IL SEGRETO DELLA LUNA
parte quarantanove
Gastone lo
sollevò rendendosi conto di quanto poco pesasse, doveva essere davvero
ammalato. Senza molta fatica lo trasportò ancora svenuto nel tunnel e lo
sistemò nella stanza insieme allo scheletro. Gli legò mani e piedi e gli tappò
la bocca. Ora non gli restava che aspettare che quello rinvenisse.
Intanto che
i minuti passavano Gastone si guardava intorno, avrebbe tanto voluto dare un
nome a quelle povere ossa ma non ne aveva nessuna possibilità.
Un leggero
tossire lo riportò al presente.
Lentamente
l’uomo legato e imbavagliato riprese conoscenza. Tossiva e lacrimava dalla
fatica di respirare e Gastone gli tolse il bavaglio.
“Bentornato.”
Gli disse sarcastico Gastone.
L’altro
ancora tossiva e un leggero rivolo di sangue gli colava sul mento senza che
potesse asciugarselo.
“E così sei
anche malato, e non da poco a quanto pare!”
“Che ti
importa? Tanto so benissimo che non uscirò vivo da qui, a proposito, dove
sono?” Gli chiese senza timore.
“Non lo
saprai mai dove sei, ma è il posto dove morirai e, soprattutto dove nessuno ti
troverà mai.” Gli rispose Gastone.
“Perché mi
fai questo?”
“E tu perché
mi segui da sempre?”
I due uomini
si guardavano dritti negli occhi, la fiamma di due torce non emanava molta luce
ma gli sguardi dei due uomini sembravano lampeggiare. Quello legato non
mostrava nessuna paura e il suo aguzzino non mostrava sentimenti umani.
“Non mi sei
mai piaciuto, tu nascondi qualcosa ed io lo voglio scoprire. Visto che dovrò
morire qui dentro, ovunque sia, merito di sapere cosa ci fai qui!” Scandì
lentamente.
“Ho paura
che morirai senza scoprirlo. L’unica cosa che devi sapere è che una volta che
ti avrò tolto di mezzo io avrò maggior libertà di movimento e porterò a termine
quello che sono venuto a fare proprio qui.”
“La mia
assenza non passerà inosservata.” Ringhiò quello.
“Non ha
nessuna importanza, sarà un altro mistero che si somma ad altri misteri. Alla
fine tutto sarà compiuto ed io me ne andrò soddisfatto.”
“Non la
farai franca, ne puoi essere certo!”
“Oh sì che
la farò franca! E’ una certezza! Ma prima moriranno molte altre persone e
rovinerò tutti quanti!” Si lasciò sfuggire.
“Lo sapevo
che c’eri tu dietro a quello che sta succedendo e mi pento di non averlo detto
a nessuno.”
“Ormai è
troppo tardi e nessuno saprà mai niente della tua fine. Una vita a servire un
delinquente per poi morire solo come una biscia!” Sghignazzò Gastone.
“Tu non sai
quanto potere ha il mio padrone, ti schiaccerà sotto i suoi stivali e vorrei
proprio esserci quando succederà!” Gli rispose.
“Non ti
preoccupare per me, vedrai ogni cosa dal regno dei morti e ritroverai tanti
tuoi conoscenti. Sei disposto a rispondere alle mie domande?” Gli chiese
Gastone.
“So che devo
morire, non ti dirò proprio niente. Mi fai un favore a uccidermi, così nessuno
vedrà il decadimento al quale il mio corpo era destinato. Uccidimi e falla
finita!”
“Guardati
intorno, vedi quello scheletro? E’ di una ragazza morta qui dentro di stenti,
abbandonata, per questo ti ho messo qui, farai la sua stessa fine. Ti piscerai
nei pantaloni, potrai urlare quanto ti pare ma alla fine morirai come lei. Non
mi importa niente delle tue risposte le ho già trovate da solo. Questa è
l’ultima volta che ci vediamo, qui è il tuo destino che si compie, ed io vado a
sistemarne altri.” Disse molto pacatamente Gastone.
L’uomo
legato cominciò ad agitarsi e la tosse gli tornò improvvisa. Non aveva le mani
libere per tamponare il sangue che gli colava dal mento. Era spaventato. Per la
prima volta nella sua vita era davvero spaventato, nemmeno la malattia lo aveva
intimorito così, avrebbe desiderato una lama nel cuore e farla finita ma,
rendersi conto di morire da solo, al buio in compagnia di uno scheletro lo
atterriva.
Lanciò un
urlo impazzito. “Non puoi farmi questo! Piantami la lama nel cuore e vattene,
ma non lasciarmi qui a morire di stenti! Io non ti ho fatto niente!” Urlò
l’uomo.
Gastone lo
osservava con occhi di ghiaccio. Effettivamente non aveva tutti i torti, lui
non gli aveva fatto niente, o sì?
“Lo farò se
rispondi ad una mia domanda. Cosa ne sai delle ragazze sacrificate?”
L’uomo
legato lo guardò senza capire la domanda. Era sincero, non c’erano dubbi, non
ne sapeva niente.
Gastone si
inginocchiò accanto a lui, estrasse il pugnale e lo infilò con precisione
chirurgica nel cuore dell’uomo. Pochi attimi e quello spirò.
Gastone si
rialzò e rimase qualche attimo a guardare il corpo afflosciato dell’uomo,
sapeva di avergli fatto un favore, stava andando incontro ad una morte per
malattia e all’umiliazione che essa comportava. Non provò niente, solo la
consapevolezza di essersi liberato di uno scomodo nemico.
Anche questa
era fatta. Ripulì la lama nella giacca del morto e uscì.
Le ultime
stelle tremolavano in attesa di sparire con l’aurora. Doveva affrettarsi a
tornare a casa, non si era accorto di essersi attardato così. Con Rufus al
fianco rientrò e si lasciò cadere di peso sul sofà piombando in un sonno
ristoratore.
Capitolo ventitre
Mancava una
settimana esatta alla riunione dei cavalieri. Gastone era pronto, adesso
conosceva tante cose, soprattutto sapeva i nomi di tutti loro e sapeva come
vendicarsi. Aveva raggiunto una tranquillità momentanea, era l’attesa e la
consapevolezza che adesso, davvero poteva fare loro molto male.
Stava ancora
decidendo come procedere, il suo intento era quello di uccidere Gemma, la
giovane figlia dell’allevatore.
Era giorno
pieno e lui stava perlustrando la zona vicino al fiume, doveva decidersi a far
saltare quei massi di pietra. Era curioso di sapere cosa pensavano alla tenuta
Morietti dell’assenza del loro capo guardiano. Le ragazze ora avrebbero avuto
una scorta meno valida e lui doveva approfittarne.
Era una giornata
calda e decise di ritornare a casa a pranzare con Cincia, era molto stanco dopo
la notte passata nel tunnel e tante altre notti passate a girovagare solitario
per scoprire i punti deboli dei suoi nemici.
Seduti a
tavola, in silenzio come al solito, stavano sorseggiando della limonata fresca
quando Rufus iniziò a ringhiare.
Gastone andò
alla porta e aspettò di vedere chi era venuto fin lì.
Fu sorpreso
di vedere Gemma in sella alla sua bellissima cavalla, non era un orario quello
per andare in giro da soli, sotto il sole che sembrava poter sciogliere anche i
cappelli.
Gastone le
si avvicinò e l’aiutò a scendere dalla groppa.
“Entri che
c’è più fresco, che ci fa in giro con questo caldo?”
Cincia le
versò della limonata e la ragazzina salutò e ringraziò educatamente. Era
davvero molto graziosa ma nessuno dei due fu intenerito da questo e dalla sua
vivacità e cordialità.
“Mi deve
scusare, signor Gastone per esserle piombata così senza preavviso. Ho
approfittato dell’assenza dei miei genitori e della pausa dei sorveglianti,
nessuno mi ha vista uscire, nemmeno lo stalliere che è andato al fiume con
altri ragazzi. Volevo solo farle sapere che io ho tutto pronto per il ritratto
ed ero curiosa di vedere dove vive, per trasferire l’atmosfera nel dipinto.
Spero mi perdoni per l’audacia.” Disse abbassando lo sguardo.
Era una
ragazzina abituata ad ottenere tutto quello che voleva e questo, Gastone lo
aveva capito subito, inoltre sotto il velo della gentilezza nascondeva una
determinazione non indifferente, non per niente era degna figlia di suo padre.
“Mi fa
piacere che sia venuta fin qui, ma io non ho ancora trovato il tempo per posare
per lei.” Le rispose gentilmente l’uomo.
Gemma
sorseggiava lentamente la bibita e si guardava intorno. Il suo sguardo si posò
spesso su Cincia ma quella non la degnò né di uno sguardo né di una parola, si
limitò a versarle la limonata.
“Se la
ragazza vuole farti qualche schizzo, perché non la porti nel tuo casotto? La
tua vera essenza la troverà là dentro!” Sbottò Cincia senza alzare lo sguardo.
Gastone
aveva ben capito cosa intendeva e anche lui sapeva che era un’occasione da
prendere al volo. Non avrebbe voluto, non aveva la certezza che nessuno
l’avesse vista andare da lui, ma in fin dei conti se anche fosse stato così
nessuno lo avrebbe potuto collegare all’omicidio che si apprestava a compiere,
e Cincia gli avrebbe fornito l’alibi, se fosse stato necessario.
“Mi rimane
ancora un po’ di tempo prima di riprendere il lavoro e, visto che ha portato
con sé il necessario, venga, l’accompagno nel mio regno.” Si alzò da tavolo e
la ragazzina lo seguì, emozionata e sorridente.
Entrarono in
silenzio. Il posto era in ordine e pulito. Gli occhi di Gemma guardavano
incuriositi ogni cosa e stava già organizzando mentalmente come avrebbe
realizzato i primi schizzi.
Gastone le
girava la schiena impegnato in qualcosa e lei osservava ogni singolo
particolare per poterlo poi riportare nel disegno.
“Venga,
signorina Gemma.”
La ragazzina
si avvicinò e l’uomo, con gesto fulmineo le coprì naso e bocca con un panno
imbevuto di cloroformio.
Pochi
istanti e la ragazzina era addormentata. La depose sul tavolo e la guardò
dormire. Dio come le ricordava sua figlia! Un groppo in gola gli stringeva il
respiro. Strinse i pugni e si costrinse a continuare.
Prese lo
stiletto e si avvicinò. La sua mano sembrava tremare, indugiare. Il respiro
della ragazzina stava aumentando e presto si sarebbe svegliata, non poteva
aspettare oltre.
Si costrinse
a visualizzare il corpo di sua figlia inchiodato all’albero e la sua rabbia
montò a dismisura. Senza indugiare oltre le infilò lo stiletto dritto nel
cuore. Morì quasi all’istante.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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