EMILIANA
PRIMO CAPITOLO
E’ molto dura lavorare in
fabbrica per dieci ore a fila.
Siamo in tante a fare questo
dannato lavoro. La filanda è un posto da non augurare a nessuno; ma, senza
lavoro non si mangia.
Mi chiamo Emiliana, ho 15 anni
e da tre anni lavoro in questo inferno. Qui non si vive, si soffre; e a casa
non va molto meglio. Chi ha inventato questo lavoro deve essere uno che odia le
donne, ma le donne non sono odiate e sfruttate solo qui dentro, fuori di qui
non è molto diverso.
Per esempio in casa mia. Vivo
con i miei genitori e due fratellini più piccoli in una casa che sembra una
stamberga, ma non possiamo permetterci di meglio. Mio padre è un ubriacone che
non sa tenersi nessun lavoro. Mia madre subisce ogni sopruso da parte sua e non
sa reagire. Sui miei fratellini e me, di conseguenza, si riversa tutta questa
situazione. Certo, non è che siamo una eccezione, no, siamo praticamente la
regola.
Che schifo di vita!
Se penso che fra pochi anni
anch’io prenderò marito ed avrò dei figli, e forse ripeterò la vita che sta
facendo mia madre, mi viene voglia di scappare lontano lontano.
Sono una sognatrice, ma i
miei sogni ad occhi aperti mi portano solo solitudine e rabbia. La vita in
paese scorre come se fosse su un nastro trasportatore: è tutto quasi uguale,
ogni giorno uguale all’altro. Il lavoro in filanda che spezza la schiena, la
domenica alla Messa e poi in compagnia con le mie amiche. Siamo un folto gruppo
della stessa età: Cecilia, Rosa, Maria, Elena, Anna, Serafina, Giannina, e tante
altre. Ci sono anche i maschietti, ma loro fanno gruppo a parte.
La maggior parte della nostra
vita la passiamo lavorando. Sembriamo un branco di pecorone quando al mattino,
ancora assonnate, entriamo in filanda. Il rumore dei telai è talmente forte che
non c’è spazio per nessuna parola, anche se non sarebbe possibile, perché i
sorveglianti sono molto severi. Intanto che lavoro cerco di pensare a cose
belle, e qui mi frega il mio sognare a occhi aperti: sono svelta con le mani,
ormai lavoro quasi senza pensarci, così, penso a cosa mi piacerebbe avere dalla
vita.
Una ragazza della mia età
sogna un principe azzurro ricco e innamorato, ma io cerco di stare con i piedi
per terra, mi basta essere capace di resistere alle tentazioni dei ragazzi che
mi circondano, io voglio qualcosa di più e sono sicura che lo troverò.
Intanto nella mia vita non cambia niente e vengo un poco emarginata.
C’è la pausa per il pranzo. Tutte
ci portiamo qualcosa da casa. In mezz’ora dobbiamo andare al gabinetto e
mangiarci un pezzo di pane. Molte fumano, ma non io. Durante le ore di lavoro
non possiamo assentarci per nessun motivo e, durante la pausa, c’è una fila
talmente lunga alle latrine che passi davanti al quel posto maleodorante metà
del tempo.
Io non capisco le mie
compagne: ridono per niente, fanno le smorfiose con il gruppo dei maschi e mi
sembra che si rendano ridicole. Poi, però, so che lo fanno per avere un minimo
di distrazione e con la speranza di trovare qualcuno che le sposi e le tiri fuori
da qui. Sono delle ingenue, se sposi uno di loro farai la stessa vita di
adesso, magari con il pancione e un marito che non ti rispetta. Torno al mio
lavoro, non voglio vedere altro.
Aspetto con ansia la fine del
mio turno. Voglio tornare a casa e mettermi a letto, sono molto stanca.
In casa la situazione è la
solita. Mio padre sonnecchia davanti al fuoco, i miei fratellini, Mario e Aldo
di dieci e otto anni, giocano con uno spago e dei barattoli, mia madre, sempre
stanca, prepara da mangiare. Anche lei è rientrata da poco, ha lavato il bucato
di alcuni uomini che vivono da soli, e adesso ricomincia a lavorare in casa.
Vorrei aiutarla, lei non me lo chiede mai, ma mi fa tanta rabbia vederla sempre
così rassegnata che mi giro dall’altra parte.
Un’altra mattina, colazione
veloce e poi a piedi verso la fabbrica. Oggi c’è una novità: Adriana è stata
licenziata ed al suo posto è arrivata Clara. Mio Dio! Clara è una bambina.
Adriana è stata licenziata perché ormai troppo vecchia: coi suoi 35 anni e le gambe
gonfie non ce la faceva più a tenere il ritmo necessario per “dare la resa”
come la chiamano “loro”.
Clara farà coppia con me e la
devo istruire. Con quelle manine così piccole ed il viso spaventato sembra una
bambolina di pezza che va dove tira il vento. Mi impegno molto, perché devo
fare anche il lavoro suo e non è molto facile. Finalmente arriva la pausa. Mi
siedo e apro la mia bisaccia e mi accorgo che Clara non ha portato niente da
mangiare. “Come mai non hai niente da mangiare?” Alza le spalle senza parlare,
ma io capisco. “Vieni che dividiamo il mio pasto, devi mangiare qualcosa o non
arrivi a sera!” Intanto che mangiamo cerco di istruirla. “Devi dire alla tua
mamma di preparati da mangiare e portarlo in una bisaccia che devi tenere alla
vita. Qui non puoi lasciare niente in giro o sparisce subito. Quanti anni hai?”
Sembra fare fatica a rispondere “nove” e si rinchiude subito in se stessa.
A fine turno sono più stanca
del solito. Lavorare con una nuova arrivata è sempre problematico, ma con una
bambina inesperta è molto più faticoso.
Ricomincia il solito lavoro,
Clara mi fa vedere che ha portato da mangiare ma non ha la bisaccia, così lo
metto insieme al mio. Oggi è un poco più svelta, ma la maggior parte del lavoro
è sulle mie spalle. Cerco di fare il possibile, o la manderanno via ed io so
quanto sia importante poter guadagnare qualcosa. Il sorvegliante sembra più
pignolo del solito e molto spesso ce lo ritroviamo a controllarci.
Finalmente la pausa. Dopo la
corsa al gabinetto ci sediamo in terra e mangiamo. Cerco di sapere qualcosa di
più. “Come mai sei qui dentro?”
Ha una vocina che
intenerisce. “In casa siamo in tanti, ho otto fratelli e non c’è mai da
mangiare a sufficienza, così la mia mamma mi ha trovato questo posto e mi ha
detto che devo fare la brava altrimenti mi prendo un sacco di botte dal babbo”.
“Vedrai, ancora qualche giorno poi sarai più svelta di me”. Mi guarda e mi
chiede “a te piace questo lavoro? Io non lo sopporto, non riesco a rimanere
chiusa per così tanto tempo, e poi questo rumore così forte mi fa scoppiare le
orecchie e la testa. No, non ce la faccio a resistere, meglio prendere le botte
da mio padre. Però, farò di tutto per resistere se tu mi aiuti. Io vorrei
scappare lontano lontano.” Queste ultime parole mi danno un tuffo al cuore,
sono le stesse che penso spesso anch’io, e so che è un fardello molto pesante
da sopportare. “coraggio che domani si riposa e stasera ci danno la paga
settimanale. Fai un sorriso e rientriamo”.
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