IL SEGRETO DELLA LUNA
parte quarantuno
Per quel
giorno aveva scoperto fin troppo e non sapeva se dirlo anche a Cincia. Stava
ritornando a casa immerso nei suoi pensieri, aveva molte cose da fare, portare
avanti il suo piano ma, ora non sapeva a cosa dare la precedenza. Sì, decise, doveva
parlarne con Cincia per schiarirsi le idee.
Non si era
reso conto di essere stato assente così a lungo. L’ora del pranzo era passata
da un pezzo e la vecchia lo stava aspettando con la tavola ancora
apparecchiata.
“Datti una
ripulita prima di entrare, sembri un minatore tanto sei sporco!”
Si sciacquò
alla pompa e si sedette a tavola mangiando di gusto sotto gli occhi attenti di
Cincia.
Mentre
beveva un bicchiere di vino fresco mise al corrente la sua amica di ogni cosa.
La donna lo ascoltava con molta attenzione ma nessuna emozione traspariva da
quel volto rugoso e da quegli occhi che, nonostante l’età, mantenevano una
vivacità non indifferente.
“Ora cosa
pensi di fare?” Gli chiese.
“E’ quello
che mi domando anch’io in continuazione. La mia idea è di sistemare la famiglia
del mugnaio. Hai qualche notizia a tal proposito che mi possa servire?”
“Tutti
conoscono la famiglia di Carlo Cestelli! Il nonno di Carlo era un gran
farabutto. Era una famiglia facoltosa e il vecchio Cesare prestava soldi a
usura e li pretendeva indietro quando sapeva bene che i suoi debitori non
potevano farlo. Si impossessò di molte terre e di molti immobili. Espropriò il
primo mulino e lo diede in gestione al figlio maggiore, e nel circondario ne
espropriò molti altri. Alla fine ebbe quello che si meritava: fu trovato
cadavere appeso ad un albero e lo fecero passare per suicidio, anche se tutti
sapevano bene che qualcuno si era vendicato.”
“Ma quanta
brava gente abita in questo posto!” Si lasciò sfuggire l’uomo.
“Dopo la
morte del vecchio Cesare cessarono anche le chiacchiere e nessuno dei suoi
figli andò ad esigere il rimborso dei prestiti. Forse avevano capito che poteva
essere pericoloso!”
“A me non
interessa tutta la storia di quella famiglia, mi serve solo conoscere quella
attuale, è lui che deve pagare!”
“Carlo
Cestelli è un uomo buono, se così si può dire. Ha molti uomini e donne che
lavorano per lui e non ho mai sentito nessuno lamentarsi del trattamento che
ricevono, è rispettato e non credo che nessuno di quelli che lo conoscono gli
vogliano poter fare del male.”
“Parlami
della sua famiglia.”
“Se non
ricordo male è vedovo da molti anni, e non si è mai risposato. Ha sette figli,
cinque maschi e due gemelle, quelle che hanno fatto morire di parto la madre.
Non so come si chiamino e non so niente altro di loro due. I figli,
naturalmente dirigono ognuno un mulino, ma delle ragazze, che dovrebbero avere
circa diciotto anni, non so niente. Non preoccuparti mi informerò con
discrezione al prossimo pranzo che faremo con le mie amiche. Potresti sondare
Margherita se ci riesci, ma non coinvolgerla in questa storia, quella donna è
un’anima semplice, non dobbiamo complicarle la vita.”
“Domani
andrò da lei, mi manca non averla più qui, ma non potevo rischiare. Ho bisogno
della mia libertà di movimento. A tal proposito stanotte dovrò uscire, porto
Rufus con me, voglio vedere dove sbuca il passaggio segreto e porterò un
regalino con me.”
“Cerca di
essere prudente, non c’è fretta con Morietti, hai altro da fare per ora.”
Gastone
sorrise sotto i baffi e si sdraiò sul sofà, aveva bisogno di riposare, gli si prospettava
una notte laboriosa.
Era giunto
di nuovo davanti al muro che terminava il passaggio segreto. Era vestito di
nero ed aveva la sua inseparabile sacca a tracolla. Afferrò l’anello di ferro e
lo roteò lentamente. Ci fu un sordo rumore che nel silenzio della notte poteva
essere udito facilmente. Con estrema calma tirò a sé l’anello e un portoncino,
o quello che così pareva, si aprì: era basso e bisognava abbassarsi per
oltrepassarlo. Aveva orecchie ed occhi aperti e Rufus lì vicino che avrebbe
colto ogni rumore prima di lui.
Il cane, pur
ansimante era tranquillo e questo diede coraggio a Gastone per proseguire.
Uscì da
quella piccola apertura e si guardò intorno, era molto curioso di sapere dove
iniziava quel tunnel. Le stelle non avevano abbastanza luce per illuminare quel
posto e la luna non c’era. I suoi occhi erano già abituati all’oscurità e si
guardò intorno. Davanti a lui c’era una statua in pietra e nell’aria un intenso
profumo di fiori e di marcio. Stando ben accucciato fece qualche passo avanti e
si ritrovò davanti alla statua della Madonna e vari vasi di fiori. Era una
santella, e nemmeno tanto piccola: c’era una panca a tre posti, un
inginocchiatoio e un paio di sedie di legno. Era ben tenuta e di sicuro anche
molto frequentata, visto l’avvicinarsi del mese di maggio era certo che
l’avrebbero usata per la recita del rosario.
Fece segno
al cane di seguirlo e, con una certa apprensione cominciò ad ispezionare la
tanto sorvegliata tenuta di Costantino Morietti.
Sentiva i
movimenti di vari animali nelle stalle. Era quello che cercava. Fioche luci
rischiaravano debolmente la prima stalla che incontrò sul suo cammino. Vi entrò
e restò rasente al muro aspettando per essere sicuro che non ci fosse nessuno.
Estrasse dalla sacca una boccetta e tolse il tappo. Versò alcune gocce del
contenuto nelle mangiatoie, poi non fidandosi ad andare oltre entrò in un
grande fienile pieno di foraggio e mangimi per animali. Sparse tutto il
contenuto della boccetta e uscì. Avrebbe tanto desiderato vagare ancora ma
sentiva gli zoccoli di alcuni cavalli che di sicuro appartenevano ai guardiani
e, con Rufus che cominciava a dare segni di nervosismo tornò sui suoi passi.
Era nel
tunnel e lanciò uno sguardo allo scheletro ma passò oltre, era quel libro che
lo intrigava e ancora non aveva deciso come fare. Oltrepassò anche quella
stanza e uscì all’aperto respirando a pieni polmoni. Aveva le gambe che gli
tremavano e il cuore accelerato. Doveva ancora percorrere un bel tratto di
strada prima di arrivare a casa e doveva stare molto attento.
Ci impiegò
più del previsto, continuava a fermarsi e a controllare. Quello che aveva fatto
quella notte era davvero un bel colpo: aveva sparso veleno sul foraggio e sul
mangime per il bestiame di Morietti. Che cominciasse con quello!
Cincia si
alzò dal letto come sentì aprire la porta. Lanciò uno sguardo all’uomo e al
cane e, sospirando ritornò a letto.
L’alba era
vicina e tutti avevano bisogno di dormire.
Il primo
giorno del nuovo lavoro era fresco e luminoso. La primavera era arrivata con
impeto e gli alberi sembravano non riuscire a starle dietro. A Gastone avevano
dato un cavallo per il suo lavoro, il territorio da controllare era vasto e,
col fucile in spalla, la sua inseparabile sacca e il pugnale nel calzino salutò
Cincia e andò incontro a questa nuova avventura.
Mentre
respirava a pieni polmoni quell’aria così fresca che tanto gli era mancata
nella distilleria, gli sembrò di ritornare indietro nel tempo. Per un attimo
gli parve che a casa le sue donne lo stessero aspettando e un malinconico
sorriso gli rischiarò per un attimo il viso sempre serio e corrucciato. Non
passava giorno che il ricordo e il dolore di quello che gli avevano tolto non
gli trafiggesse il cuore. Il suo impegno nel portare a termine la sua vendetta
diventava, ogni giorno che passava, sempre più impellente.
Era davanti
alla casa di Margherita che lo aspettava per salutarlo. La donna scese i
gradini e gli andò vicino.
“Ti aspetto
stasera?”
“Farò il
possibile. Ora vado. Ci vediamo.” E si inoltrò nel sentiero che avrebbe
imparato a conoscere.
Portava con
se un quaderno e una matita per riportare mappe, appunti, e tutto quello che
gli poteva servire per riferire al suo datore di lavoro.
Andò a
curiosare alla baita che aveva rimesso a posto per il marchese. Notò varie
impronte di zoccoli di cavallo: qualcuno era stato lì, chissà cosa stava
tramando quel perfido personaggio.
Passò oltre
e si immerse nella natura ritrovando tutti gli stimoli di quando era ragazzo ed
usciva con suo padre. Era questo il suo lavoro, quello che davvero amava fare
e, soprattutto era libero di andare dove voleva senza paura di dover dare
spiegazioni.
Capitolo diciannove
Le prime due
settimane di lavoro passarono velocemente. Maggio era iniziato e lui non era
più tornato nel tunnel, ma il pensiero di quel libro non lo lasciava un
istante.
Il giorno
seguente, domenica e suo giorno libero avrebbero avuto a pranzo le amiche di
Cincia, era arrivato il momento di sistemare numero cinque.
Il vociare
delle vecchie signore rallegrava la casa di Cincia. La tavola era apparecchiata
e molto buon cibo sarebbe stato servito, con tanti avanzi che si sarebbero
portate via.
“Ecco il
nostro Gastone!”
“Buon giorno
a voi, belle signore. Sono davvero contento che siate tornate. Dovremo renderlo
un appuntamento fisso, almeno una volta al mese.”
Gridolini di
gioia furono interrotti dall’ingresso di Margherita.
Gastone fu
stupido divederla ma molto contento che fosse lì anche lei. Le andò incontro e
sotto gli occhi e i battimani delle donne la baciò appassionatamente sulla
bocca.
Fu con molta
allegria che si misero a tavola ed iniziarono a mangiare, come sempre
rivangando i vecchi ricordi, infiorando il passato e ridendo come ragazzine.
Anche Cincia si stava rilassando e divertendo, sapeva di dover portare il
discorso sul mugnaio e aspettava il momento giusto.
Fu una
battuta spiritosa di Rosa a dare l’opportunità.
“Ragazze,
ragazze, un po’ di serietà!” Disse Cincia senza smettere di ridere. “Qui tra
farina, gatte morte e pane duro non ci sto a capire più niente.”
Le risate
rendevano quella casa diversa, Gastone e Margherita si guardavano sorridendo,
felici di tanto buon umore.
“E del
mugnaio chi ne parla?” Buttò lì Cincia.
Altre risate
e altre bevute. Nessuno poteva immaginare quanto piacesse il vino a quelle
arzille vecchiette.
“Io conosco
un solo mugnaio.” Abboccò Anita. “E che mugnaio!” Disse continuando a ridere.
“Non dirmi
che hai avuto una storia anche con lui.” Si impennò Maria.
“E anche se
fosse? Lo vengo a dire a te?”
Tutte
sapevano che Anita era una donna che non lesinava i suoi favori, in passato era
stata molto chiacchierata ma lei se ne era sempre infischiata.
“Dai, parlacene!
Ormai siamo tutte talmente vecchie che viviamo di ricordi, e quelli piccanti ci
piacciono ancora di più!” Rimandò Cincia.
“Va bene, va
bene. Ve lo racconto, ma qui manca del vino fresco. Ho la gola secca e se
volete che parli la devo bagnare!”
Gastone posò
sul tavolo un altro fiasco di vino. “Adesso non hai più scuse. Avanti, comincia
a confessare!” Le disse l’uomo, prendendo Margherita sulle sue ginocchia.
“Mie care,
quello che vi svelerò vi farà rimanere di stucco!”
Aspettò che
tutta l’attenzione fosse per lei.
“Carlo
Cestelli è un pederasta! Un invertito!” Aspettò che le sue parole ottenessero
l’effetto desiderato. “Io lo so bene, l’ho trovato sul fatto con un
forestiero.”
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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