EMILIANA
P. CINQUE
La notizia del mio nuovo
lavoro diventa l’argomento della domenica. Rosa è molto felice per me e lo
dimostra con un gran sorriso e pacche sulle spalle. Serafina, invece, sembra
scettica, e scopro le altre che parlano a bassa voce fra loro. Per la prima
volta nella mia vita scopro cos’è l’invidia.
Posso immaginare cosa stanno
spettegolando e le lascio alle loro stupide chiacchiere. Torno a casa pensando
che la vita non regala niente, se ho ricevuto questa proposta è perché tante
volte, invece di andare a fare la smorfiosa come loro, io imparavo a leggere e
la matematica. Mi hanno preso in giro spesso per questa mia passione, ed ora,
sono invidiose perché io ho avuto un lavoro diverso dal loro. Ho l’impressione
che verrò emarginata ancora di più.
Con Giustina ho sistemato
alcune gonne, ho raccolto i miei lunghi capelli sulla testa e, per la prima
volta, guardandomi allo specchio, noto che ho un bel corpicino, un viso
piacevole, insomma non sono niente male. Lo so che sono pensieri peccaminosi,
che bisogna essere umili, ma è questo che lo specchio mi rimanda: sono una
bella ragazza.
E’ lunedì mattina e sono
molto emozionata. Arrivo in anticipo al lavoro. Sono talmente abituata ad
alzarmi presto che non ho resistito.
Aspetto il signor Alberto.
Con la sua aria sempre corrucciata e severa, sembra portare sulle sue spalle
tutto il lavoro della filanda.
Per cominciare dovrò tenere i
conti del magazzino poi si vedrà. Non sono abituata a stare seduta così a
lungo, ma devo impegnarmi. Il lavoro non è difficile ma, a fine giornata, tutto
deve quadrare, o non si torna a casa.
Comincia così il mio nuovo incarico e mi trovo
a mio agio con i numeri.
Ora gli orari non combaciano
più con quelli delle mie compagne e qui sono tutti maschi. Mi sento un po’ a
disagio. Sono tutti molto educati e seri, lo sanno che possono essere
licenziati in tronco se commettono sciocchezze, perciò, anche se sono
circondata da uomini in un mondo assolutamente maschilista vengo trattata bene.
Sono passate tre settimane e
mi sembra di svolgere bene il mio lavoro. Adesso il signor Alberto mi dà
incarichi più importanti; ha visto anche lui con quanta facilità tratto con i
numeri e comincia a lasciarmi un po’ più di
spazio. Se dipendesse da me
cambierei qualcosa, ma non ci penso a farmi avanti, è troppo presto e non
voglio pestare i piedi a nessuno.
Sto aspettando di parlare con
il signor Cesare. So che ho svolto bene e con impegno il mio lavoro e aspetto
di sentire cosa ne pensano loro.
Entra accompagnato dal capo
contabile e da suo figlio Guglielmo. Saluto educatamente e aspetto. Il signor
Cesare è sempre stato di poche parole e anche stavolta non si smentisce. “Bene,
signorina Emiliana, Alberto mi ha ragguagliato sul suo lavoro e lo ha trovato
discreto. Se per lei va bene il contratto è il seguente: giornata piena e non
si va a casa fino a che i conti non tornano, e la paga è il 60% di quella
maschile.” “Non posso accettare una paga così misera, il mio lavoro è uguale a
quello degli altri, posso accettare un 80% o dovrò fare la fame.” Ho azzardato
molto, ma mi fa arrabbiare questa differenza di trattamento. Male che vada
torno in fabbrica e amici come prima. Il signor Cesare sembra pensare alla mia
richiesta e mostra un viso sofferente, come se gli costasse la vita pagarmi un
po’ di più e alla fine sbotta:” va bene signorina Emiliana, ma per i primi sei
mesi dovrà sostituire anche chi si ammalerà o si assenterà.” Il tutto viene
sancito con una stretta di mano. Ora non sono più un’operaia ma una impiegata
negli uffici della grande filanda. Non è che cambi molto, l’impegno è sempre duro,
ma per la fatica fisica non c’è paragone.
Tornando a casa mi fermo dal
fornaio e compro un dolce, stasera si festeggia.
Cerco un po’ di frescura
sotto il portico e vedo arrivare Cecilia e Francesco con Sara, la loro bambina
appena nata. Sono raggianti. Mi dicono che devono parlarmi. E’ Cecilia che non
sta più nella pelle. “Emiliana, abbiamo una grossa novità. Fra poche settimane
partiamo. Andiamo in Australia a lavorare. Il cugino di Francesco ha già
organizzato tutto: lavoro, casa e viaggio. Perché non vieni con noi?”
Oddio! Il cuore mi si è
fermato. L’Australia, penso, terra sconfinata con mare cristallino, canguri,
indigeni ancora quasi primitivi, terra di assassini e delinquenti esportati da
tutto il mondo nelle colonie penali, ma terra di indiscusso valore. Lì davvero,
una famiglia può sperare di migliorare per sé e per i suoi cari, c’è ancora
molto da fare e da scoprire, ed è così lontana.
Cecilia mi guarda e aspetta
la mia risposta. Vorrei partire subito, ma non ho molto denaro, ho appena
iniziato un nuovo lavoro, sono sola, senza marito (e questo è un problema). Il
mio cuore direbbe subito di sì, ma la mente mi dice di andarci cauta. “E’ una
splendida notizia. Vedrai che andrà tutto bene e Sara crescerà in mondo nuovo,
diverso e sicuramente migliore. Ma come faccio a venire con voi? Facciamo in questo
modo: voi partite e quando vi siete ambientati e conoscerete meglio il Paese,
mi scriverete e vi raggiungerò. Nel frattempo avrò messo da parte un po’ di
soldi per il viaggio e per tutto quello che serve. Non posso partire così
all’avventura senza sapere a cosa vado incontro. Ma se voi sarete già
ambientati e mi aiuterete, per me sarà più facile.”
Cecilia è un po’ delusa.
Aveva sperato di non patire solo loro tre, è un tuffo nell’incertezza e
l’unione fa la forza, ci aveva proprio sperato.
“Va bene. Ti prometto che
appena arrivati ti scrivo così potrai prepararti con cura, come piace a te. Mi
mancherete tutti, ma qui c’è poco lavoro e poca speranza. Partiamo portando nel
nostro cuore la certezza di andare incontro ad un mondo migliore.” Un abbraccio,
un bacio alla piccina e se ne tornano ai loro preparativi.
Cecilia se ne va. Volevo
essere io la prima ad andarmene, ma l’occasione l’ha avuta lei. Provo un po’ di
invidia, ma so che per me è solo questione di tempo, poi anch’io me ne andrò.
Io preferisco l’America. Ho letto molto su questa terra e sembra benedetta da
Dio. Molti nostri compatrioti sono già partiti e molti altri sperano di
raggiungerli, e io sono fra questi.
Giustina mi guarda pensierosa
ma non parla. Sa che sto meditando nel mio cuore l’amarezza per questa rinuncia.
So anche che lei è felice che rimanga ancora qui.
Mentre l’estate sembra ardere
ogni cosa con il suo grande calore, il mio lavoro procede bene e mi vengono
dati altri compiti.
Ora, il signor Alberto si
fida maggiormente di me, e mi dà incarichi importanti. Devo preparare le paghe
dei lavoratori e controllare le spese. Mi accorgo che l’impegno non è
indifferente e c’è chi mugugna per lavori così importanti non affidati a loro
che hanno più diritti di me: femmina e pure ultima arrivata. Scopro che
l’invidia non è solo femminile.
La mia vita sociale è pari a
zero. Le mie compagne mi snobbano e mi vedono diversa da prima. I ragazzi si
sentono intimoriti dai miei modi freddi e distaccati e mi ritrovo sempre in
compagnia di Giustina o dei miei libri. Ho quasi 19 anni e non ho ancora avuto
un corteggiatore.
Serafina, Anna, Elena e
Giannina si sono sposate. Sono rimaste Rosa e Maria senza un uomo, come me.
Ormai veniamo considerate delle zitelle, 19 anni, nessun uomo al fianco e siamo
già emarginate.
A me non importa molto, sto
aspettando la lettera da Cecilia e Francesco. Presto arriverà e, se tutto va
bene, entro il prossimo anno li raggiungo, non vedo l’ora.
L’autunno è alle porte e ci
sono grosse novità.
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