venerdì 22 gennaio 2021

MISHA

 

MISHA

parte ventiquattro



Prese una boccetta dalla sua sacca e versò poche gocce sulla lingua dei due, che si addormentarono all’istante. Non si sarebbero più risvegliati.

Il capitano aveva osservato tutto in silenzio.

“Stanno morendo?”Le chiese.

“Sono già morti, ma ancora non lo sanno.” Gli rispose.

Il capitano e la ragazza uscirono dalla cella mentre i passi dei torturatori si avvicinavano per riprendere i due uomini, ma li trovarono cadaveri. Con una alzata di spalle tornarono da dove erano venuti.

“E’ riuscita ad avere notizie?” Chiese il capitano.

“Non direttamente. Erano pervasi da un malvagio incantesimo. Sono riuscita a capire che la cava sommersa si trova sotto terra, un posto dove non entra mai la luce del sole, e che i bambini muoiono molto giovani, per questo penso che gliene servano tanti. Una cosa importante però l’ho scoperta: il nuovo re è a conoscenza di tutto! E’ in combutta con Kloriana. Devo entrare a palazzo reale.” Disse con convinzione.

Il capitano l’afferrò per un braccio e la costrinse a fermarsi. Le si parò davanti e con un cipiglio più severo del solito le disse: “Lei non può farlo, è troppo pericoloso, non lo permetterò!”

Lei gli sorrise. “Capitano, io farò tutto ciò che è necessario, che lei lo voglia o no.”

Uscirono dalla prigione e si scontrarono con una nebbia fitta e gelata che pareva entrare a graffi di ghiaccio nei polmoni.

“Aspetti che l’accompagno, prendo il mantello.” Le intimò.

Raggiunsero la sua abitazione e l’uomo aspettò che entrasse, poi ritornò nel suo alloggio.

In casa faceva freddo, Misha mise legna nel camino e la fiamma riprese vigore. Mangiò una zuppa calda e si sedette davanti alle fiamme che sembravano tentacoli roventi.

Era stato facile dire al capitano che voleva entrare a palazzo, il difficile era riuscirci, capire come fare, e soprattutto essere in grado di arginare Kloriana quel tanto che bastasse per avere campo libero, anche se limitato.

Sospirò mentre si alzava per prepararsi ad andare a letto.

Il gelo infittiva e i malanni crescevano, erano solo i primi giorni di dicembre e presto sarebbe nevicato, si respirava nell’aria e le scorte di legna sarebbero velocemente calate.

Kara l’accompagnava nelle sue visite e in ogni casa trovavano gentilezza e ospitalità, non tornavano mai a casa senza sacche di viveri e ciocchi di legna.

Passarono alcuni giorni senza che nulla cambiasse, la neve aveva iniziato la sua danza e il suo disegnare di bianco ogni cosa. Era uno spettacolo bellissimo, come sempre ma non era gradito, troppo freddo, troppa neve, troppi malanni.

Quella era una giornata più rigida delle precedenti. Avanzare sulla neve ghiacciata non era per niente agevole. Kara era scivolata e si era slogata una caviglia ed era tornata a casa prima del solito.

Misha avanzava nel freddo coperta da un pesante mantello e una sciarpa avvolta alla testa e al viso e, nonostante questo il suo fiato si condensava in spirali che sparivano fra i fiocchi di neve.

Si accorse di qualcosa di diverso, lo percepì il suo essere sensitiva. Si fermò e si guardò intorno, sentiva solo un respiro affannoso e nient’altro. Seguì le spire di fiato che si alzavano da dietro un cumulo di neve e spalancò gli occhi, un bambino vestito quasi di niente si era nascosto e si accorse che stava morendo assiderato.

Lo raggiunse, ma quello a stento riusciva ad aprire gli occhi. Si mise in spalla la sacca e sollevò quel corpicino che era molto leggero.

Con dolcezza gli disse che lo portava a casa sua, si sarebbe riscaldato e le avrebbe dato un piatto caldo, ma il piccolo era svenuto e non sentì le sue parole.

Aprì la porta con difficoltà e depose il piccolo davanti al camino. Si tolse il mantello e si avvicinò subito al bambino. Era ancora svenuto. Prese dell’acqua tiepida e vi immerse delle erbe, si sprigionò un vapore balsamico e usò l’acqua per detergergli il corpo. Era magro da fare spavento e aveva parecchi lividi. Era completamente calvo e quasi senza unghie. Le mani e i piedi erano le parti del corpo più ferite. Mise vari unguenti dove servivano e fasciò le mani e i piedi. Lo spogliò e bruciò i suoi abiti nel camino, lo ricoprì con un lenzuolo leggero e lo avvolse in una calda e morbida coperta.

Anche lei prese una coperta e si sedette accanto a lui, gli prese la testa e la posò sulle sue gambe. Una nenia dolce mentre gli accarezzava la testa. Si accorse di una cicatrice sulla nuca. Con delicatezza la passò col dito e poi alzò la testolina per osservarla meglio. Non si trattava di una cicatrice ma di un marchio impresso col fuoco, un corvo con le ali spiegate, almeno era quello che a lei sembrava.

Il respiro e il cuore del bambino riprendevano lentamente il loro ritmo, lo lasciò davanti al camino e preparò due scodelle di zuppa.

Il profumo del cibo svegliò completamente il piccolo che si alzò di scatto spaventato, non sapendo dove si trovava.

Misha era pronta e con una carezza lo calmò.

“Vieni, c’è da mangiare.”Gli disse soltanto.

Lui aveva paura a muoversi, saettava gli occhi da un punto all’altro della stanza.

Misha gli sorrise e gli prese la mano. Si sedettero a tavola. Ci volle un po’ prima che anche lui cominciasse a mangiare. Faticava col cucchiaio avendo le mani fasciate ma lei non lo aiutò. Continuarono in silenzio mentre la ragazza medicina cercava di ottenere la sua fiducia.

Tornarono a sedersi davanti al fuoco scoppiettante. Per un po’ nessuno dei due parlò.

Misha gli accarezzò la testa. “Come ti chiami?” il bambino sgranò gli occhi. “Hai un nome?” E lui fece segno di sì. “Me lo vuoi dire?” il bambino deglutì varie volte prima di pronunciare un timido “Tom”.

“Bene, Tom, io mi chiamo Misha. Dove sono la tua mamma e il tuo papa? Ti stanno cercando?”

Il bambino iniziò a piangere lacrime silenziose. Cercò di dire qualche parola ma non ci riusciva.

“Facciamo un gioco, io ti faccio una domanda e tu mi rispondi col pensiero, ci stai?” E lui assentì.

Misha chiuse gli occhi e prese fra le sue le manine fasciate.

“Quanti anni hai, Tom?” Non lo so.

“Tua madre e tuo padre ti stanno cercando?” Non lo so.

“Nessuno ti ha insegnato a parlare?” Nessuno.

“Da dove vieni?” Non lo so.

“Hai dei genitori?” Non lo so.

“Che cosa ti ricordi?” Che sono scappato con Orson e Laret, ma poi non li ho più visti

Misha capì perché quei due uomini erano stati torturati, avevano sottratto il piccolo alla cava sommersa e avevano preferito morire piuttosto che rivelare dove lo avevano lasciato.

“Ti fidi di me?” Il piccolo esitò. Non ti conosco, io ho paura.

“Ti capisco, ma ora sei qui con me e ti prometto che ti proteggerò da tutti.”

Il piccolo non l’abbandonava con lo sguardo, sembrava un cucciolo spaventato in attesa di ricevere un calcio in faccia. Lei gli sorrise. “Ora ti rimetti davanti al camino e dormirai tranquillo, domani mattina vedremo il da farsi.” Si sorprese quando gli rispose grazie.

Si coricò anche lei sapendo il piccolo avrebbe dormito senza svegliarsi. Ora aveva una pista, doveva sfruttarla ed era conscia che il piccolo era in pericolo, lo avrebbero cercato, questo era sicuro.

La mattina si presentò fredda e rigida come la precedente. Zoppicando Kara arrivò e si chiuse in fretta la porta alle spalle.

Misha si portò il dito alle labbra in segno di silenzio e gli indicò il bambino che dormiva davanti al camino.

La nuova arrivata spalancò gli occhi aspettando una spiegazione.

“Lui è Tom. Rimarrà con me ed ho bisogno che tu vada a procurarmi degli abiti adatti a lui, e mi raccomando anche cuffie e berretti pesanti, vai io intanto preparo la colazione per tutti.” Le disse piano.

Misha preparava scodelle, miele e pane mentre il latte si scaldava sul gradino del camino.

Passò la mano sulla testa del piccolo e lo svegliò.

“E’ quasi pronta la colazione, vieni a sederti vicino a me.”Gli disse mentre Kara rientrata con una sacca rigonfia.

Tom si spaventò e cercò di nascondersi. “Non aver paura, lei è Kara, una mia amica e anche tua.” Gli disse dolcemente.

Kara svuotò la sacca davanti al camino. “Sono indumenti dei miei figli, ormai cresciuti e sono felice di donarteli.” Disse al bambino.

Con l’esperienza di mamma Kara lo vestì e gli mise in testa un berretto colorato. “Sei molto carino, vieni che la colazione è pronta.”

Le due donne dovevano uscire, erano in ritardo sui loro programmi.

Misha pose le mani sulle spalle di Tom. “Noi dobbiamo uscire, tu devi stare qui, in silenzio, mi raccomando di non uscire o non ti ritroverò più. Ti ho lasciato cibo e acqua e della legna per il camino. Mi prometti che rimarrai qui?”

Il piccolo non avrebbe voluto rimanere solo, era ancora spaventato ma si sentiva al sicuro e fece segno di sì con la testa.

“Bravo, ci vediamo stasera, non aprire a nessuno e se senti dei rumori vai a nasconderti nel ripostiglio delle erbe.” Gli fece un’ultima carezza e uscì seguita da Kara.

La strada era una unica lastra di ghiaccio e ci voleva molta attenzione per non cadere, le due donne procedevano una davanti all’altra e non potevano parlare.

Raggiunsero le famiglie bisognose di cure e poi si fermarono a mangiare qualcosa presso una famiglia che ben conoscevano.

Entrambe pensavano a Tom, ognuna in modo diverso. Finalmente rimasero sole.

“Me ne vuoi parlare, ragazza medicina?” Chiese Kara.

“Non posso, ma ho bisogno della tua assoluta lealtà. Nessuno deve sapere che ospito quel bambino, ne va della sua e della mia vita. Ti prometto che appena potrò ti metterò al corrente di tutto.”

“Ha a che fare con quello che sei venuta a fare qui?” Fu sorpresa di sentire questa frase, Misha non se l’aspettava.

“Cosa sai di quello che sono venuta a fare? Io svolgo quello che conosco per il bene di questa gente.” Le rispose.

“Prima o poi dovrai fidarti di me, potrei anche esserti utile. Vivo qui da quando sono nata, conosco quasi tutti, i pettegolezzi e i segreti che circolano, non mi sfugge niente. Ragazza medicina io lo so che tu sei diversa.” Aggiunse. “E ricordati che è stato il capitano a scegliermi.” Si lasciò sfuggire.

“Nemmeno lui deve sapere, non ancora. Se ti ha messa a sorvegliarmi, ti prego non parlargli di Tom.” Le disse stringendole la mano con forza.

“Te lo prometto. Io so che sei una ragazza buona e generosa, quando sarai pronta mi dirai il tuo segreto.” Le disse prima di ringraziare la famiglia per il pranzo e riprendere il loro compito.

Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina di fb di Elfi, fate e mondo incantato

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