IL SEGRETO DELLA LUNA
parte quarantaquattro
Si
salutarono e Gastone attese di sapere per quale motivo era stato convocato. Nel
frattempo cercava di imprimersi ogni dettaglio di quell’immenso posto.
Nell’aria
c’era un forte odore di carne bruciata. Le carcasse degli animali morti
venivano bruciate nella speranza che l’epidemia si potesse arrestare.
Costantino
fece strada ai due e li condusse in un ripostiglio fresco, c’era anche un
rudimentale tavolo e alcune sedie, doveva essere un posto di ristoro per chi
lavorava lì.
Si sedettero
che ancora non avevano detto una parola.
Costantino
fissava negli occhi l’uomo di fronte a lui, cercando di leggergli dentro ma gli
occhi di Gastone non lasciavano trasparire la minima emozione. Senza alcun
timore ricambiava lo sguardo e non abbassava lo sguardo. Sembrava una guerra
muta fra i due e il terzo era un po’ a disagio.
“So che stai
facendo un buon lavoro.” Si decise a parlare Costantino
“Faccio del
mio meglio, è un lavoro che mi piace.” Rispose l’altro.
“Avrai
saputo dell’epidemia che ha colpito i miei allevamenti, ti ho convocato per
chiederti se puoi aiutarmi a capire di cosa si tratta, ma soprattutto se puoi
fare qualcosa per porvi fine.”
“La
ringrazio per la fiducia, io sono un semplice guardacaccia, è vero che curo
alcuni animali selvatici ma niente a che fare con animali da allevamento
malati. Non credo di poterla aiutare, e mi dispiace.”
Costantino
era assorto. Non vi aveva riposto molta fiducia ma non sapeva più a chi
rivolgersi, la moria nelle sue stalle, nelle scuderie, e perfino negli animali
da cortile stava distruggendo tutto quello che viveva nella sua tenuta.
“Puoi sempre
venire a dare un’occhiata.” Gli disse alzandosi in piedi.
Uscirono. Il
tanfo di carne bruciata era talmente forte che dovettero coprirsi il naso col
fazzoletto che portavano al collo.
Nella stalla
delle mucche da latte non ce n’era una che stesse in piedi. Alcuni vitelli
morti erano pronti per essere portati sul rogo e i lamenti di quelle povere
bestie laceravano le orecchie.
Le scuderie
erano già vuote, nemmeno un cavallo si era salvato. Erano animali più delicati
o forse avevano mangiato più foraggio avvelenato.
I capannoni
dei maiali avevano porte e finestre aperte e un tanfo disgustoso avvolgeva quei
posti, ci si avvicinava solo a volto coperto e spesso, gli uomini addetti a
portare fuori le carcasse vomitavano e dovevano darsi il cambio di continuo.
Era davvero
una desolazione: un patrimonio che stava andando in fumo.
Gastone si
chiese cosa ne avesse fatto del ricordino che gli aveva lasciato. Dio come
avrebbe voluto aver visto la sua faccia.
In quel
momento un ragazzino arrivò di corsa chiamando a gran voce il suo padrone.
Stizzito,
Costantino si fermò ad aspettarlo.
“Padrone,
guarda cosa ho trovato!” E gli consegnò la ciocca di capelli rossi.
L’uomo
sbiancò e voltò le spalle.
Si sentiva
il suo respiro che sembrava un rantolo.
Gastone
gongolava dentro di sé.
“Riaccompagna
il nostro ospite. Io ho da fare.” E se ne andò.
Gastone
riprese il suo giro, soddisfatto di essere stato presente, un desiderio che non
avrebbe mai immaginato si potesse realizzare. E non era ancora finita!
Passò per il
paese, doveva andare dal fabbro per un lavoro che gli aveva lasciato. Passò
vicino alla chiesa e il figlio del sacrestano lo vide e lo salutò. Stava
diventando grande, era davvero un ragazzo che meritava una vita migliore e
sapeva che il padre lo avrebbe mandato in città a studiare, era felice per lui.
Il
pomeriggio era piuttosto caldo e Gastone ritornò al mulino Cestelli. Con la
scusa di vedere come stava la bambina, aveva una cosa da osservare. Un piano si
stava formando nella sua mente, in attesa di scoprire come colpire al cuore
quel maledetto lo avrebbe colpito negli affari.
Fece un
saluto veloce e continuò la sua perlustrazione: aveva preso due decisioni ed
ora le avrebbe portate a compimento.
Per alcuni
giorni si limitò a fare il suo lavoro e a passare le serate con Margherita.
Era domenica
sera e i due stavano nudi sul letto a gustarsi del buon vino. Erano felici
della loro storia. Mangiarono qualcosa e ritornarono a letto, non ne avevano
mai abbastanza.
Era notte
fonda quando Gastone salutò con un bacio la sua donna addormentata e uscì.
La notte era
buia, soltanto grilli e lucciole rallegravano la notte tiepida. Prese dalla
bisaccia cinque sacche piene di sassi. Andò nell’orto del fabbro e le sostituì,
prendendosi altre monete, se continuava così sarebbe diventato il più ricco del
paese. Estrasse una ciocca di capelli rossi intrecciati con un nastro blu e la depositò
chiudendo il coperchio, non era bastata una chiusura nuova e complicata a
fermarlo.
Sorridendo
sotto i baffi se ne tornò a casa, depositò le sacche nel suo casotto, in un
altro nascondiglio che aveva preparato e andò a dormire.
Se
cominciava a conoscere i suoi nemici sapeva che prima o poi si sarebbero
trovati tutti nella baita del marchese, ma era ancora prematuro.
Maggio stava
trascorrendo senza scossoni, almeno in apparenza. Gastone sapeva bene che c’era
molto subbuglio fra i cavalieri, almeno fra alcuni.
La luna
piena di maggio era scomparsa e il buio della notte era rischiarato solo dalle
stelle.
Silenzioso
come al solito, Gastone era arrivato al mulino. La ruota stava girando
lentamente in attesa di iniziare i lavori a pieno ritmo.
Entrò nel
grande capannone che ospitava le pietre della macina, un grande spazio per i
sacchi della farina, al momento vuoto e si avvicinò agli ingranaggi della ruota.
Aveva un
lavoro difficoltoso da fare e non sapeva se ci sarebbe riuscito in una volta
sola, ma ce l’avrebbe messa tutta.
Trovò i
bulloni che tenevano ancorata la parte centrale della ruota e cominciò ad
allentarli. Erano grossi e ben avvitati, l’operazione non era per niente
agevole. Ci mise un sacco di tempo per allentarne uno, poi capì meglio come
procedere e fu più veloce.
Ci vollero
più di tre ore per finire il lavoro. Doveva sbrigarsi ad andarsene. Alcune luci
già si stavano accendendo nelle case, sarebbe tornato la notte successiva a
terminare quello che aveva in mente.
Era stanco
mentre svolgeva la sua perlustrazione ma non aveva ancora finito con la ruota
del mulino.
La notte
successiva era là fuori, in bilico sull’acqua del ruscello che scorreva
placida. Le pale della ruota giravano lentamente e lui, con pazienza e perizia
versò su ognuna di essa alcune gocce di un liquido corrosivo. Era difficile ma
era determinato e, alla fine aveva fatto un buon lavoro. Senza perdere tempo
entrò nel mulino e terminò di svitare i bulloni. Doveva fare in modo che
saltassero quando lui fosse lontano, perciò se ne andò di corsa, non prima di
aver lasciato appeso al muro una ciocca di capelli rossi intrecciati con un
nastro blu.
Non aveva
ancora raggiunto il cavallo che sentì uno schianto. I bulloni dovevano aver
ceduto e la ruota caduta in acqua. Le pale si erano spezzate e galleggiavano
sull’acqua mentre la gente che viveva lì correva a vedere cosa fosse successo.
Gastone non
tergiversò. Salì in groppa al cavallo e tornò a casa.
Cincia era
pronta con la colazione. Lo guardò in viso.
“Fatto.”
Disse soltanto l’uomo, e si mise a mangiare.
Era stanco;
da due notti non dormiva ma riprese il suo lavoro. Stette lontano dal mulino.
Tutto il paese era corso a vedere cosa fosse successo e lui ne approfittò per
entrare in chiesa e lasciare una ciocca di capelli rossi intrecciati con un
nastro blu nella mano della Madonna che teneva il rosario.
Trascorse i
successivi giorni compiendo il suo lavoro e cercando di recuperare il sonno
perduto. Aveva ancora alcune notti da impiegare ed era arrivato il momento.
Uscì di
casa, come al solito entrò nel suo casotto e si cambiò di abito, prese la sua
sacca che già aveva preparato. Toccava al marchese. Non voleva correre rischi,
perciò si recò a piedi nelle sue proprietà.
Erano
talmente vaste che era impossibile per i suoi guardiani controllarle tutte
contemporaneamente.
Il primo
campo era coltivato a grano e stava crescendo bene. Stando ben attento a non
lasciare tracce sparse sul campo alcuni granelli di veleno. Fece in tempo a
fare l’operazione su cinque campi prima che, stanco e affaticato rientrasse a
casa.
L’alba stava
spuntando e non aveva tempo di riposare. Fece colazione con Cincia, prese il
cavallo e uscì per la sua perlustrazione giornaliera.
Controllò le
proprietà del marchese e i suoi guardiani lo salutarono. Riuscì a spargere i
suoi tremendi granelli su altri campi e, la notte stessa ne contaminò molti
altri.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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