IL SEGRETO DELLA LUNA
parte cinquantuno
Le voci
della morte della ragazzina erano giunte in tutti i paesi limitrofi.
La gente era
davvero spaventata e molti genitori non permettevano alle loro figlie di uscire
dopo il crepuscolo, come se il buio nascondesse il demonio.
In casa di
Gorrini si erano radunati i cavalieri ed erano riuniti nello studio del padrone
di casa. Il silenzio era imbarazzante: ognuno di loro aveva dei dubbi, dei
timori che non aveva il coraggio di esprimere ad alta voce.
Il fabbro se
ne stava zitto in un angolo, non aveva ancora avuto il coraggio di confessare
il furto che aveva di nuovo subìto. Anche il sacrestano non parlava, la sua
mano armeggiava con il vasetto che aveva in tasca, non aveva la forza di
consegnare a quel padre disperato gli occhi di sua figlia che galleggiavano in
un liquido a lui sconosciuto. Il marchese ribolliva di rabbia, se gli avessero
dato retta e lasciato che assumesse gli investigatori che aveva chiamato, forse
questo non sarebbe successo. Il mugnaio rimuginava fra sé del fatto che il
danno che lui aveva subìto era rimediabile, mentre la perdita di un figlio era
uno strazio immenso. Morietti non sapeva se comunicare la scomparsa del suo
capo guardiano, anche se di sicuro era già stata notata. Tolesi era l’unico che
non aveva subìto nessun tipo di danno e si accorgeva degli sguardi sfuggenti
che gli altri gli rivolgevano. Come al solito, la contessa non c’era, non si
era mai mescolata con nessuno di loro.
Lentamente,
il sacrestano si avvicinò al tavolo e vi posò sopra il vasetto. Aveva il viso e
lo sguardo abbassato, non voleva vedere la faccia di Gorrini quando lo avesse
visto.
Un urlo
straziante squarciò il petto di quel padre che aveva appena perso sua figlia e
cadde svenuto sulla sua grande poltrona.
Lo rianimarono
e riprese a piangere come un bambino.
“Dobbiamo
mantenere la calma!” Ripeteva Morietti. Fra pochi giorni ci ritroveremo con chi
sapete voi e prenderemo delle decisioni. Se siamo tutti uniti otterremo quello
che vogliamo.” I suoi occhi erano puntanti in faccia a Tolesi, ma questi non
abbassò lo sguardo, non aveva fatto niente e si sentiva sicuro.
Si svolsero
i funerali ed ognuno tornò ai propri incarichi. Morietti aspettava di veder comparire
il suo capo guardiano, ma aveva capito che non sarebbe più ritornato. Le sue
nipoti non avevano il permesso di lasciare la tenuta ed erano molto irritate:
avevano progetti diversi, dovevano rifarsi il guardaroba, volevano andare al
fiume e decisero di ribellarsi a quell’imposizione che non capivano e nemmeno
accettavano.
Gastone
continuava il suo lavoro. Era nelle vicinanze della tenuta di Gorrini e decise
di andare a porgere le condoglianze. Fu scortato da alcuni guardiani e aspettò
di essere annunciato.
Fu raggiunto
dal padrone, camminava con la schiena curva, come se avesse avuto cento anni.
Era ben diverso dall’uomo d’affari che gli aveva mostrato con tanto orgoglio le
scuderie e le cantine. Mentre si avvicinava, Gastone sorrideva dentro di sé. Brutto bastardo, ora capisci il dolore che
mi hai inferto, che hai dato a molte altre famiglie, e ti giuro che non è
ancora finita!”
Si porsero
la mano e Gastone fece le condoglianze di rito.
Il padrone
gli fece cenno di seguirlo, sembrava non avesse più la forza nemmeno di
parlare. Si ritrovarono nel suo studio e l’uomo si lasciò letteralmente cadere
sulla poltrona facendo segno a Gastone di sedersi.
Passarono
diversi minuti prima che Gorrini parlasse. Si schiarì la gola, si asciugò gli
occhi e alzò il viso sul suo ospite.
“Ho alcune
domande da farti.” Gli disse. “Nei tuoi spostamenti non hai mai visto niente o
nessuno che ti abbia fatto insospettire?”
“Io lavoro
in posti dove non incontro mai nessuno, se vedessi qualche forestiero non
esiterei a fermarlo e farmi dire chi è. Mi dispiace ma non ho notato niente di
strano.”
“Se mai
vedessi qualcosa, anche se pur minimamente sospetto, ti prego di venire subito
a riferirlo a me, soltanto a me. Ci siamo capiti?” Bisbigliò con voce roca.
“Lo farò
senz’altro, glielo prometto. Terrò occhi e orecchie ben aperti e non mi farò
sfuggire il ben che minimo oggetto fuori posto. Intensificherò i miei
spostamenti e passerò dalle sue proprietà ogni volta che mi sarà possibile. Mi
dispiace davvero tanto per la sua perdita, se non ha altro da aggiungere io
devo riprendere il mio giro e, visto che sono qui farò un’ispezione alla sua
proprietà.”
Si
salutarono e, contrariamente alla sua abitudine il padrone non accompagnò
Gastone ma raggiunse sua moglie che dai funerali non si era ancora alzata dal
letto.
Gastone ne
approfittò, andò nella stalla a riprendere il suo cavallo e vuotò la boccetta
col veleno sul foraggio dei cavalli. Fece un altro giro in quella grande
proprietà e si avvicinò alla cantina. Era ben chiusa e lui non aveva la chiave.
Passò in rassegna tutte le finestre e ne trovò una socchiusa, serviva per aerare
un piccolo antro dove venivano tenuti alcuni registri. Estrasse dalla sua sacca
un vasetto di vetro, lo aprì e versò all’interno della cantina quello che
conteneva. Ci avrebbero impiegato un po’ quelle bestiole ma avrebbero portato a
termine il loro compito, con calma e pazienza come quella che aveva lui. Lasciò
legato ad una sbarra dell’inferriata una treccia di capelli rossi con un nastro
blu e si allontanò.
Continuò la
sua perlustrazione, salutò alcuni uomini e chiamò un guardiano per mostrargli
un danno alla recinzione.
In groppa ad
Amleto uscì dalla tenuta Gorrini che presto sarebbe diventata un ammasso di
carne putrefatta di cavallo e di vino andato a male, la puzza si sarebbe
sentita fino a molto distante.
Capitolo ventiquattro
E,
finalmente anche il plenilunio di giugno era arrivato.
Gastone e
Cincia stavano facendo colazione. Entrambi sapevano che quello di quella notte
sarebbe stato un incontro molto movimentato. L’uomo sarebbe uscito come al
solito per la perlustrazione ma sarebbe tornato in tempo per fare tutto quello
che occorreva per non perdersi la riunione.
“So che sei
stato da Gorrini. Com’è andata?” Gli chiese Cincia.
“E’ andata
bene, presto scoprirà le sorprese che gli ho lasciato.” Le rispose finendo di
bere il suo latte.
“Vado, non
aspettarmi per pranzo, ho tutto quello che mi serve nella sacca. Prepara la
cena prima del solito, lo sai che dopo ho da fare.” La salutò con un cenno del
capo e, seguito da Rufus, saltò in sella al suo cavallo e iniziò a perlustrare
un bosco piuttosto fitto.
Sentì ancora
in lontananza alcuni schiamazzi. Erano voci femminili. Nessuna ragazza si
sarebbe mai spinta fin lì, era curioso di sapere cosa stava succedendo. Lasciò
il cavallo e, silenziosamente si avvicinò, stando ben nascosto per capire la
situazione.
C’era un
piccolo stagno circondato da alcuni grossi massi e alberi. Era davvero un posto
incantevole, lui non ci era ancora mai passato. Si fermò e si nascose
osservando quello che stava succedendo. Due ragazze seminude giocavano
nell’acqua fresca dello stagno. Ridevano e si schizzavano, sicure di essere da
sole. Erano giovani, allegre e si divertivano come due bambine. Sorrise anche
lui vedendo tanta ilarità. Si avvicinò ancora per ascoltare cosa si dicevano e
scoprire chi fossero prima di farsi avanti.
Due splendide
cavalle erano legate ad un albero e lui le riconobbe all’istante: erano quelle
che lui aveva scelto per le nipoti di Costantino Morietti. Ebbe un colpo al
cuore quando capì chi erano quelle due ragazze. Il suo fiato cominciò a farsi
corto, come se avesse corso, e una stretta al cuore gli diede una scarica di
adrenalina. Sarebbe stato molto facile prenderle ma non aveva preparato niente
e non voleva essere avventato. Sicuramente sarebbero ritornate e lui non si
sarebbe dimenticato di mettere nella sua sacca tutto il necessario, doveva
tenerlo sempre a portata di mano, non sapeva quando l’occasione giusta poteva
presentarsi, come oggi, e lui non era pronto. Si maledisse per non averci
pensato.
Silenziosamente
si allontanò, riprese il cavallo e cambiò tragitto.
Aveva
perlustrato un bel pezzo di terreno e sistemato nidi e tane, la sera stava
scendendo e lui stava tornando a casa, quella sarebbe stata una notte molto
movimentata, ne era certo e lui avrebbe ascoltato ogni cosa.
Come sempre
la cena si svolse in silenzio. Cincia chiuse la porta e tenne Rufus accanto a
sé, Gastone era già partito e lei aspettava l’alba per conoscere l’esito della
riunione dei Cavalieri della Terra Feconda, che
il Signore, se esisteva li maledisse.
Gastone
aveva preso posto. I soliti rumori anticiparono l’entrata dei cavalieri.
Nessuno parlava. Avrebbe dato dieci anni di vita per poter assistere alla scena
oltre che ascoltarla soltanto.
La
Sacerdotessa diede inizio alla riunione.
Non aveva
ancora dato la parola a nessuno e il silenzio sembrava una cappa che potesse
soffocarli. Erano tutti seduti, in attesa, soltanto Numero Uno era in piedi e osservava i convenuti fissandoli uno ad
uno.
Numero Sei, so che tua moglie sta
molto male. Me ne dispiaccio, il medico che ti ho mandato mi ha riferito che le
rimane poco da vivere. I tuoi figli avranno di che vivere, grazie alla nostra
Società, i cavalieri si aiutano sempre fra di loro.
Numero Sette, hai appena sotterrato
tua figlia e conosco il dolore che provi. A questo non c’è nessuna cifra che
possa rimediare ma ti manderò un uomo ad aiutarti nelle tue attività fintanto
che tornerai a farlo da solo.
Numero Quattro, inutile nascondere la
tua stupidità. Non avrai altro aiuto dai Cavalieri, stai rischiando la tua vita,
quella dei tuoi figli e il tuo posto in questa Società.
Numero Cinque, so che hai provveduto
a riparare la ruota del mulino e che hai saputo gestire al meglio la situazione
distribuendo ai vari mulini dei tuoi figli il lavoro che ci aspetta in questa
stagione.
Numero Tre, non ti conviene metterti
contro di me e la Società.
Numero Due, avrai l’aiuto economico
che ti serve per ripartire dopo quello che hai perso.
Numero Otto, dovrai sborsare più
denaro per i cavalieri che hanno perso tutto, o quasi.
Era
ritornato il silenzio. I cavalieri guardavano Numero Due aspettandosi il cenno che non veniva.
Numero Due, puoi parlare.
Costantino
Morietti si alzò in piedi e posò la treccia di capelli rossi col nastro blu. Si
risedette.
Numero Tre, puoi parlare.
Il Marchese
Lorreni fece lo stesso.
Numero Quattro, puoi parlare.
Il Fabbro
con mani tremanti fece lo stesso.
Numero Cinque, puoi parlare.
Carlo
Cestelli, il mugnaio fece lo stesso.
Numero Sei, puoi parlare.
Gualtiero,
il sacrestano indugiò a lungo prima di decidersi a fare lo stesso.
Numero Sette, puoi parlare.
Gorrini si
alzò e senza indugiare fece lo stesso.
Numero Otto, puoi parlare.
Tolesi, si
alzò, guardò tutte quelle trecce. Non
capisco. Disse soltanto, e si sedette.
Numero Uno si alzò in piedi. Osservò
attentamente ognuno di loro.
Numero Due, tocca a te prendere la
parola e spiegare.
Morietti si
alzò di nuovo in piedi. Toccava a lui portare a Numero Uno qualsiasi proposta o richiesta di tutti. Sapeva di
parlare a nome di tutti, così come lo sapeva la Sacerdotessa.
Abbiamo ricevuto questa treccia di
capelli rossi e non sappiamo chi l’ha lasciata, così come non sappiamo come mai
Numero Otto non l’ha ricevuta. Ognuno di noi, tranne Numero Otto ha subìto
danni economici e disgrazie famigliari. Sembra che una maledizione, dopo il
sacrificio dell’ultima vergine che non è stato come tutti gli altri, abbia
portato un maleficio. Io ho perso animali e raccolto, e tutti gli altri hanno
subìto perdite e danni. Qualcuno chiede di affidare le indagini a persone
fidate e capaci, vorremmo porre fine a questo periodo di disgrazie. Nessuno di
noi si lamenta per il lato economico, sappiamo bene che la nostra Società ha
sostanze tali da poter rinascere per altre mille volte. Quello che vogliamo è
trovare la causa, debellarla e far tornare tutto come prima. Dobbiamo
continuare a distribuire lavoro e fiducia, la gente non deve avere paura ma
deve continuare a lavorare. Tutti noi sappiamo che senza la manovalanza non
avremmo ricchezza. Tutti noi rispettiamo le regole, per questo abbiamo bisogno
di sapere cosa fare per non andare ognuno in direzioni diverse, il che sarebbe
la nostra fine.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati
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