IRINA
P. DIECI E UNDICI
Nessuno
fiatava. Il silenzio era pressochè assoluto. Poi i cellulari di quasi tutti i
presenti cominciarono a squillare: whatsApp o le mail, anche quelli dei due
protagonisti.
Inevitabilmente
tutti accesero i cellulari e videro sul monitor la scena completa che era stata
interrotta.
Lora si
volse verso suo marito e un lampo passò fra di loro: avevano capito che quello
che era successo prima a Luca, poi a Lorenzo ed ora a loro era legato al
segreto che tutti e quattro tenevano nascosto da circa dieci anni.
La donna
raggiunse il marito, prese il portatile e lo scaraventò a terra. L’uomo non
riusciva a muoversi mentre i presenti cominciavano a riaversi.
Lora
abbrancò il braccio dell’uomo e lo trascinò fuori, correndo raggiunsero il loro
appartamento e si chiusero dentro.
Irina aveva
gli occhi sbarrati e Giada continuava a ripetere oddio che roba! Oddio che roba!
Alcune
persone cominciarono ad uscire e fra loro Cleo e il suo amico che sparirono nel
buio della sera.
Irina
riscosse la sua accompagnatrice e uscirono anche loro. Giada riaprì il bar e la
gente cominciò a entrare mentre i commenti si sprecavano.
Fu una lunga
notte di chiacchiere e la gente sostò fino all’alba sia nei bar che fuori a
parlare di quello che era successo: nessuno si aspettava una cosa del genere.
La domenica
mattina, Irina andò al bar per la solita colazione. Giada aveva gli occhi
gonfi, non aveva chiuso occhio tutta la notte e lo scandalo si stava
allargando, anche i giornali locali, invitati dai due protagonisti avevano
rilanciato l’avvenimento, seppur edulcorando immagini e parole. Dei due
protagonisti non c’era traccia.
In un
momento di calma Giada raggiunse Irina e si sedette di fronte. Mio dio che roba! Che scandalo! Che orribili
persone! E noi che avevamo fiducia in loro. Falsi fino al midollo, qui non li
vuole più nessuno. Ho visto tutto il
filmato, sapesse cosa dicono di noi e di come ci considerano! Qualcuno dice che
se li rivede in giro gli sputa in faccia. La donna tremava dalla rabbia.
Si calmi, Giada. Credo che non si
faranno più vedere. Quello che hanno subìto non potrà essere dimenticato. Ma
chi sarà stato? Le
chiese Irina.
Ce lo siamo chiesti in tanti ma non
riusciamo a capacitarci. Di sicuro devono aver pestato i piedi a qualcuno di
importante che si è vendicato. Ora, tutto il paese vuole solo che se ne vadano.
Ribadì prima di
tornare dietro il bancone.
Passarono
alcuni giorni ma le chiacchiere non si placavano. I due non si erano più fatti
vedere. Tutti sapevano che erano in casa, finestre e tapparelle chiuse, solo la
madre di lei andava un paio di volte al giorno a portare qualcosa da mangiare,
non si erano più visti nemmeno i gemelli.
Fu una
notte, dopo cinque giorni dal fatto che un grosso camion di traslochi si fermò
sotto la casa di Lora e Riccardo e, nel buio della notte caricarono le loro
cose e sparirono come dei ladri. Nessuno li aveva più rivisti e nessuno sapeva
dove fossero andati, erano solo contenti che avessero liberato il paese dalla
loro presenza.
Lentamente
le chiacchiere si attenuarono ma nessuno dimenticava quello che era successo.
Si svolsero le elezioni e anche il don fece di tutto per riportare un po’ di
normalità.
Maggio stava
volgendo al termine, il nuovo sindaco si era insediato e le scuole presto
sarebbero finite.
Irina era
seduta al bar con Giada. A fine mese mi
scade il contratto d’affitto, presto partirò. La mia vecchia zia, la mia unica
parente non sta bene e mi ha chiesto di tornare. Ammetto che mi dispiace
lascare questo posto, e anche lei Giada, è stata una vera compagna, oserei dire
un’amica e le sono molto riconoscente. Le manderò il libro appena sarà
pubblicato. Le comunicò Irina.
La barista
poggiò la mano su quella dell’altra. Dispiace
anche a me, signora Irina, spero che possa venire di persona a portarmi il
libro. Aveva gli occhi lucidi, era una brava persona e le dispiaceva averla
usata per i suoi scopi, ma non le aveva fatto niente di sconveniente.
I pochi
bagagli erano pronti. Irina passò lo sguardo sul bilocale, non c’era niente che
la trattenesse. Scese a portare le chiavi a Giada che le avrebbe date al farmacista
e bevvero insieme l’ultimo caffè in attesa della corriera.
11
La giornata
era piacevole e il viaggio non sarebbe stato lungo. Doveva solo arrivare al
deposito e riprendere la sua vettura. Si mise comoda e chiuse gli occhi. Come ti senti adesso? Si chiese. E lasciò
che tutto le scorresse nella mente e davanti agli occhi chiusi.
Tutto era
successo dieci anni prima. Olga, il marito Alessandro e il loro bambino
Giovanni di quattro anni erano in auto. Lei era alla guida mentre Alessandro
era sul sedile posteriore in compagnia del bambino che stava legato al
seggiolino. Era fine estate e il tempo era stupendo. Era buio e stavano
viaggiando verso la tenuta di zia Letizia, l’unica parente di Alessandro.
Nell’abitacolo si spandeva una musica delicata, apposta per far addormentare il
piccolo che aveva chiuso gli occhi da pochi minuti.
Non si
resero conto di niente: una vettura non rispettò lo stop e li investì in pieno facendoli
capottare diverse volte, fino a ritrovarsi sottosopra. Il colpo fu talmente
forte che Olga ritornò cosciente in ospedale dopo più di due settimane dal
fatto.
Chiese dei
suoi cari ma capì subito che per loro non c’era stato niente da fare. Fu
interrogata dalla polizia ma non riusciva a ricordare nulla, e questo la
devastava. I medici le dissero che col tempo, forse avrebbe ricordato, ma che
non era sicuro. Il dolore più grande fu quando venne a sapere che se i soccorsi
fossero arrivati per tempo il suo bambino si sarebbe salvato, invece suo marito
era morto sul colpo.
Passò un
anno fra ospedale e riabilitazione e zia Letizia le era sempre accanto, era
stata lei a pensare a tutto.
Era ancora
estate quando raggiunse la tenuta in Toscana della zia. Smagrita e disperata
non riusciva a riprendersi. Passò due anni in quelle condizioni e, a tre anni
dall’accaduto, la sua mente cominciò a risvegliarsi.
Furono solo
lampi di ricordi dell’incidente che la lasciavano spossata e più arrabbiata,
voleva ricordare, voleva che i colpevoli pagassero per quello che le avevano
fatto. Un anno intero di tormento e di dolore per voler ritrovare quei ricordi
che la torturavano, il non conoscere l’accaduto la stava distruggendo.
Zia letizia
assisteva al deperimento fisico e alla depressione di Olga, erano passati
quattro anni ma, per lei era come se non fossero mai esistiti. I flash che la
coglievano nei momenti più impensabili le stavano togliendo le poche forze che
aveva piano piano riacquistato.
La vecchia
signora non riusciva più a sopportare di vederla così ridotta e decise di
intervenire. Le fece conoscere un bravo psichiatra che usava l’ipnosi e
l’accompagnò da lui.
Ci vollero
alcuni mesi di terapia ma, alla fine, tutta la storia venne a galla.
Dopo
l’incidente, mentre suo marito giaceva morto accanto al figlio che si lamentava
lei era riuscita a destarsi dallo svenimento e vedeva le gambe di alcune
persone che parlavano fra di loro. Erano alcuni maschi e una femmina e la voce
di uno di loro insisteva per chiamare i soccorsi mentre gli altri stavano
zitti. La ragazza, lo zittì. Siamo reduci
dalla festa delle nostre lauree, e abbiamo pure bevuto, se chiamiamo i soccorsi
siamo spacciati, il nostro futuro finisce qui, è questo ciò che volete? Io no!
io voglio vivere la mia vita e non finire in galera per un incidente. Presto
qualcuno passerà di qui e ci penserà lui. Una voce maschile intervenne. Vuoi costruire il nostro futuro sulla pelle
di innocenti? E lei rispose: anche
sulla tua se sarà necessario! Domani distruggeremo questo veicolo e nessuno di
noi farà parola MAI di quanto è successo qui questa notte. Giuratelo per tutta
la vita o io saprò sempre dove trovarvi! Era una tosta quella ragazza, una
col pelo sullo stomaco più dei ragazzi. E mentre lei col poco fiato che aveva
continuava a ripete salvate il mio
bambino, salvate il mio bambino, quelli suggellavano un patto che li
avrebbe tenuti uniti per la vita. Sentì che si stavano allontanando, soltanto
uno di loro si era attardato e osservava l’auto capottata e la voce sempre più
lieve della donna che chiedeva aiuto. Mi
dispiace. Disse prima di raggiungere gli altri. Olga ebbe un moto di
disperazione e riuscì ad aprire la cintura che la teneva allacciata al sedile,
riuscì a vedere le luci posteriori dell’auto e la targa che continuò a ripetere
nella mente fino a quando perse del tutto i sensi. Li riprese di lì a poco e
sentiva tutto il corpo come se non fosse il suo. Sul sedile posteriore soltanto
il rantolo di suo figlio e lei che avrebbe voluto allungare il braccio per
confortarlo, ma proprio non ci riusciva. Cercò di parlargli, di tranquillizzarlo,
di confortarlo in attesa dei soccorsi che sarebbero arrivati. Ascoltò fino
all’ultimo rantolo la vita del suo bambino che lo abbandonava, e insieme a lui,
anche la sua Anima volò via, la gettò in un posto dove non voleva ritrovarla.
Urlò per quanto poteva, piangeva e malediva quei ragazzi che le stavano
portando via tutta la sua vita e giurò a se stessa che, se non fosse morta li
avrebbe trovati. Sta a te, Dio, o mi
porti con la mia famiglia o ti giuro che li troverò. Finalmente, l’abisso
nero e profondo dell’incoscienza le tolse ogni pensiero.
Questa era
la storia, e se quei delinquenti avessero chiamato un’ambulanza, ora il suo
bambino sarebbe stato ancora vivo.
Pianse di
rabbia e di dolore per dei mesi, prima di decidersi. Scelse accuratamente l’agenzia
investigativa a cui rivolgersi e quando ebbe tutte le informazioni cominciò il
suo minuzioso piano di vendetta. Ora lo aveva portato a termine.
Luca era
morto, e doveva essere il ragazzo coi rimorsi. Lorenzo era ridotto un vegetale
e Riccardo e Lora avevano la vita e la reputazione distrutti. Non potevano più
nascondersi da nessuno. Chiunque avesse digitato il loro nome in internet
avrebbe scoperto la loro storia, Cleo aveva fatto davvero un ottimo lavoro e
lei stessa sarebbe stata informata dei loro vari spostamenti, non avrebbe reso
la loro vita facile.
Scese dalla
corriera e riprese la sua auto. Entro sera sarebbe arrivata a destinazione.
Zia Letizia
l’accolse con la cena pronta e mangiarono insieme. Ti sono bastati i soldi che ti ho dato per quel tuo progetto? Le
chiese. Certamente, zia, sei stata molto
generosa, il progetto è chiuso ed ora posso rimettermi al lavoro. Le
rispose.
La vecchia
signora le posò la mano rugosa sulla sua.
Il giorno
dopo, Olga andò al cimitero e si sedette in terra fra le due tombe dei suoi
cari, posò le mani sulla fredda pietra che le ricopriva, una per parte e chiuse
gli occhi alzando il viso verso il sole. Lo
so, l’ho fatto per me, ma questa è stata giustizia. Parlava con loro senza
aprire le labbra. E’ stata vendetta, non
giustizia. Sentì bisbigliare. Sorrise, non aveva il più piccolo rimorso per
quello che aveva fatto, era proprio come diceva un vecchio detto la vendetta è un piatto che deve essere
assaporato freddo, il suo piatto aveva dovuto aspettare dieci anni, ma alla
fine lo aveva gustato fino in fondo.
Un anno era
passato da quando era tornata da zia Letizia, aveva preso in mano le redini
della tenuta e i vigneti, gli uliveti, i frutteti stavano tornando a vivere,
soltanto lei, che non aveva più un’anima lasciava che la vita fluisse senza che
niente la potesse toccare.
Zia Letizia
era felice di averla con sé, ma non le sfuggiva il ghiaccio bollente che
consumava il cuore di Olga. Era sempre impegnata con il lavoro e non si
concedeva altro che alcune serate a teatro dove doveva trascinarla a forza.
Desiderava ardentemente che trovasse un compagno per la vita, era ancora molto
giovane e non poteva trascinarsi in quell’inferno.
La posta era
sistemata all’ingresso e, rientrando, Olga come faceva sempre la prese e la portò
nello studio. La cameriera le portò una tazza di tè e qualche biscotto mentre
lei si sedeva e cominciava ad aprire le buste.
Una in
particolare attrasse la sua attenzione: bianca e senza mittente, già sapeva di
cosa si trattava.
Lacerò la
busta e aprì il foglio, cominciando a leggere.
Signora Olga, come accordi le invio
il report.
Riccardo e Lora non hanno trovato
lavoro (ci ho pensato io) e hanno dovuto rinunciare anche ai loro figli. La
madre di Lora li ha adottati e ha cambiato il loro cognome con il suo da nubile
e si sono traferiti nel Lazio. La nonna vive con la sua pensione e sta
allevando i suoi nipoti con parecchi sacrifici.
I due coniugi hanno vissuto in vari posti
spostandosi di continuo e vivendo con lavori saltuari, la signora ha fatto la badante
per alcuni mesi e sono stati i migliori che hanno avuto. Ora sono presso una
comunità cattolica e fanno i volontari, so che partiranno per l’Africa e
lavoreranno in quel continente per migliorare la vita di alcuni villaggi.
La famiglia di Lorenzo non può più
permettersi le cure e stanno parlando di eutanasia.
Se le serve sapere altro me lo faccia
sapere, altrimenti riceverà il prossimo resoconto fra un anno.
Cleo.
Olga stava
alla finestra con gli occhi fissi al bellissimo panorama che a circondava.
Assimilava quello che aveva appena saputo. L’Africa forse sarebbe stata utile a
quei due delinquenti e avrebbero fatto qualcosa di buono per chi era nel
bisogno. Sì, poteva accettarlo. Per quanto riguardava Lorenzo la morte sarebbe
stata una soluzione troppo semplice, ancora non era il momento di farlo
smettere di soffrire, la sua famiglia doveva provare quello che lei stessa
provava. Avrebbe fatto una donazione anonima per un altro anno in quella
struttura.
Il sole
riscaldava quella terra generosa. Zia Letizia era comodamente seduta all’ombra
di un vecchio salice piangente e osservava la nipote. Olga si sedette accanto a
lei. Vuoi leggere? Le chiese
porgendole la busta. Gli occhi dolci della vecchia la guardarono quasi a
volerle leggere l’anima, ma ancora c’era un grande vuoto. Non ho bisogno di leggere, mi basta vivere fino al momento in cui ti
vedrò felice. Le rispose dolcemente. Allora
vivrai a lungo, zia, molto a lungo. E chiuse gli occhi per rivedere nella
mente i visi dei suoi cari.
fine
Nessun commento:
Posta un commento