venerdì 2 novembre 2018

IRINA



IRINA

P. CINQUE




Mancavano tre giorni al Natale, era il momento di agire. Non aveva la certezza che il suo piano andasse a buon fine, ma non importava, se non ci fosse riuscita al primo tentativo avrebbe provato e riprovato fino a quando non avesse ottenuto il risultato che voleva.
I fogli del suo notes li aveva bruciati. Era primo pomeriggio e la neve caduta si era ghiacciata sulle strade che erano state ricoperte di sale. In città si viaggiava piuttosto bene ma fuori del centro abitato non era proprio così.
Il parcheggio sotterraneo della società aveva due uscite di sicurezza, una delle quali era usata dal personale delle pulizie che ogni tardo pomeriggio prendeva servizio. Gli addetti entravano alle diciotto.
Irina si era procurata una divisa, l’aveva imbottita per camuffare il suo fisico, indossato una cuffia e guanti di lana. Aspettò con pazienza che gli inservienti entrassero e si intrufolò fra di loro. Nascondersi non era difficile e aspettò che quelli prendessero i loro arnesi e salissero con l’ascensore. Sapeva che c’erano delle telecamere e cercò, per quanto poteva di evitarle.
Raggiunse il SUV di Lorenzo, era fortunata in quanto era nascosto dalla parete dove lei poteva muoversi. Silenziosa tolse dalla borsa due fialette di liquido puzzolente, quello che i ragazzini usano nelle feste e lo versò su tutta la base del cofano, facendolo penetrare nella fessura davanti al parabrezza. Prese una busta e la infilò sotto i tergicristalli. Rimase solo un attimo ad osservare, poi con estrema disinvoltura uscì da dove era entrata.
Nascosta in un punto scuro del parco si tolse il camuffamento e lo buttò nel bidone che aveva preparato, diede fuoco a tutto e se ne andò senza voltarsi indietro.
Raggiunse la sua stanza e recuperò i suoi bagagli. Il taxi l’aspettava per portarla alla stazione.
Salì sul treno che l’avrebbe portata in Toscana, dalla sua unica parente ancora in vita e si rilassò nel caldo dello scompartimento di prima classe che aveva prenotato.
Erano le diciannove quando Lorenzo scese al parcheggio. Finalmente aveva terminato il suo progetto e poteva partire per la montagna con la famiglia per le vacanze di Natale.
Fu sorpreso di vedere la busta. L’aprì e sorrise. Un piccolo arbre magic azzurro con tanti cuoricini disegnati a penna era chiuso in un involucro trasparente. Si chiese chi fosse la ragazza che glielo aveva lasciato, sicuramente Gioia, l’ultima fiamma che si era portato a letto. Sempre sorridendo posò la valigetta sul sedile accanto al suo e vi mise sopra l’alberello. Lo avrebbe gettato non appena fosse uscito dalla città.
La neve aveva ricominciato a cadere e il traffico era molto rallentato. Lorenzo cominciò a sentire un cattivo odore provenire dalla ventola dell’aria calda, abbassò il finestrino ma la neve entrava come un piccolo vortice. Si ricordò dell’arbre magic e lo scartò al primo semaforo rosso. Lo appese aspettando di poter respirare l’aroma che Gioia di sicuro ci aveva messo.
Ci vollero altri venti minuti prima di uscire dalla città e prendere la strada che ormai conosceva molto bene. Era contento, aveva avuto un anno pieno di soddisfazioni sotto tutti i punti di vista. Alzò lo sguardo sull’alberello e si accorse di avere le palpebre pesanti e uno strano malessere. Faticava a respirare, abbassò il finestrino e potè riprendere fiato. La strada era sdrucciolevole, e i suoi sensi erano intorpiditi. Non si rese nemmeno conto quando perse il controllo dell’auto. Il breve cavalcavia che sovrastava i vecchi binari morti della ferrovia fu l’ultima cosa che vide prima di precipitare di sotto.
Gli automobilisti chiamarono tempestivamente i soccorsi che giunsero a tempo di record, ma servirono i vigili del fuoco per estrarlo dall’abitacolo.
E mentre tutto questo succedeva Irina leggeva un libro sul treno che la portava a destinazione.
L’ambulanza correva a sirene spiegate verso l’ospedale. Lorenzo era privo di conoscenza ma ancora vivo. Lo portarono direttamente in sala operatoria mentre la polizia cercava i documenti per avvisare i parenti.
Il treno faceva poche fermate. Irina aveva la testa appoggiata allo schienale e teneva gli occhi chiusi. A quell’ora qualcosa doveva essere successo ma lei non avrebbe fatto proprio niente per cercare informazioni. Non era una sciocca. La tenuta che la vecchia zia aveva nelle campagne toscane era un ottimo rifugio e lei intendeva isolarsi dal resto del mondo. Non erano stati facili gli ultimi mesi e ancora non aveva finito, doveva pensare a come sistemare Riccardo e sua moglie Lora, soprattutto lei!

immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

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