lunedì 20 luglio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte quarantanove






Gastone lo sollevò rendendosi conto di quanto poco pesasse, doveva essere davvero ammalato. Senza molta fatica lo trasportò ancora svenuto nel tunnel e lo sistemò nella stanza insieme allo scheletro. Gli legò mani e piedi e gli tappò la bocca. Ora non gli restava che aspettare che quello rinvenisse.
Intanto che i minuti passavano Gastone si guardava intorno, avrebbe tanto voluto dare un nome a quelle povere ossa ma non ne aveva nessuna possibilità.
Un leggero tossire lo riportò al presente.
Lentamente l’uomo legato e imbavagliato riprese conoscenza. Tossiva e lacrimava dalla fatica di respirare e Gastone gli tolse il bavaglio.
“Bentornato.” Gli disse sarcastico Gastone.
L’altro ancora tossiva e un leggero rivolo di sangue gli colava sul mento senza che potesse asciugarselo.
“E così sei anche malato, e non da poco a quanto pare!”
“Che ti importa? Tanto so benissimo che non uscirò vivo da qui, a proposito, dove sono?” Gli chiese senza timore.
“Non lo saprai mai dove sei, ma è il posto dove morirai e, soprattutto dove nessuno ti troverà mai.” Gli rispose Gastone.
“Perché mi fai questo?”
“E tu perché mi segui da sempre?”
I due uomini si guardavano dritti negli occhi, la fiamma di due torce non emanava molta luce ma gli sguardi dei due uomini sembravano lampeggiare. Quello legato non mostrava nessuna paura e il suo aguzzino non mostrava sentimenti umani.
“Non mi sei mai piaciuto, tu nascondi qualcosa ed io lo voglio scoprire. Visto che dovrò morire qui dentro, ovunque sia, merito di sapere cosa ci fai qui!” Scandì lentamente.
“Ho paura che morirai senza scoprirlo. L’unica cosa che devi sapere è che una volta che ti avrò tolto di mezzo io avrò maggior libertà di movimento e porterò a termine quello che sono venuto a fare proprio qui.”
“La mia assenza non passerà inosservata.” Ringhiò quello.
“Non ha nessuna importanza, sarà un altro mistero che si somma ad altri misteri. Alla fine tutto sarà compiuto ed io me ne andrò soddisfatto.”
“Non la farai franca, ne puoi essere certo!”
“Oh sì che la farò franca! E’ una certezza! Ma prima moriranno molte altre persone e rovinerò tutti quanti!” Si lasciò sfuggire.
“Lo sapevo che c’eri tu dietro a quello che sta succedendo e mi pento di non averlo detto a nessuno.”
“Ormai è troppo tardi e nessuno saprà mai niente della tua fine. Una vita a servire un delinquente per poi morire solo come una biscia!” Sghignazzò Gastone.
“Tu non sai quanto potere ha il mio padrone, ti schiaccerà sotto i suoi stivali e vorrei proprio esserci quando succederà!” Gli rispose.
“Non ti preoccupare per me, vedrai ogni cosa dal regno dei morti e ritroverai tanti tuoi conoscenti. Sei disposto a rispondere alle mie domande?” Gli chiese Gastone.
“So che devo morire, non ti dirò proprio niente. Mi fai un favore a uccidermi, così nessuno vedrà il decadimento al quale il mio corpo era destinato. Uccidimi e falla finita!”
“Guardati intorno, vedi quello scheletro? E’ di una ragazza morta qui dentro di stenti, abbandonata, per questo ti ho messo qui, farai la sua stessa fine. Ti piscerai nei pantaloni, potrai urlare quanto ti pare ma alla fine morirai come lei. Non mi importa niente delle tue risposte le ho già trovate da solo. Questa è l’ultima volta che ci vediamo, qui è il tuo destino che si compie, ed io vado a sistemarne altri.” Disse molto pacatamente Gastone.
L’uomo legato cominciò ad agitarsi e la tosse gli tornò improvvisa. Non aveva le mani libere per tamponare il sangue che gli colava dal mento. Era spaventato. Per la prima volta nella sua vita era davvero spaventato, nemmeno la malattia lo aveva intimorito così, avrebbe desiderato una lama nel cuore e farla finita ma, rendersi conto di morire da solo, al buio in compagnia di uno scheletro lo atterriva.
Lanciò un urlo impazzito. “Non puoi farmi questo! Piantami la lama nel cuore e vattene, ma non lasciarmi qui a morire di stenti! Io non ti ho fatto niente!” Urlò l’uomo.
Gastone lo osservava con occhi di ghiaccio. Effettivamente non aveva tutti i torti, lui non gli aveva fatto niente, o sì?
“Lo farò se rispondi ad una mia domanda. Cosa ne sai delle ragazze sacrificate?”
L’uomo legato lo guardò senza capire la domanda. Era sincero, non c’erano dubbi, non ne sapeva niente.
Gastone si inginocchiò accanto a lui, estrasse il pugnale e lo infilò con precisione chirurgica nel cuore dell’uomo. Pochi attimi e quello spirò.
Gastone si rialzò e rimase qualche attimo a guardare il corpo afflosciato dell’uomo, sapeva di avergli fatto un favore, stava andando incontro ad una morte per malattia e all’umiliazione che essa comportava. Non provò niente, solo la consapevolezza di essersi liberato di uno scomodo nemico.
Anche questa era fatta. Ripulì la lama nella giacca del morto e uscì.
Le ultime stelle tremolavano in attesa di sparire con l’aurora. Doveva affrettarsi a tornare a casa, non si era accorto di essersi attardato così. Con Rufus al fianco rientrò e si lasciò cadere di peso sul sofà piombando in un sonno ristoratore.

Capitolo ventitre
Mancava una settimana esatta alla riunione dei cavalieri. Gastone era pronto, adesso conosceva tante cose, soprattutto sapeva i nomi di tutti loro e sapeva come vendicarsi. Aveva raggiunto una tranquillità momentanea, era l’attesa e la consapevolezza che adesso, davvero poteva fare loro molto male.
Stava ancora decidendo come procedere, il suo intento era quello di uccidere Gemma, la giovane figlia dell’allevatore.
Era giorno pieno e lui stava perlustrando la zona vicino al fiume, doveva decidersi a far saltare quei massi di pietra. Era curioso di sapere cosa pensavano alla tenuta Morietti dell’assenza del loro capo guardiano. Le ragazze ora avrebbero avuto una scorta meno valida e lui doveva approfittarne.
Era una giornata calda e decise di ritornare a casa a pranzare con Cincia, era molto stanco dopo la notte passata nel tunnel e tante altre notti passate a girovagare solitario per scoprire i punti deboli dei suoi nemici.
Seduti a tavola, in silenzio come al solito, stavano sorseggiando della limonata fresca quando Rufus iniziò a ringhiare.
Gastone andò alla porta e aspettò di vedere chi era venuto fin lì.
Fu sorpreso di vedere Gemma in sella alla sua bellissima cavalla, non era un orario quello per andare in giro da soli, sotto il sole che sembrava poter sciogliere anche i cappelli.
Gastone le si avvicinò e l’aiutò a scendere dalla groppa.
“Entri che c’è più fresco, che ci fa in giro con questo caldo?”
Cincia le versò della limonata e la ragazzina salutò e ringraziò educatamente. Era davvero molto graziosa ma nessuno dei due fu intenerito da questo e dalla sua vivacità e cordialità.
“Mi deve scusare, signor Gastone per esserle piombata così senza preavviso. Ho approfittato dell’assenza dei miei genitori e della pausa dei sorveglianti, nessuno mi ha vista uscire, nemmeno lo stalliere che è andato al fiume con altri ragazzi. Volevo solo farle sapere che io ho tutto pronto per il ritratto ed ero curiosa di vedere dove vive, per trasferire l’atmosfera nel dipinto. Spero mi perdoni per l’audacia.” Disse abbassando lo sguardo.
Era una ragazzina abituata ad ottenere tutto quello che voleva e questo, Gastone lo aveva capito subito, inoltre sotto il velo della gentilezza nascondeva una determinazione non indifferente, non per niente era degna figlia di suo padre.
“Mi fa piacere che sia venuta fin qui, ma io non ho ancora trovato il tempo per posare per lei.” Le rispose gentilmente l’uomo.
Gemma sorseggiava lentamente la bibita e si guardava intorno. Il suo sguardo si posò spesso su Cincia ma quella non la degnò né di uno sguardo né di una parola, si limitò a versarle la limonata.
“Se la ragazza vuole farti qualche schizzo, perché non la porti nel tuo casotto? La tua vera essenza la troverà là dentro!” Sbottò Cincia senza alzare lo sguardo.
Gastone aveva ben capito cosa intendeva e anche lui sapeva che era un’occasione da prendere al volo. Non avrebbe voluto, non aveva la certezza che nessuno l’avesse vista andare da lui, ma in fin dei conti se anche fosse stato così nessuno lo avrebbe potuto collegare all’omicidio che si apprestava a compiere, e Cincia gli avrebbe fornito l’alibi, se fosse stato necessario.
“Mi rimane ancora un po’ di tempo prima di riprendere il lavoro e, visto che ha portato con sé il necessario, venga, l’accompagno nel mio regno.” Si alzò da tavolo e la ragazzina lo seguì, emozionata e sorridente.
Entrarono in silenzio. Il posto era in ordine e pulito. Gli occhi di Gemma guardavano incuriositi ogni cosa e stava già organizzando mentalmente come avrebbe realizzato i primi schizzi.
Gastone le girava la schiena impegnato in qualcosa e lei osservava ogni singolo particolare per poterlo poi riportare nel disegno.
“Venga, signorina Gemma.”
La ragazzina si avvicinò e l’uomo, con gesto fulmineo le coprì naso e bocca con un panno imbevuto di cloroformio.
Pochi istanti e la ragazzina era addormentata. La depose sul tavolo e la guardò dormire. Dio come le ricordava sua figlia! Un groppo in gola gli stringeva il respiro. Strinse i pugni e si costrinse a continuare.
Prese lo stiletto e si avvicinò. La sua mano sembrava tremare, indugiare. Il respiro della ragazzina stava aumentando e presto si sarebbe svegliata, non poteva aspettare oltre.
Si costrinse a visualizzare il corpo di sua figlia inchiodato all’albero e la sua rabbia montò a dismisura. Senza indugiare oltre le infilò lo stiletto dritto nel cuore. Morì quasi all’istante.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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