EMILIANA
P. NOVE
Quasi non mi accorgo del
trascorrere del tempo. Un anno, un altro anno e un anno ancora. Non passa
giorno che non mi chieda perché Cecilia non mi scriva, io non perdo la
speranza, i miei sogni sono l’unica cosa alla quale aggrapparmi.
In questi anni poco o niente
è cambiato. Il lavoro in filanda, quello nei campi, figli che nascono e vecchi
che muoiono: il solito nastro trasportatore della vita che ci presenta sempre
un giorno uguale al precedente.
Io sono ancora sola, ho 24
anni e Giustina che quasi non si regge più in piedi. Per fortuna posso
aiutarla, non ha più la forza nemmeno di lavarsi da sola.
Quest’autunno così piovoso mi
ricorda quello di alcuni anni fa, quando il fiume è uscito dagli argini. Oggi,
come allora, c’è molta paura, è quasi un mese che non smette di piovere. Anche
a scuola c’è freddo e umido ed i ragazzi faticano a seguire la lezione.
Giustina non si alza più dal
letto ed io sono molto indaffarata anche con lei.
Ci sono molte persone che si
ammalano. Sembra una banale influenza, ma giorno dopo giorno la situazione si
aggrava.
Intere famiglie si sono
ammalate, intere famiglie sono rimaste a casa dal lavoro perché non hanno la
forza di uscire. Questa che è iniziata come una banale influenza sta diventando
una epidemia.
Anche la scuola ha sospeso
momentaneamente le lezioni. Perfino in filanda hanno dovuto diminuire le
lavorazioni, troppe persone sono assenti. Il signorino Guglielmo, mi dicono sia
molto arrabbiato, e ha deciso di licenziare tutti quelli che non si
presenteranno al lavoro. Così, per paura di restare senza niente, molte persone
ammalate vanno ugualmente in filanda e, ogni giorno, parecchi di loro, vengono
portati fuori con la febbre altissima. Anche il signor Alberto non si presenta
al lavoro da parecchi giorni e i lavoratori sono rimasti senza la paga. Il
signorino Guglielmo sbraita e inveisce tutto il giorno contro chiunque gli
capita a tiro, non vuole che la gente si assenti ma non riesce a pagarli. Anche
il signor Cesare si è ammalato e, in paese, c’è molta paura.
Nessuno sa più cosa fare per
curare questa strana febbre. I rimedi che conosciamo sembrano non funzionare e
cominciano i primi morti.
All’inizio sono i più deboli
e i più anziani che se ne vanno. Ognuno spera, ma le famiglie molto numerose,
l’igiene scarsa, cibo insufficiente e tanti animali vicino non fanno che
aumentare il pericolo di contagio. E per la prima volta da che ho memoria,
anche la filanda viene chiusa.
Siamo tutti molto spaventati.
Cosa possiamo fare per non ammalarci e per curare chi si è già ammalato? Cominciano
a circolare strane abitudini e strane e vecchie usanze. C’è chi dice di lavarsi
spesso le mani con acqua e aceto, di risciacquarsi la bocca con liquore forte,
di mangiare molto aglio e cipolle e di bruciare certe e strane erbe secche in
ogni stanza. Ormai puzziamo come animali, ma la situazione sembra non cambiare.
La gente continua a morire.
Anche Don Claudio ci ha lasciati e non c’è più nessuno che benedice i morti
prima della sepoltura.
Non c’è più nessuno nemmeno
che va a servizio al castello, dove sono tutti ammalati, il signor Cesare, sua
moglie e anche il signorino Guglielmo. Sono in pochi quelli che non hanno avuto
la febbre, ed io sono fra questi, sembro immune, ma Giustina non ce l’ha fatta,
l’abbiamo sotterrata ieri.
Anche mia madre e i miei
fratelli non si sono ancora ammalati, mentre le piccole hanno tutt’ora la
febbre, ma sembra si stiano rimettendo.
Molti animali non vengono
accuditi e muoiono anche loro. Chi sta ancora bene ha paura a muoversi e quando
lo fa, si copre la bocca e il naso con un fazzoletto. Non sembriamo più umani.
Abbiamo paura a toccarci, a stare chiusi nella stessa stanza, non sappiamo più
cosa fare.
Io cerco di aiutare chi
posso, sono talmente tanti gli ammalati che ogni sera mi addormento distrutta,
ora non sono più la maestra del paese, sono l’infermiera di tutti. Non so
niente di queste febbri e di come si curano, non ho trovato molto nella biblioteca
di Giustina. Sarebbe stato meglio leggere libri di medicina invece di quegli
stupidi libri di avventura, almeno adesso potrei fare qualcosa di più. Sono
stata anche a casa del dottore a prendere alcuni volumi per vedere se riesco a
capirci qualcosa di più, ma i termini usati sono fuori dalla mia portata,
perciò mi aggrappo alla tradizione popolare e faccio quello che posso.
E’ un mese che è scoppiata
questa epidemia, quanta gente è già morta? Quanta gente è ancora ammalata?
Quanta invece è già guarita e potrebbe darci una mano?
Questo è un incubo. Oggi sono state sotterrate
anche la madre e la moglie di Martino, della sua famiglia sono rimasti solo il
padre, lui e la sua piccola Ornella. Ogni famiglia ha perso qualcuno e non ci
sono più lacrime da piangere. Nel nostro piccolo cimitero non c’è più posto per
nessuno, bisogna scavare fosse comuni e questo è un dispiacere che si somma al
dispiacere, una cosa così non era mai successa, nessuno la ricorda.
Tutti con il fazzoletto sul
volto aiutiamo, ognuno per quello che sa fare. Non sappiamo molto di malattie
ma di sicuro sappiamo che bisogna sotterrare in fretta i morti, isolare gli
ammalati e cercare di sopravvivere. Perché di sicuro sappiamo che tutto questo
dovrà finire.
Ogni sera mi lavo
accuratamente le mani e sciacquo la bocca con acquavite. Cerco di mangiare
verdure accuratamente lavate e spero soltanto di svegliarmi il giorno dopo e
trovare tutto finito.
Nella fossa comune sono
finiti anche il signorino Guglielmo e la madre. Il signor Cesare è una roccia,
si è ripreso dalla malattia e si è ritrovato da solo. Nessuno di noi ha voglia
di andare da lui, non è mai stato gentile con noi, ed ora, sta capendo cosa
significa essere emarginati. Nonostante
il grave lutto che lo ha colpito sembra non aver cambiato atteggiamento. Si
aggira spesso in filanda da solo e nessuno sa cosa ci va a fare: quello è il
suo mondo e non conosce altro. Le sue terre sono incolte, i suoi animali morti
o dispersi, ma lui non ha un attimo di cedimento. Non si mescola con noi, resta
solo e nessuno gli porge una mano.
Quando tutto questo sarà
passato, le cose saranno molto diverse da ora, ma per adesso, ognuno pensa per
sé.
Nonostante le amorevoli cure
di mia madre, la dolcissima Margherita non ce l’ha fatta. Il signor Carlo,
invece, con molta fatica si sta riprendendo. I miei fratelli hanno aiutato
tutti con molto impegno, ma la lotta sembra non finire ancora.
Ogni sera mi ritrovo sempre
sola e sempre più stanca, con l’unico desiderio di svegliarmi e scoprire che è
tutto passato.
Da alcuni giorni non ci sono
nuovi ammalati. Siamo tutti con il fiato sospeso e con la speranza che questa
brutta storia finisca presto. Anche i morti sono diminuiti e da ieri non è
morto più nessuno. Tiriamo tutti un sospiro di sollievo e aspettiamo ancora
alcuni giorni per vedere come si evolve la situazione.
Un’altra settimana senza
morti. Alcune persone stanno meglio e, soprattutto nessuno si è più ammalato.
Abbiamo un grande desiderio
di normalità, di riprendere la nostra vita e oggi, che è domenica, andiamo
tutti in chiesa. Non c’è il prete, ma sappiamo recitare da sempre le preghiere
di invocazione alla Madonna. Ci ritroviamo a cantare inni e recitare Rosari:
che sia finalmente finita.
Ora che l’emergenza è passata
bisogna riprendere la vita. Molte famiglie sono decimate, molti bambini sono
rimasti orfani, molti giovani sono ancora deboli. Come sempre accade in queste
situazioni, sono le donne che prendono in mano la situazione.
Non c’è bisogno nemmeno di
passare parola. Cominciano a partire ordini di ripristino delle abitazioni, dei
lavori nell’orto, di sistemazione del cimitero, di recupero degli animali e,
giorno dopo giorno, ognuno si ritrova con un compito da svolgere.
Molti vedovi e vedove si
mettono insieme recuperando una parvenza di normalità. Le persone anziane
trovano accoglienza nelle famiglie dei vicini o degli amici. Io sto
ripristinando la scuola: bisogna andare avanti.
Oggi devo sistemare la mia
casetta. Non c’è più Giustina e devo raccogliere le sue cose e cercare dei
documenti. Cerco soprattutto la sua collana preferita da portare al collo in
suo ricordo.
foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti
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