lunedì 19 novembre 2018

EMILIANA


EMILIANA



PRIMO CAPITOLO

E’ molto dura lavorare in fabbrica per dieci ore a fila.
Siamo in tante a fare questo dannato lavoro. La filanda è un posto da non augurare a nessuno; ma, senza lavoro non si mangia.
Mi chiamo Emiliana, ho 15 anni e da tre anni lavoro in questo inferno. Qui non si vive, si soffre; e a casa non va molto meglio. Chi ha inventato questo lavoro deve essere uno che odia le donne, ma le donne non sono odiate e sfruttate solo qui dentro, fuori di qui non è molto diverso.
Per esempio in casa mia. Vivo con i miei genitori e due fratellini più piccoli in una casa che sembra una stamberga, ma non possiamo permetterci di meglio. Mio padre è un ubriacone che non sa tenersi nessun lavoro. Mia madre subisce ogni sopruso da parte sua e non sa reagire. Sui miei fratellini e me, di conseguenza, si riversa tutta questa situazione. Certo, non è che siamo una eccezione, no, siamo praticamente la regola.
Che schifo di vita!
Se penso che fra pochi anni anch’io prenderò marito ed avrò dei figli, e forse ripeterò la vita che sta facendo mia madre, mi viene voglia di scappare lontano lontano.
Sono una sognatrice, ma i miei sogni ad occhi aperti mi portano solo solitudine e rabbia. La vita in paese scorre come se fosse su un nastro trasportatore: è tutto quasi uguale, ogni giorno uguale all’altro. Il lavoro in filanda che spezza la schiena, la domenica alla Messa e poi in compagnia con le mie amiche. Siamo un folto gruppo della stessa età: Cecilia, Rosa, Maria, Elena, Anna, Serafina, Giannina, e tante altre. Ci sono anche i maschietti, ma loro fanno gruppo a parte.
La maggior parte della nostra vita la passiamo lavorando. Sembriamo un branco di pecorone quando al mattino, ancora assonnate, entriamo in filanda. Il rumore dei telai è talmente forte che non c’è spazio per nessuna parola, anche se non sarebbe possibile, perché i sorveglianti sono molto severi. Intanto che lavoro cerco di pensare a cose belle, e qui mi frega il mio sognare a occhi aperti: sono svelta con le mani, ormai lavoro quasi senza pensarci, così, penso a cosa mi piacerebbe avere dalla vita.
Una ragazza della mia età sogna un principe azzurro ricco e innamorato, ma io cerco di stare con i piedi per terra, mi basta essere capace di resistere alle tentazioni dei ragazzi che mi circondano, io voglio qualcosa di più e sono sicura che lo troverò. Intanto nella mia vita non cambia niente e vengo un poco emarginata.
C’è la pausa per il pranzo. Tutte ci portiamo qualcosa da casa. In mezz’ora dobbiamo andare al gabinetto e mangiarci un pezzo di pane. Molte fumano, ma non io. Durante le ore di lavoro non possiamo assentarci per nessun motivo e, durante la pausa, c’è una fila talmente lunga alle latrine che passi davanti al quel posto maleodorante metà del tempo.
Io non capisco le mie compagne: ridono per niente, fanno le smorfiose con il gruppo dei maschi e mi sembra che si rendano ridicole. Poi, però, so che lo fanno per avere un minimo di distrazione e con la speranza di trovare qualcuno che le sposi e le tiri fuori da qui. Sono delle ingenue, se sposi uno di loro farai la stessa vita di adesso, magari con il pancione e un marito che non ti rispetta. Torno al mio lavoro, non voglio vedere altro.
Aspetto con ansia la fine del mio turno. Voglio tornare a casa e mettermi a letto, sono molto stanca.
In casa la situazione è la solita. Mio padre sonnecchia davanti al fuoco, i miei fratellini, Mario e Aldo di dieci e otto anni, giocano con uno spago e dei barattoli, mia madre, sempre stanca, prepara da mangiare. Anche lei è rientrata da poco, ha lavato il bucato di alcuni uomini che vivono da soli, e adesso ricomincia a lavorare in casa. Vorrei aiutarla, lei non me lo chiede mai, ma mi fa tanta rabbia vederla sempre così rassegnata che mi giro dall’altra parte.

Un’altra mattina, colazione veloce e poi a piedi verso la fabbrica. Oggi c’è una novità: Adriana è stata licenziata ed al suo posto è arrivata Clara. Mio Dio! Clara è una bambina. Adriana è stata licenziata perché ormai troppo vecchia: coi suoi 35 anni e le gambe gonfie non ce la faceva più a tenere il ritmo necessario per “dare la resa” come la chiamano “loro”.
Clara farà coppia con me e la devo istruire. Con quelle manine così piccole ed il viso spaventato sembra una bambolina di pezza che va dove tira il vento. Mi impegno molto, perché devo fare anche il lavoro suo e non è molto facile. Finalmente arriva la pausa. Mi siedo e apro la mia bisaccia e mi accorgo che Clara non ha portato niente da mangiare. “Come mai non hai niente da mangiare?” Alza le spalle senza parlare, ma io capisco. “Vieni che dividiamo il mio pasto, devi mangiare qualcosa o non arrivi a sera!” Intanto che mangiamo cerco di istruirla. “Devi dire alla tua mamma di preparati da mangiare e portarlo in una bisaccia che devi tenere alla vita. Qui non puoi lasciare niente in giro o sparisce subito. Quanti anni hai?” Sembra fare fatica a rispondere “nove” e si rinchiude subito in se stessa.
A fine turno sono più stanca del solito. Lavorare con una nuova arrivata è sempre problematico, ma con una bambina inesperta è molto più faticoso.
Ricomincia il solito lavoro, Clara mi fa vedere che ha portato da mangiare ma non ha la bisaccia, così lo metto insieme al mio. Oggi è un poco più svelta, ma la maggior parte del lavoro è sulle mie spalle. Cerco di fare il possibile, o la manderanno via ed io so quanto sia importante poter guadagnare qualcosa. Il sorvegliante sembra più pignolo del solito e molto spesso ce lo ritroviamo a controllarci.
Finalmente la pausa. Dopo la corsa al gabinetto ci sediamo in terra e mangiamo. Cerco di sapere qualcosa di più. “Come mai sei qui dentro?”
Ha una vocina che intenerisce. “In casa siamo in tanti, ho otto fratelli e non c’è mai da mangiare a sufficienza, così la mia mamma mi ha trovato questo posto e mi ha detto che devo fare la brava altrimenti mi prendo un sacco di botte dal babbo”. “Vedrai, ancora qualche giorno poi sarai più svelta di me”. Mi guarda e mi chiede “a te piace questo lavoro? Io non lo sopporto, non riesco a rimanere chiusa per così tanto tempo, e poi questo rumore così forte mi fa scoppiare le orecchie e la testa. No, non ce la faccio a resistere, meglio prendere le botte da mio padre. Però, farò di tutto per resistere se tu mi aiuti. Io vorrei scappare lontano lontano.” Queste ultime parole mi danno un tuffo al cuore, sono le stesse che penso spesso anch’io, e so che è un fardello molto pesante da sopportare. “coraggio che domani si riposa e stasera ci danno la paga settimanale. Fai un sorriso e rientriamo”.

foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

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