IL SEGRETO DELLA LUNA
parte trentasette
“Prima si
comincia prima si finisce.” Disse Gastone. “Domani verrò a prendere nota di ogni
cosa che c’è da fare, mandi pure i due aiutanti che intanto ci conosciamo,
qualcuno con esperienza in questi lavori così non devo perdere tempo.”
Non c’era
altro da aggiungere e tornarono indietro finché si separarono e ognuno proseguì
per la propria strada.
In una
gelida mattina della prima settimana di novembre i tre uomini si misero
all’opera. Il marchese aveva inviato Cosimo e Luciano, due giovanotti in gamba.
Iniziarono a
ripulire del più grosso, sia fuori che dentro la baita. Ogni mattina, quelli
arrivavano con due ceste di vivande che sparivano prima del tramonto.
Gastone
aveva fatto una lista del materiale che gli serviva e si prese un giorno per
provvedere a reperirlo.
La prima
tappa fu dal fabbro. Era lì per conto del marchese e fu trattato con riguardo.
Lasciò la lista e proseguì dal falegname, ricevendo lo stesso trattamento.
Mentre si
recava a Noriss, pensava fra sé e sé se il falegname fosse uno dei cavalieri.
Non gli sembrava molto plausibile ma avrebbe controllato.
Noriss era
un paesotto più grande del borgo che lo aveva accolto, era ora di pranzo
e si fermò alla taverna per bere, scaldarsi e mangiare un boccone.
Era un
forestiero e gli avventori presenti gli lanciavano sguardi incuriositi.
Chiese al
locandiere indicazioni per raggiungere lo spaccio e riprese il viaggio. Il
pomeriggio era gelido e nebbioso, Gastone non vedeva l’ora di sbrigarsi e
ritornare a casa.
Lo spaccio
era molto grande e ben fornito. Si presentò e, come pronunciò il nome del
marchese ottenne la massima attenzione. Girò per il vasto locale e scelse
quello che gli serviva, lo caricò sul calesse e lasciò una lista di cose che
sarebbe passato a prendere al più presto.
Era molto
stanco e infreddolito quando entrò in casa. Margherita lo stava aspettando con
del brodo caldo.
Si
meravigliò che Cincia non fosse lì.
“Cincia sta
riposando. Oggi non è in forma e mi ha chiesto di rimanere. Sta soffrendo
questo clima freddo e umido, avrebbe bisogno di alcune medicine.”
La donna era
seduta vicino al suo uomo, vedeva quanto fosse stanco. Il sofà cigolò quando
Gastone si distese, addormentandosi all’istante.
Era notte
fonda quando Rufus iniziò a ringhiare sommessamente.
Gastone si
destò immediatamente e rimase in ascolto. Le braci del camino lasciavano
intravedere la stanza. Sentiva Cincia respirare pesantemente e tossire spesso,
girò gli occhi e vide Margherita distesa davanti al camino avvolta nelle
coperte.
Rufus si
alzò dal suo giaciglio e posò il muso vicino alla faccia del suo padrone che lo
accarezzò, facendogli capire che aveva sentito anche lui.
Senza fare
rumore si alzò e prese il pugnale che teneva sempre a portata di mano. Scalzo
si avvicinò alla finestra e guardò fuori cercando di aguzzare la vista. Vide
solo un’ombra su un cavallo che si allontanava silenziosa e un foglio di carta
svolazzava inchiodato sul palo del portico.
Aspettò che
tutto fosse ritornato silenzioso poi uscì a prendere il foglio.
Poche parole
erano vergate in una brutta calligrafia Ti
sei preso la donna sbagliata, farai la fine di suo marito.
Fu sollevato
nel capire che non era per quello che aveva fatto che il capo delle guardie di
Morietti lo sorvegliava, sapeva bene che era lui, ma che era per Margherita che
quel bellimbusto ce l’aveva con lui.
Bruciò il
foglio nel camino e ritornò a dormire, accarezzando la testa di Rufus.
Novembre e
dicembre furono gelidi oltre ogni aspettativa. Margherita si era trasferita da
Cincia mentre Gastone partiva che ancora era buio e ritornava a sera inoltrata.
Era quasi
Natale e i lavori alla baita del marchese procedevano bene.
I tre uomini
si sarebbero presi alcuni giorni di riposo per le feste, se li erano
guadagnati.
Cincia era
migliorata, le cure che Gastone le aveva procurato facevano il loro effetto e
Margherita la seguiva e la coccolava.
La vigilia
di Natale si presentò limpida dopo giorni interminabili di nebbia. Le due donne
di casa si davano da fare per preparare la cena e il pranzo delle feste, così
Gastone decise di andare a dare un’occhiata ai suoi lavori.
Fischiettava
mentre guidava il calesse con Rufus al fianco che, improvvisamente iniziò a
ringhiare.
Gastone
fermò il carretto e si inoltrò sotto una macchia di alberi. Non doveva esserci
nessuno, non in un giorno di festa quale era la vigilia di Natale. Lasciò
calesse e cavallo e procedette a piedi seguito dal cane.
Era
silenzioso come un fantasma, con tutti i sensi all’erta. La baita era davanti a
lui e vide cinque cavalli legati al palo sotto la pianta di noci. Sapeva che
poteva essere pericoloso essere visto, perciò si avvicinò con molta
circospezione cercando di vedere o ascoltare quello che succedeva là dentro.
Alcune
candele rischiaravano l’interno e alcuni uomini erano in piedi appoggiati alla
parete, non c’erano né sgabelli né altro. Aguzzò la vista e riconobbe il
marchese, (anche se aveva già riconosciuto il suo cavallo), poi c’era il
sagrestano, il fabbro, e altri due uomini che non riusciva a riconoscere. Era
facile intuire che stessero parlando delle loro perdite.
Gastone si
diresse verso la parete del camino, sapeva che c’era un grossa falla che ancora
non aveva riparato, e da lì poteva ascoltare quello che si dicevano quegli
uomini.
“Io voglio
trovare il colpevole!” Riconobbe la voce del marchese.
“Sai bene a
cosa vai incontro se lo fai.” Rispose un altro.
“Anche voi
avete perso una figlia, possibile che non vogliate trovare chi è stato!”
“Io ho
superato il dolore e mia moglie non sta bene, non ne voglio sapere.” Riconobbe
il sacrestano.
“A me è
bastata la restituzione di parte dei miei averi e la promessa di averne altri.”
Riconobbe il fabbro.
“E voi due?
Che mi dite?” continuò il marchese.
“Io sono un
cavaliere devoto ed ho fatto un giuramento, non voglio correre rischi per me e
la mia famiglia, devi lasciar perdere, Lorreni, devi farlo!” Rispose uno degli
sconosciuti.
“Siete degli
inetti! Dei deboli! Mi fate schifo!” Sbraitò il marchese sempre più infuriato.
“Calmati,
marchese. Io sono solo numero otto,
l’ultimo arrivato e non voglio perdere i privilegi che ho appena cominciato ad
assaporare. Lascia perdere, sei solo in questa battaglia. Noi non parleremo con
nessuno di questa riunione, te lo prometto, ma devi lasciar perdere.”
Gastone
avrebbe voluto vedere i volti di quegli uomini ma doveva stare molto attento,
in quel posto così silenzioso ogni rumore sembrava uno schiocco di frusta.
“Noi ce ne
andiamo, marchese. Questo è periodo di festa e lo passiamo con le nostre
famiglie. Torna a casa e goditi le tue ricchezze. Noi non siamo mai stati qui.”
Lo sconosciuto si prendeva parecchia libertà nell’imporsi col marchese, doveva
essere un cavaliere importante, decise che lo avrebbe seguito per capire chi
fosse.
La porta non
ancora oliata a dovere, cigolò quando fu aperta e gli uomini uscirono a testa
bassa. Nella baita erano rimasti solo il marchese e lo sconosciuto che avrebbe
seguito. Parlarono sottovoce per alcuni minuti poi uscirono. Il marchese si
attardò, col viso truce e sconsolato mentre l’altro si avviava a prendere il suo
cavallo. Doveva fare in modo di rallentarlo o lo avrebbe perso. Fece un gesto a
Rufus e quello balzò davanti al cavallo che si impennò facendo cadere il
cavaliere che bestemmiò sonoramente dal dolore.
Gastone
corse silenzioso al suo calesse, salì e fischiettando si avvicinò alla baita.
Erano
rimasti solo quei due e lo guardarono sorpresi.
“Buon
giorno, signor marchese, sono venuto a fare un sopralluogo.”
“Hai fatto
bene, quella porta cigola maledettamente. Il tuo cane ha spaventato il cavallo
del mio amico, dammi una mano che lo rimettiamo in sella.”
Gastone non
fece domande e scese dal calesse per dare una mano.
“Mi dispiace
per il mio cane, se vuole posso accompagnarla a casa col calesse e legare il
suo cavallo al carretto.”
I due amici
si scambiarono un’occhiata.
“Vai
tranquillo, Carlo, conosco Gastone.”
L’uomo,
dolorante salì a cassetta mentre il suo cavallo veniva legato. Rufus si sistemò
in disparte.
“Dove la
porto? Dove abita?”
“Al mulino
Cestelli, segui le mie indicazioni.”
E così ne
aveva trovato un altro. Che fosse numero
cinque o sette non faceva differenza.
Capitolo diciassette
Passarono
anche le feste di Natale e iniziò un nuovo anno.
Margherita
era ancora insieme ai suoi amici e Cincia si godeva la loro compagnia, ben
sapendo che presto Gastone avrebbe ripreso quello che aveva interrotto e
Margherita sarebbe tornata a casa sua.
I lavori alla
baita procedevano spediti. I due lavoranti che affiancavano Gastone erano
davvero bravi e avrebbero finito tutto entro la fine di marzo.
Gennaio e febbraio
erano stati mesi gelidi e il camino nella baita era accesso tutto il giorno, la
legna non mancava e potevano tenere del tè in caldo e riscaldarsi ogni tanto.
Fra di loro
parlavano poco, Gastone non si fidava a fare domande azzardate, erano dipendenti
del marchese e lui rimaneva sempre molto sospettoso.
In marzo il
gelo cominciò a dare tregua. La baita e quello che la circondava era sistemata,
la palizzata alta due metri proteggeva quella casupola con una fitta rete e del
filo spinato. Doveva essere ben protetta, ancora Gastone non sapeva da cosa o
da chi ma lo avrebbe scoperto.
Il primo
giorno di primavera era tutto finito e il marchese era venuto per l’ultimo
sopralluogo prima di lasciare i tre in libertà.
Aveva
osservato ogni cosa con occhio critico e non aveva trovato niente da obiettare.
Chiese ai suoi lavoranti di seguirlo all’interno.
“Avete fatto
un buon lavoro e sono soddisfatto, vi siete meritati ogni moneta ed io rispetto
sempre i patti. Ho qui una borsa di monete per ognuno di voi ma l’avrete ad una
sola condizione: nessuno di voi parlerà di questo posto a nessuno. Siete
d’accordo?” I suoi occhi passavano dall’uno all’altro e quelli assentivano
tenendo in mano il berretto, sapevano che sarebbero stati severamente puniti
insieme alle loro famiglie se avessero trasgredito. Il dubbio del marchese
riguardava solo Gastone e lo fissò dritto negli occhi aspettando la sua
risposta.
Si fissarono
per qualche istante in silenzio.
“Mi dia ciò
che mi spetta, io sono un uomo di parola.” Disse Gastone allungando la mano per
ricevere le monete.
“Lo spero
per te.” Rispose il marchese lasciando cadere la piccola borsa nelle mani
callose dell’uomo.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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