giovedì 8 novembre 2018

IRINA



IRINA

P. DIECI E UNDICI




Nessuno fiatava. Il silenzio era pressochè assoluto. Poi i cellulari di quasi tutti i presenti cominciarono a squillare: whatsApp o le mail, anche quelli dei due protagonisti.
Inevitabilmente tutti accesero i cellulari e videro sul monitor la scena completa che era stata interrotta.
Lora si volse verso suo marito e un lampo passò fra di loro: avevano capito che quello che era successo prima a Luca, poi a Lorenzo ed ora a loro era legato al segreto che tutti e quattro tenevano nascosto da circa dieci anni.
La donna raggiunse il marito, prese il portatile e lo scaraventò a terra. L’uomo non riusciva a muoversi mentre i presenti cominciavano a riaversi.
Lora abbrancò il braccio dell’uomo e lo trascinò fuori, correndo raggiunsero il loro appartamento e si chiusero dentro.
Irina aveva gli occhi sbarrati e Giada continuava a ripetere oddio che roba! Oddio che roba!
Alcune persone cominciarono ad uscire e fra loro Cleo e il suo amico che sparirono nel buio della sera.
Irina riscosse la sua accompagnatrice e uscirono anche loro. Giada riaprì il bar e la gente cominciò a entrare mentre i commenti si sprecavano.
Fu una lunga notte di chiacchiere e la gente sostò fino all’alba sia nei bar che fuori a parlare di quello che era successo: nessuno si aspettava una cosa del genere.
La domenica mattina, Irina andò al bar per la solita colazione. Giada aveva gli occhi gonfi, non aveva chiuso occhio tutta la notte e lo scandalo si stava allargando, anche i giornali locali, invitati dai due protagonisti avevano rilanciato l’avvenimento, seppur edulcorando immagini e parole. Dei due protagonisti non c’era traccia.
In un momento di calma Giada raggiunse Irina e si sedette di fronte. Mio dio che roba! Che scandalo! Che orribili persone! E noi che avevamo fiducia in loro. Falsi fino al midollo, qui non li vuole più nessuno. Ho visto tutto il filmato, sapesse cosa dicono di noi e di come ci considerano! Qualcuno dice che se li rivede in giro gli sputa in faccia. La donna tremava dalla rabbia.
Si calmi, Giada. Credo che non si faranno più vedere. Quello che hanno subìto non potrà essere dimenticato. Ma chi sarà stato? Le chiese Irina.
Ce lo siamo chiesti in tanti ma non riusciamo a capacitarci. Di sicuro devono aver pestato i piedi a qualcuno di importante che si è vendicato. Ora, tutto il paese vuole solo che se ne vadano. Ribadì prima di tornare dietro il bancone.
Passarono alcuni giorni ma le chiacchiere non si placavano. I due non si erano più fatti vedere. Tutti sapevano che erano in casa, finestre e tapparelle chiuse, solo la madre di lei andava un paio di volte al giorno a portare qualcosa da mangiare, non si erano più visti nemmeno i gemelli.
Fu una notte, dopo cinque giorni dal fatto che un grosso camion di traslochi si fermò sotto la casa di Lora e Riccardo e, nel buio della notte caricarono le loro cose e sparirono come dei ladri. Nessuno li aveva più rivisti e nessuno sapeva dove fossero andati, erano solo contenti che avessero liberato il paese dalla loro presenza.
Lentamente le chiacchiere si attenuarono ma nessuno dimenticava quello che era successo. Si svolsero le elezioni e anche il don fece di tutto per riportare un po’ di normalità.
Maggio stava volgendo al termine, il nuovo sindaco si era insediato e le scuole presto sarebbero finite.
Irina era seduta al bar con Giada. A fine mese mi scade il contratto d’affitto, presto partirò. La mia vecchia zia, la mia unica parente non sta bene e mi ha chiesto di tornare. Ammetto che mi dispiace lascare questo posto, e anche lei Giada, è stata una vera compagna, oserei dire un’amica e le sono molto riconoscente. Le manderò il libro appena sarà pubblicato. Le comunicò Irina.
La barista poggiò la mano su quella dell’altra. Dispiace anche a me, signora Irina, spero che possa venire di persona a portarmi il libro. Aveva gli occhi lucidi, era una brava persona e le dispiaceva averla usata per i suoi scopi, ma non le aveva fatto niente di sconveniente.
I pochi bagagli erano pronti. Irina passò lo sguardo sul bilocale, non c’era niente che la trattenesse. Scese a portare le chiavi a Giada che le avrebbe date al farmacista e bevvero insieme l’ultimo caffè in attesa della corriera.

11
La giornata era piacevole e il viaggio non sarebbe stato lungo. Doveva solo arrivare al deposito e riprendere la sua vettura. Si mise comoda e chiuse gli occhi. Come ti senti adesso? Si chiese. E lasciò che tutto le scorresse nella mente e davanti agli occhi chiusi.
Tutto era successo dieci anni prima. Olga, il marito Alessandro e il loro bambino Giovanni di quattro anni erano in auto. Lei era alla guida mentre Alessandro era sul sedile posteriore in compagnia del bambino che stava legato al seggiolino. Era fine estate e il tempo era stupendo. Era buio e stavano viaggiando verso la tenuta di zia Letizia, l’unica parente di Alessandro. Nell’abitacolo si spandeva una musica delicata, apposta per far addormentare il piccolo che aveva chiuso gli occhi da pochi minuti.
Non si resero conto di niente: una vettura non rispettò lo stop e li investì in pieno facendoli capottare diverse volte, fino a ritrovarsi sottosopra. Il colpo fu talmente forte che Olga ritornò cosciente in ospedale dopo più di due settimane dal fatto.
Chiese dei suoi cari ma capì subito che per loro non c’era stato niente da fare. Fu interrogata dalla polizia ma non riusciva a ricordare nulla, e questo la devastava. I medici le dissero che col tempo, forse avrebbe ricordato, ma che non era sicuro. Il dolore più grande fu quando venne a sapere che se i soccorsi fossero arrivati per tempo il suo bambino si sarebbe salvato, invece suo marito era morto sul colpo.
Passò un anno fra ospedale e riabilitazione e zia Letizia le era sempre accanto, era stata lei a pensare a tutto.
Era ancora estate quando raggiunse la tenuta in Toscana della zia. Smagrita e disperata non riusciva a riprendersi. Passò due anni in quelle condizioni e, a tre anni dall’accaduto, la sua mente cominciò a risvegliarsi.
Furono solo lampi di ricordi dell’incidente che la lasciavano spossata e più arrabbiata, voleva ricordare, voleva che i colpevoli pagassero per quello che le avevano fatto. Un anno intero di tormento e di dolore per voler ritrovare quei ricordi che la torturavano, il non conoscere l’accaduto la stava distruggendo.
Zia letizia assisteva al deperimento fisico e alla depressione di Olga, erano passati quattro anni ma, per lei era come se non fossero mai esistiti. I flash che la coglievano nei momenti più impensabili le stavano togliendo le poche forze che aveva piano piano riacquistato.
La vecchia signora non riusciva più a sopportare di vederla così ridotta e decise di intervenire. Le fece conoscere un bravo psichiatra che usava l’ipnosi e l’accompagnò da lui.
Ci vollero alcuni mesi di terapia ma, alla fine, tutta la storia venne a galla.
Dopo l’incidente, mentre suo marito giaceva morto accanto al figlio che si lamentava lei era riuscita a destarsi dallo svenimento e vedeva le gambe di alcune persone che parlavano fra di loro. Erano alcuni maschi e una femmina e la voce di uno di loro insisteva per chiamare i soccorsi mentre gli altri stavano zitti. La ragazza, lo zittì. Siamo reduci dalla festa delle nostre lauree, e abbiamo pure bevuto, se chiamiamo i soccorsi siamo spacciati, il nostro futuro finisce qui, è questo ciò che volete? Io no! io voglio vivere la mia vita e non finire in galera per un incidente. Presto qualcuno passerà di qui e ci penserà lui. Una voce maschile intervenne. Vuoi costruire il nostro futuro sulla pelle di innocenti? E lei rispose: anche sulla tua se sarà necessario! Domani distruggeremo questo veicolo e nessuno di noi farà parola MAI di quanto è successo qui questa notte. Giuratelo per tutta la vita o io saprò sempre dove trovarvi! Era una tosta quella ragazza, una col pelo sullo stomaco più dei ragazzi. E mentre lei col poco fiato che aveva continuava a ripete salvate il mio bambino, salvate il mio bambino, quelli suggellavano un patto che li avrebbe tenuti uniti per la vita. Sentì che si stavano allontanando, soltanto uno di loro si era attardato e osservava l’auto capottata e la voce sempre più lieve della donna che chiedeva aiuto. Mi dispiace. Disse prima di raggiungere gli altri. Olga ebbe un moto di disperazione e riuscì ad aprire la cintura che la teneva allacciata al sedile, riuscì a vedere le luci posteriori dell’auto e la targa che continuò a ripetere nella mente fino a quando perse del tutto i sensi. Li riprese di lì a poco e sentiva tutto il corpo come se non fosse il suo. Sul sedile posteriore soltanto il rantolo di suo figlio e lei che avrebbe voluto allungare il braccio per confortarlo, ma proprio non ci riusciva. Cercò di parlargli, di tranquillizzarlo, di confortarlo in attesa dei soccorsi che sarebbero arrivati. Ascoltò fino all’ultimo rantolo la vita del suo bambino che lo abbandonava, e insieme a lui, anche la sua Anima volò via, la gettò in un posto dove non voleva ritrovarla. Urlò per quanto poteva, piangeva e malediva quei ragazzi che le stavano portando via tutta la sua vita e giurò a se stessa che, se non fosse morta li avrebbe trovati. Sta a te, Dio, o mi porti con la mia famiglia o ti giuro che li troverò. Finalmente, l’abisso nero e profondo dell’incoscienza le tolse ogni pensiero.
Questa era la storia, e se quei delinquenti avessero chiamato un’ambulanza, ora il suo bambino sarebbe stato ancora vivo.
Pianse di rabbia e di dolore per dei mesi, prima di decidersi. Scelse accuratamente l’agenzia investigativa a cui rivolgersi e quando ebbe tutte le informazioni cominciò il suo minuzioso piano di vendetta. Ora lo aveva portato a termine.
Luca era morto, e doveva essere il ragazzo coi rimorsi. Lorenzo era ridotto un vegetale e Riccardo e Lora avevano la vita e la reputazione distrutti. Non potevano più nascondersi da nessuno. Chiunque avesse digitato il loro nome in internet avrebbe scoperto la loro storia, Cleo aveva fatto davvero un ottimo lavoro e lei stessa sarebbe stata informata dei loro vari spostamenti, non avrebbe reso la loro vita facile.
Scese dalla corriera e riprese la sua auto. Entro sera sarebbe arrivata a destinazione.
Zia Letizia l’accolse con la cena pronta e mangiarono insieme. Ti sono bastati i soldi che ti ho dato per quel tuo progetto? Le chiese. Certamente, zia, sei stata molto generosa, il progetto è chiuso ed ora posso rimettermi al lavoro. Le rispose.
La vecchia signora le posò la mano rugosa sulla sua.
Il giorno dopo, Olga andò al cimitero e si sedette in terra fra le due tombe dei suoi cari, posò le mani sulla fredda pietra che le ricopriva, una per parte e chiuse gli occhi alzando il viso verso il sole. Lo so, l’ho fatto per me, ma questa è stata giustizia. Parlava con loro senza aprire le labbra. E’ stata vendetta, non giustizia. Sentì bisbigliare. Sorrise, non aveva il più piccolo rimorso per quello che aveva fatto, era proprio come diceva un vecchio detto la vendetta è un piatto che deve essere assaporato freddo, il suo piatto aveva dovuto aspettare dieci anni, ma alla fine lo aveva gustato fino in fondo.

Un anno era passato da quando era tornata da zia Letizia, aveva preso in mano le redini della tenuta e i vigneti, gli uliveti, i frutteti stavano tornando a vivere, soltanto lei, che non aveva più un’anima lasciava che la vita fluisse senza che niente la potesse toccare.
Zia Letizia era felice di averla con sé, ma non le sfuggiva il ghiaccio bollente che consumava il cuore di Olga. Era sempre impegnata con il lavoro e non si concedeva altro che alcune serate a teatro dove doveva trascinarla a forza. Desiderava ardentemente che trovasse un compagno per la vita, era ancora molto giovane e non poteva trascinarsi in quell’inferno.
La posta era sistemata all’ingresso e, rientrando, Olga come faceva sempre la prese e la portò nello studio. La cameriera le portò una tazza di tè e qualche biscotto mentre lei si sedeva e cominciava ad aprire le buste.
Una in particolare attrasse la sua attenzione: bianca e senza mittente, già sapeva di cosa si trattava.
Lacerò la busta e aprì il foglio, cominciando a leggere.
Signora Olga, come accordi le invio il report.
Riccardo e Lora non hanno trovato lavoro (ci ho pensato io) e hanno dovuto rinunciare anche ai loro figli. La madre di Lora li ha adottati e ha cambiato il loro cognome con il suo da nubile e si sono traferiti nel Lazio. La nonna vive con la sua pensione e sta allevando i suoi nipoti con parecchi sacrifici.
I due coniugi hanno vissuto in vari posti spostandosi di continuo e vivendo con lavori saltuari, la signora ha fatto la badante per alcuni mesi e sono stati i migliori che hanno avuto. Ora sono presso una comunità cattolica e fanno i volontari, so che partiranno per l’Africa e lavoreranno in quel continente per migliorare la vita di alcuni villaggi.
La famiglia di Lorenzo non può più permettersi le cure e stanno parlando di eutanasia.
Se le serve sapere altro me lo faccia sapere, altrimenti riceverà il prossimo resoconto fra un anno.
Cleo.
Olga stava alla finestra con gli occhi fissi al bellissimo panorama che a circondava. Assimilava quello che aveva appena saputo. L’Africa forse sarebbe stata utile a quei due delinquenti e avrebbero fatto qualcosa di buono per chi era nel bisogno. Sì, poteva accettarlo. Per quanto riguardava Lorenzo la morte sarebbe stata una soluzione troppo semplice, ancora non era il momento di farlo smettere di soffrire, la sua famiglia doveva provare quello che lei stessa provava. Avrebbe fatto una donazione anonima per un altro anno in quella struttura.
Il sole riscaldava quella terra generosa. Zia Letizia era comodamente seduta all’ombra di un vecchio salice piangente e osservava la nipote. Olga si sedette accanto a lei. Vuoi leggere? Le chiese porgendole la busta. Gli occhi dolci della vecchia la guardarono quasi a volerle leggere l’anima, ma ancora c’era un grande vuoto. Non ho bisogno di leggere, mi basta vivere fino al momento in cui ti vedrò felice. Le rispose dolcemente. Allora vivrai a lungo, zia, molto a lungo. E chiuse gli occhi per rivedere nella mente i visi dei suoi cari.
fine

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