mercoledì 22 luglio 2020

IL SEGRETO DELLA LUNA


IL SEGRETO DELLA LUNA

parte cinquantuno






Le voci della morte della ragazzina erano giunte in tutti i paesi limitrofi.
La gente era davvero spaventata e molti genitori non permettevano alle loro figlie di uscire dopo il crepuscolo, come se il buio nascondesse il demonio.
In casa di Gorrini si erano radunati i cavalieri ed erano riuniti nello studio del padrone di casa. Il silenzio era imbarazzante: ognuno di loro aveva dei dubbi, dei timori che non aveva il coraggio di esprimere ad alta voce.
Il fabbro se ne stava zitto in un angolo, non aveva ancora avuto il coraggio di confessare il furto che aveva di nuovo subìto. Anche il sacrestano non parlava, la sua mano armeggiava con il vasetto che aveva in tasca, non aveva la forza di consegnare a quel padre disperato gli occhi di sua figlia che galleggiavano in un liquido a lui sconosciuto. Il marchese ribolliva di rabbia, se gli avessero dato retta e lasciato che assumesse gli investigatori che aveva chiamato, forse questo non sarebbe successo. Il mugnaio rimuginava fra sé del fatto che il danno che lui aveva subìto era rimediabile, mentre la perdita di un figlio era uno strazio immenso. Morietti non sapeva se comunicare la scomparsa del suo capo guardiano, anche se di sicuro era già stata notata. Tolesi era l’unico che non aveva subìto nessun tipo di danno e si accorgeva degli sguardi sfuggenti che gli altri gli rivolgevano. Come al solito, la contessa non c’era, non si era mai mescolata con nessuno di loro.
Lentamente, il sacrestano si avvicinò al tavolo e vi posò sopra il vasetto. Aveva il viso e lo sguardo abbassato, non voleva vedere la faccia di Gorrini quando lo avesse visto.
Un urlo straziante squarciò il petto di quel padre che aveva appena perso sua figlia e cadde svenuto sulla sua grande poltrona.
Lo rianimarono e riprese a piangere come un bambino.
“Dobbiamo mantenere la calma!” Ripeteva Morietti. Fra pochi giorni ci ritroveremo con chi sapete voi e prenderemo delle decisioni. Se siamo tutti uniti otterremo quello che vogliamo.” I suoi occhi erano puntanti in faccia a Tolesi, ma questi non abbassò lo sguardo, non aveva fatto niente e si sentiva sicuro.
Si svolsero i funerali ed ognuno tornò ai propri incarichi. Morietti aspettava di veder comparire il suo capo guardiano, ma aveva capito che non sarebbe più ritornato. Le sue nipoti non avevano il permesso di lasciare la tenuta ed erano molto irritate: avevano progetti diversi, dovevano rifarsi il guardaroba, volevano andare al fiume e decisero di ribellarsi a quell’imposizione che non capivano e nemmeno accettavano.
Gastone continuava il suo lavoro. Era nelle vicinanze della tenuta di Gorrini e decise di andare a porgere le condoglianze. Fu scortato da alcuni guardiani e aspettò di essere annunciato.
Fu raggiunto dal padrone, camminava con la schiena curva, come se avesse avuto cento anni. Era ben diverso dall’uomo d’affari che gli aveva mostrato con tanto orgoglio le scuderie e le cantine. Mentre si avvicinava, Gastone sorrideva dentro di sé. Brutto bastardo, ora capisci il dolore che mi hai inferto, che hai dato a molte altre famiglie, e ti giuro che non è ancora finita!”
Si porsero la mano e Gastone fece le condoglianze di rito.
Il padrone gli fece cenno di seguirlo, sembrava non avesse più la forza nemmeno di parlare. Si ritrovarono nel suo studio e l’uomo si lasciò letteralmente cadere sulla poltrona facendo segno a Gastone di sedersi.
Passarono diversi minuti prima che Gorrini parlasse. Si schiarì la gola, si asciugò gli occhi e alzò il viso sul suo ospite.
“Ho alcune domande da farti.” Gli disse. “Nei tuoi spostamenti non hai mai visto niente o nessuno che ti abbia fatto insospettire?”
“Io lavoro in posti dove non incontro mai nessuno, se vedessi qualche forestiero non esiterei a fermarlo e farmi dire chi è. Mi dispiace ma non ho notato niente di strano.”
“Se mai vedessi qualcosa, anche se pur minimamente sospetto, ti prego di venire subito a riferirlo a me, soltanto a me. Ci siamo capiti?” Bisbigliò con voce roca.
“Lo farò senz’altro, glielo prometto. Terrò occhi e orecchie ben aperti e non mi farò sfuggire il ben che minimo oggetto fuori posto. Intensificherò i miei spostamenti e passerò dalle sue proprietà ogni volta che mi sarà possibile. Mi dispiace davvero tanto per la sua perdita, se non ha altro da aggiungere io devo riprendere il mio giro e, visto che sono qui farò un’ispezione alla sua proprietà.”
Si salutarono e, contrariamente alla sua abitudine il padrone non accompagnò Gastone ma raggiunse sua moglie che dai funerali non si era ancora alzata dal letto.
Gastone ne approfittò, andò nella stalla a riprendere il suo cavallo e vuotò la boccetta col veleno sul foraggio dei cavalli. Fece un altro giro in quella grande proprietà e si avvicinò alla cantina. Era ben chiusa e lui non aveva la chiave. Passò in rassegna tutte le finestre e ne trovò una socchiusa, serviva per aerare un piccolo antro dove venivano tenuti alcuni registri. Estrasse dalla sua sacca un vasetto di vetro, lo aprì e versò all’interno della cantina quello che conteneva. Ci avrebbero impiegato un po’ quelle bestiole ma avrebbero portato a termine il loro compito, con calma e pazienza come quella che aveva lui. Lasciò legato ad una sbarra dell’inferriata una treccia di capelli rossi con un nastro blu e si allontanò.
Continuò la sua perlustrazione, salutò alcuni uomini e chiamò un guardiano per mostrargli un danno alla recinzione.
In groppa ad Amleto uscì dalla tenuta Gorrini che presto sarebbe diventata un ammasso di carne putrefatta di cavallo e di vino andato a male, la puzza si sarebbe sentita fino a molto distante.

Capitolo ventiquattro
E, finalmente anche il plenilunio di giugno era arrivato.
Gastone e Cincia stavano facendo colazione. Entrambi sapevano che quello di quella notte sarebbe stato un incontro molto movimentato. L’uomo sarebbe uscito come al solito per la perlustrazione ma sarebbe tornato in tempo per fare tutto quello che occorreva per non perdersi la riunione.
“So che sei stato da Gorrini. Com’è andata?” Gli chiese Cincia.
“E’ andata bene, presto scoprirà le sorprese che gli ho lasciato.” Le rispose finendo di bere il suo latte.
“Vado, non aspettarmi per pranzo, ho tutto quello che mi serve nella sacca. Prepara la cena prima del solito, lo sai che dopo ho da fare.” La salutò con un cenno del capo e, seguito da Rufus, saltò in sella al suo cavallo e iniziò a perlustrare un bosco piuttosto fitto.
Sentì ancora in lontananza alcuni schiamazzi. Erano voci femminili. Nessuna ragazza si sarebbe mai spinta fin lì, era curioso di sapere cosa stava succedendo. Lasciò il cavallo e, silenziosamente si avvicinò, stando ben nascosto per capire la situazione.
C’era un piccolo stagno circondato da alcuni grossi massi e alberi. Era davvero un posto incantevole, lui non ci era ancora mai passato. Si fermò e si nascose osservando quello che stava succedendo. Due ragazze seminude giocavano nell’acqua fresca dello stagno. Ridevano e si schizzavano, sicure di essere da sole. Erano giovani, allegre e si divertivano come due bambine. Sorrise anche lui vedendo tanta ilarità. Si avvicinò ancora per ascoltare cosa si dicevano e scoprire chi fossero prima di farsi avanti.
Due splendide cavalle erano legate ad un albero e lui le riconobbe all’istante: erano quelle che lui aveva scelto per le nipoti di Costantino Morietti. Ebbe un colpo al cuore quando capì chi erano quelle due ragazze. Il suo fiato cominciò a farsi corto, come se avesse corso, e una stretta al cuore gli diede una scarica di adrenalina. Sarebbe stato molto facile prenderle ma non aveva preparato niente e non voleva essere avventato. Sicuramente sarebbero ritornate e lui non si sarebbe dimenticato di mettere nella sua sacca tutto il necessario, doveva tenerlo sempre a portata di mano, non sapeva quando l’occasione giusta poteva presentarsi, come oggi, e lui non era pronto. Si maledisse per non averci pensato.
Silenziosamente si allontanò, riprese il cavallo e cambiò tragitto.
Aveva perlustrato un bel pezzo di terreno e sistemato nidi e tane, la sera stava scendendo e lui stava tornando a casa, quella sarebbe stata una notte molto movimentata, ne era certo e lui avrebbe ascoltato ogni cosa.
Come sempre la cena si svolse in silenzio. Cincia chiuse la porta e tenne Rufus accanto a sé, Gastone era già partito e lei aspettava l’alba per conoscere l’esito della riunione dei Cavalieri della Terra Feconda, che il Signore, se esisteva li maledisse.
Gastone aveva preso posto. I soliti rumori anticiparono l’entrata dei cavalieri. Nessuno parlava. Avrebbe dato dieci anni di vita per poter assistere alla scena oltre che ascoltarla soltanto.
La Sacerdotessa diede inizio alla riunione.
Non aveva ancora dato la parola a nessuno e il silenzio sembrava una cappa che potesse soffocarli. Erano tutti seduti, in attesa, soltanto Numero Uno era in piedi e osservava i convenuti fissandoli uno ad uno.
Numero Sei, so che tua moglie sta molto male. Me ne dispiaccio, il medico che ti ho mandato mi ha riferito che le rimane poco da vivere. I tuoi figli avranno di che vivere, grazie alla nostra Società, i cavalieri si aiutano sempre fra di loro.
Numero Sette, hai appena sotterrato tua figlia e conosco il dolore che provi. A questo non c’è nessuna cifra che possa rimediare ma ti manderò un uomo ad aiutarti nelle tue attività fintanto che tornerai a farlo da solo.
Numero Quattro, inutile nascondere la tua stupidità. Non avrai altro aiuto dai Cavalieri, stai rischiando la tua vita, quella dei tuoi figli e il tuo posto in questa Società.
Numero Cinque, so che hai provveduto a riparare la ruota del mulino e che hai saputo gestire al meglio la situazione distribuendo ai vari mulini dei tuoi figli il lavoro che ci aspetta in questa stagione.
Numero Tre, non ti conviene metterti contro di me e la Società.
Numero Due, avrai l’aiuto economico che ti serve per ripartire dopo quello che hai perso.
Numero Otto, dovrai sborsare più denaro per i cavalieri che hanno perso tutto, o quasi.
Era ritornato il silenzio. I cavalieri guardavano Numero Due aspettandosi il cenno che non veniva.
Numero Due, puoi parlare.
Costantino Morietti si alzò in piedi e posò la treccia di capelli rossi col nastro blu. Si risedette.
Numero Tre, puoi parlare.
Il Marchese Lorreni fece lo stesso.
Numero Quattro, puoi parlare.
Il Fabbro con mani tremanti fece lo stesso.
Numero Cinque, puoi parlare.
Carlo Cestelli, il mugnaio fece lo stesso.
Numero Sei, puoi parlare.
Gualtiero, il sacrestano indugiò a lungo prima di decidersi a fare lo stesso.
Numero Sette, puoi parlare.
Gorrini si alzò e senza indugiare fece lo stesso.
Numero Otto, puoi parlare.
Tolesi, si alzò, guardò tutte quelle trecce. Non capisco. Disse soltanto, e si sedette.
Numero Uno si alzò in piedi. Osservò attentamente ognuno di loro.
Numero Due, tocca a te prendere la parola e spiegare.
Morietti si alzò di nuovo in piedi. Toccava a lui portare a Numero Uno qualsiasi proposta o richiesta di tutti. Sapeva di parlare a nome di tutti, così come lo sapeva la Sacerdotessa.
Abbiamo ricevuto questa treccia di capelli rossi e non sappiamo chi l’ha lasciata, così come non sappiamo come mai Numero Otto non l’ha ricevuta. Ognuno di noi, tranne Numero Otto ha subìto danni economici e disgrazie famigliari. Sembra che una maledizione, dopo il sacrificio dell’ultima vergine che non è stato come tutti gli altri, abbia portato un maleficio. Io ho perso animali e raccolto, e tutti gli altri hanno subìto perdite e danni. Qualcuno chiede di affidare le indagini a persone fidate e capaci, vorremmo porre fine a questo periodo di disgrazie. Nessuno di noi si lamenta per il lato economico, sappiamo bene che la nostra Società ha sostanze tali da poter rinascere per altre mille volte. Quello che vogliamo è trovare la causa, debellarla e far tornare tutto come prima. Dobbiamo continuare a distribuire lavoro e fiducia, la gente non deve avere paura ma deve continuare a lavorare. Tutti noi sappiamo che senza la manovalanza non avremmo ricchezza. Tutti noi rispettiamo le regole, per questo abbiamo bisogno di sapere cosa fare per non andare ognuno in direzioni diverse, il che sarebbe la nostra fine.


Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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