lunedì 13 luglio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte quarantaquattro






Si salutarono e Gastone attese di sapere per quale motivo era stato convocato. Nel frattempo cercava di imprimersi ogni dettaglio di quell’immenso posto.
Nell’aria c’era un forte odore di carne bruciata. Le carcasse degli animali morti venivano bruciate nella speranza che l’epidemia si potesse arrestare.
Costantino fece strada ai due e li condusse in un ripostiglio fresco, c’era anche un rudimentale tavolo e alcune sedie, doveva essere un posto di ristoro per chi lavorava lì.
Si sedettero che ancora non avevano detto una parola.
Costantino fissava negli occhi l’uomo di fronte a lui, cercando di leggergli dentro ma gli occhi di Gastone non lasciavano trasparire la minima emozione. Senza alcun timore ricambiava lo sguardo e non abbassava lo sguardo. Sembrava una guerra muta fra i due e il terzo era un po’ a disagio.
“So che stai facendo un buon lavoro.” Si decise a parlare Costantino
“Faccio del mio meglio, è un lavoro che mi piace.” Rispose l’altro.
“Avrai saputo dell’epidemia che ha colpito i miei allevamenti, ti ho convocato per chiederti se puoi aiutarmi a capire di cosa si tratta, ma soprattutto se puoi fare qualcosa per porvi fine.”
“La ringrazio per la fiducia, io sono un semplice guardacaccia, è vero che curo alcuni animali selvatici ma niente a che fare con animali da allevamento malati. Non credo di poterla aiutare, e mi dispiace.”
Costantino era assorto. Non vi aveva riposto molta fiducia ma non sapeva più a chi rivolgersi, la moria nelle sue stalle, nelle scuderie, e perfino negli animali da cortile stava distruggendo tutto quello che viveva nella sua tenuta.
“Puoi sempre venire a dare un’occhiata.” Gli disse alzandosi in piedi.
Uscirono. Il tanfo di carne bruciata era talmente forte che dovettero coprirsi il naso col fazzoletto che portavano al collo.
Nella stalla delle mucche da latte non ce n’era una che stesse in piedi. Alcuni vitelli morti erano pronti per essere portati sul rogo e i lamenti di quelle povere bestie laceravano le orecchie.
Le scuderie erano già vuote, nemmeno un cavallo si era salvato. Erano animali più delicati o forse avevano mangiato più foraggio avvelenato.
I capannoni dei maiali avevano porte e finestre aperte e un tanfo disgustoso avvolgeva quei posti, ci si avvicinava solo a volto coperto e spesso, gli uomini addetti a portare fuori le carcasse vomitavano e dovevano darsi il cambio di continuo.
Era davvero una desolazione: un patrimonio che stava andando in fumo.
Gastone si chiese cosa ne avesse fatto del ricordino che gli aveva lasciato. Dio come avrebbe voluto aver visto la sua faccia.
In quel momento un ragazzino arrivò di corsa chiamando a gran voce il suo padrone.
Stizzito, Costantino si fermò ad aspettarlo.
“Padrone, guarda cosa ho trovato!” E gli consegnò la ciocca di capelli rossi.
L’uomo sbiancò e voltò le spalle.
Si sentiva il suo respiro che sembrava un rantolo.
Gastone gongolava dentro di sé.
“Riaccompagna il nostro ospite. Io ho da fare.” E se ne andò.
Gastone riprese il suo giro, soddisfatto di essere stato presente, un desiderio che non avrebbe mai immaginato si potesse realizzare. E non era ancora finita!
Passò per il paese, doveva andare dal fabbro per un lavoro che gli aveva lasciato. Passò vicino alla chiesa e il figlio del sacrestano lo vide e lo salutò. Stava diventando grande, era davvero un ragazzo che meritava una vita migliore e sapeva che il padre lo avrebbe mandato in città a studiare, era felice per lui.
Il pomeriggio era piuttosto caldo e Gastone ritornò al mulino Cestelli. Con la scusa di vedere come stava la bambina, aveva una cosa da osservare. Un piano si stava formando nella sua mente, in attesa di scoprire come colpire al cuore quel maledetto lo avrebbe colpito negli affari.
Fece un saluto veloce e continuò la sua perlustrazione: aveva preso due decisioni ed ora le avrebbe portate a compimento.
Per alcuni giorni si limitò a fare il suo lavoro e a passare le serate con Margherita.
Era domenica sera e i due stavano nudi sul letto a gustarsi del buon vino. Erano felici della loro storia. Mangiarono qualcosa e ritornarono a letto, non ne avevano mai abbastanza.
Era notte fonda quando Gastone salutò con un bacio la sua donna addormentata e uscì.
La notte era buia, soltanto grilli e lucciole rallegravano la notte tiepida. Prese dalla bisaccia cinque sacche piene di sassi. Andò nell’orto del fabbro e le sostituì, prendendosi altre monete, se continuava così sarebbe diventato il più ricco del paese. Estrasse una ciocca di capelli rossi intrecciati con un nastro blu e la depositò chiudendo il coperchio, non era bastata una chiusura nuova e complicata a fermarlo.
Sorridendo sotto i baffi se ne tornò a casa, depositò le sacche nel suo casotto, in un altro nascondiglio che aveva preparato e andò a dormire.
Se cominciava a conoscere i suoi nemici sapeva che prima o poi si sarebbero trovati tutti nella baita del marchese, ma era ancora prematuro.
Maggio stava trascorrendo senza scossoni, almeno in apparenza. Gastone sapeva bene che c’era molto subbuglio fra i cavalieri, almeno fra alcuni.
La luna piena di maggio era scomparsa e il buio della notte era rischiarato solo dalle stelle.
Silenzioso come al solito, Gastone era arrivato al mulino. La ruota stava girando lentamente in attesa di iniziare i lavori a pieno ritmo.
Entrò nel grande capannone che ospitava le pietre della macina, un grande spazio per i sacchi della farina, al momento vuoto e si avvicinò agli ingranaggi della ruota.
Aveva un lavoro difficoltoso da fare e non sapeva se ci sarebbe riuscito in una volta sola, ma ce l’avrebbe messa tutta.
Trovò i bulloni che tenevano ancorata la parte centrale della ruota e cominciò ad allentarli. Erano grossi e ben avvitati, l’operazione non era per niente agevole. Ci mise un sacco di tempo per allentarne uno, poi capì meglio come procedere e fu più veloce.
Ci vollero più di tre ore per finire il lavoro. Doveva sbrigarsi ad andarsene. Alcune luci già si stavano accendendo nelle case, sarebbe tornato la notte successiva a terminare quello che aveva in mente.
Era stanco mentre svolgeva la sua perlustrazione ma non aveva ancora finito con la ruota del mulino.
La notte successiva era là fuori, in bilico sull’acqua del ruscello che scorreva placida. Le pale della ruota giravano lentamente e lui, con pazienza e perizia versò su ognuna di essa alcune gocce di un liquido corrosivo. Era difficile ma era determinato e, alla fine aveva fatto un buon lavoro. Senza perdere tempo entrò nel mulino e terminò di svitare i bulloni. Doveva fare in modo che saltassero quando lui fosse lontano, perciò se ne andò di corsa, non prima di aver lasciato appeso al muro una ciocca di capelli rossi intrecciati con un nastro blu.
Non aveva ancora raggiunto il cavallo che sentì uno schianto. I bulloni dovevano aver ceduto e la ruota caduta in acqua. Le pale si erano spezzate e galleggiavano sull’acqua mentre la gente che viveva lì correva a vedere cosa fosse successo.
Gastone non tergiversò. Salì in groppa al cavallo e tornò a casa.
Cincia era pronta con la colazione. Lo guardò in viso.
“Fatto.” Disse soltanto l’uomo, e si mise a mangiare.
Era stanco; da due notti non dormiva ma riprese il suo lavoro. Stette lontano dal mulino. Tutto il paese era corso a vedere cosa fosse successo e lui ne approfittò per entrare in chiesa e lasciare una ciocca di capelli rossi intrecciati con un nastro blu nella mano della Madonna che teneva il rosario.
Trascorse i successivi giorni compiendo il suo lavoro e cercando di recuperare il sonno perduto. Aveva ancora alcune notti da impiegare ed era arrivato il momento.
Uscì di casa, come al solito entrò nel suo casotto e si cambiò di abito, prese la sua sacca che già aveva preparato. Toccava al marchese. Non voleva correre rischi, perciò si recò a piedi nelle sue proprietà.
Erano talmente vaste che era impossibile per i suoi guardiani controllarle tutte contemporaneamente.
Il primo campo era coltivato a grano e stava crescendo bene. Stando ben attento a non lasciare tracce sparse sul campo alcuni granelli di veleno. Fece in tempo a fare l’operazione su cinque campi prima che, stanco e affaticato rientrasse a casa.
L’alba stava spuntando e non aveva tempo di riposare. Fece colazione con Cincia, prese il cavallo e uscì per la sua perlustrazione giornaliera.
Controllò le proprietà del marchese e i suoi guardiani lo salutarono. Riuscì a spargere i suoi tremendi granelli su altri campi e, la notte stessa ne contaminò molti altri.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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