risate e altre bevute. Nessuno poteva immaginare quanto piacesse il vino a quelle arzille vecchiette.
“Io conosco un solo mugnaio.” Abboccò Anita. “E che mugnaio!” Disse continuando a ridere.
“Non dirmi che hai avuto una storia anche con lui.” Si impennò Maria.
“E anche se fosse? Lo vengo a dire a te?”
Tutte sapevano che Anita era una donna che non lesinava i suoi favori, in passato era stata molto chiacchierata ma lei se ne era sempre infischiata.
“Dai, parlacene! Ormai siamo tutte talmente vecchie che viviamo di ricordi, e quelli piccanti ci piacciono ancora di più!” Rimandò Cincia.
“Va bene, va bene. Ve lo racconto, ma qui manca del vino fresco. Ho la gola secca e se volete che parli la devo bagnare!”
Gastone posò sul tavolo un altro fiasco di vino. “Adesso non hai più scuse. Avanti, comincia a confessare!” Le disse l’uomo, prendendo Margherita sulle sue ginocchia.
“Mie care, quello che vi svelerò vi farà rimanere di stucco!”
Aspettò che tutta l’attenzione fosse per lei.
“Carlo Cestelli è un pederasta! Un invertito!” Aspettò che le sue parole ottenessero l’effetto desiderato. “Io lo so bene, l’ho trovato sul fatto con un forestiero.”


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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