MISHA
parte ventiquattro
Prese una
boccetta dalla sua sacca e versò poche gocce sulla lingua dei due, che si
addormentarono all’istante. Non si sarebbero più risvegliati.
Il capitano
aveva osservato tutto in silenzio.
“Stanno
morendo?”Le chiese.
“Sono già
morti, ma ancora non lo sanno.” Gli rispose.
Il capitano
e la ragazza uscirono dalla cella mentre i passi dei torturatori si
avvicinavano per riprendere i due uomini, ma li trovarono cadaveri. Con una
alzata di spalle tornarono da dove erano venuti.
“E’ riuscita
ad avere notizie?” Chiese il capitano.
“Non
direttamente. Erano pervasi da un malvagio incantesimo. Sono riuscita a capire
che la cava sommersa si trova sotto terra, un posto dove non entra mai la luce
del sole, e che i bambini muoiono molto giovani, per questo penso che gliene
servano tanti. Una cosa importante però l’ho scoperta: il nuovo re è a
conoscenza di tutto! E’ in combutta con Kloriana. Devo entrare a palazzo
reale.” Disse con convinzione.
Il capitano
l’afferrò per un braccio e la costrinse a fermarsi. Le si parò davanti e con un
cipiglio più severo del solito le disse: “Lei non può farlo, è troppo
pericoloso, non lo permetterò!”
Lei gli
sorrise. “Capitano, io farò tutto ciò che è necessario, che lei lo voglia o
no.”
Uscirono
dalla prigione e si scontrarono con una nebbia fitta e gelata che pareva
entrare a graffi di ghiaccio nei polmoni.
“Aspetti che
l’accompagno, prendo il mantello.” Le intimò.
Raggiunsero
la sua abitazione e l’uomo aspettò che entrasse, poi ritornò nel suo alloggio.
In casa
faceva freddo, Misha mise legna nel camino e la fiamma riprese vigore. Mangiò
una zuppa calda e si sedette davanti alle fiamme che sembravano tentacoli
roventi.
Era stato
facile dire al capitano che voleva entrare a palazzo, il difficile era riuscirci,
capire come fare, e soprattutto essere in grado di arginare Kloriana quel tanto
che bastasse per avere campo libero, anche se limitato.
Sospirò
mentre si alzava per prepararsi ad andare a letto.
Il gelo
infittiva e i malanni crescevano, erano solo i primi giorni di dicembre e
presto sarebbe nevicato, si respirava nell’aria e le scorte di legna sarebbero
velocemente calate.
Kara
l’accompagnava nelle sue visite e in ogni casa trovavano gentilezza e
ospitalità, non tornavano mai a casa senza sacche di viveri e ciocchi di legna.
Passarono
alcuni giorni senza che nulla cambiasse, la neve aveva iniziato la sua danza e
il suo disegnare di bianco ogni cosa. Era uno spettacolo bellissimo, come
sempre ma non era gradito, troppo freddo, troppa neve, troppi malanni.
Quella era
una giornata più rigida delle precedenti. Avanzare sulla neve ghiacciata non
era per niente agevole. Kara era scivolata e si era slogata una caviglia ed era
tornata a casa prima del solito.
Misha
avanzava nel freddo coperta da un pesante mantello e una sciarpa avvolta alla
testa e al viso e, nonostante questo il suo fiato si condensava in spirali che
sparivano fra i fiocchi di neve.
Si accorse
di qualcosa di diverso, lo percepì il suo essere sensitiva. Si fermò e si
guardò intorno, sentiva solo un respiro affannoso e nient’altro. Seguì le spire
di fiato che si alzavano da dietro un cumulo di neve e spalancò gli occhi, un
bambino vestito quasi di niente si era nascosto e si accorse che stava morendo
assiderato.
Lo
raggiunse, ma quello a stento riusciva ad aprire gli occhi. Si mise in spalla
la sacca e sollevò quel corpicino che era molto leggero.
Con dolcezza
gli disse che lo portava a casa sua, si sarebbe riscaldato e le avrebbe dato un
piatto caldo, ma il piccolo era svenuto e non sentì le sue parole.
Aprì la
porta con difficoltà e depose il piccolo davanti al camino. Si tolse il
mantello e si avvicinò subito al bambino. Era ancora svenuto. Prese dell’acqua
tiepida e vi immerse delle erbe, si sprigionò un vapore balsamico e usò l’acqua
per detergergli il corpo. Era magro da fare spavento e aveva parecchi lividi.
Era completamente calvo e quasi senza unghie. Le mani e i piedi erano le parti
del corpo più ferite. Mise vari unguenti dove servivano e fasciò le mani e i
piedi. Lo spogliò e bruciò i suoi abiti nel camino, lo ricoprì con un lenzuolo
leggero e lo avvolse in una calda e morbida coperta.
Anche lei
prese una coperta e si sedette accanto a lui, gli prese la testa e la posò
sulle sue gambe. Una nenia dolce mentre gli accarezzava la testa. Si accorse di
una cicatrice sulla nuca. Con delicatezza la passò col dito e poi alzò la
testolina per osservarla meglio. Non si trattava di una cicatrice ma di un
marchio impresso col fuoco, un corvo con le ali spiegate, almeno era quello che
a lei sembrava.
Il respiro e
il cuore del bambino riprendevano lentamente il loro ritmo, lo lasciò davanti
al camino e preparò due scodelle di zuppa.
Il profumo
del cibo svegliò completamente il piccolo che si alzò di scatto spaventato, non
sapendo dove si trovava.
Misha era
pronta e con una carezza lo calmò.
“Vieni, c’è
da mangiare.”Gli disse soltanto.
Lui aveva
paura a muoversi, saettava gli occhi da un punto all’altro della stanza.
Misha gli
sorrise e gli prese la mano. Si sedettero a tavola. Ci volle un po’ prima che
anche lui cominciasse a mangiare. Faticava col cucchiaio avendo le mani
fasciate ma lei non lo aiutò. Continuarono in silenzio mentre la ragazza
medicina cercava di ottenere la sua fiducia.
Tornarono a
sedersi davanti al fuoco scoppiettante. Per un po’ nessuno dei due parlò.
Misha gli
accarezzò la testa. “Come ti chiami?” il bambino sgranò gli occhi. “Hai un
nome?” E lui fece segno di sì. “Me lo vuoi dire?” il bambino deglutì varie
volte prima di pronunciare un timido “Tom”.
“Bene, Tom,
io mi chiamo Misha. Dove sono la tua mamma e il tuo papa? Ti stanno cercando?”
Il bambino
iniziò a piangere lacrime silenziose. Cercò di dire qualche parola ma non ci
riusciva.
“Facciamo un
gioco, io ti faccio una domanda e tu mi rispondi col pensiero, ci stai?” E lui assentì.
Misha chiuse
gli occhi e prese fra le sue le manine fasciate.
“Quanti anni
hai, Tom?” Non lo so.
“Tua madre e
tuo padre ti stanno cercando?” Non lo so.
“Nessuno ti
ha insegnato a parlare?” Nessuno.
“Da dove
vieni?” Non lo so.
“Hai dei
genitori?” Non lo so.
“Che cosa ti
ricordi?” Che sono scappato con Orson e
Laret, ma poi non li ho più visti
Misha capì
perché quei due uomini erano stati torturati, avevano sottratto il piccolo alla
cava sommersa e avevano preferito morire piuttosto che rivelare dove lo avevano
lasciato.
“Ti fidi di
me?” Il piccolo esitò. Non ti conosco, io
ho paura.
“Ti capisco,
ma ora sei qui con me e ti prometto che ti proteggerò da tutti.”
Il piccolo
non l’abbandonava con lo sguardo, sembrava un cucciolo spaventato in attesa di ricevere
un calcio in faccia. Lei gli sorrise. “Ora ti rimetti davanti al camino e
dormirai tranquillo, domani mattina vedremo il da farsi.” Si sorprese quando
gli rispose grazie.
Si coricò
anche lei sapendo il piccolo avrebbe dormito senza svegliarsi. Ora aveva una
pista, doveva sfruttarla ed era conscia che il piccolo era in pericolo, lo
avrebbero cercato, questo era sicuro.
La mattina
si presentò fredda e rigida come la precedente. Zoppicando Kara arrivò e si
chiuse in fretta la porta alle spalle.
Misha si
portò il dito alle labbra in segno di silenzio e gli indicò il bambino che
dormiva davanti al camino.
La nuova
arrivata spalancò gli occhi aspettando una spiegazione.
“Lui è Tom.
Rimarrà con me ed ho bisogno che tu vada a procurarmi degli abiti adatti a lui,
e mi raccomando anche cuffie e berretti pesanti, vai io intanto preparo la
colazione per tutti.” Le disse piano.
Misha
preparava scodelle, miele e pane mentre il latte si scaldava sul gradino del
camino.
Passò la
mano sulla testa del piccolo e lo svegliò.
“E’ quasi
pronta la colazione, vieni a sederti vicino a me.”Gli disse mentre Kara
rientrata con una sacca rigonfia.
Tom si
spaventò e cercò di nascondersi. “Non aver paura, lei è Kara, una mia amica e
anche tua.” Gli disse dolcemente.
Kara svuotò
la sacca davanti al camino. “Sono indumenti dei miei figli, ormai cresciuti e
sono felice di donarteli.” Disse al bambino.
Con
l’esperienza di mamma Kara lo vestì e gli mise in testa un berretto colorato.
“Sei molto carino, vieni che la colazione è pronta.”
Le due donne
dovevano uscire, erano in ritardo sui loro programmi.
Misha pose
le mani sulle spalle di Tom. “Noi dobbiamo uscire, tu devi stare qui, in
silenzio, mi raccomando di non uscire o non ti ritroverò più. Ti ho lasciato
cibo e acqua e della legna per il camino. Mi prometti che rimarrai qui?”
Il piccolo
non avrebbe voluto rimanere solo, era ancora spaventato ma si sentiva al sicuro
e fece segno di sì con la testa.
“Bravo, ci
vediamo stasera, non aprire a nessuno e se senti dei rumori vai a nasconderti
nel ripostiglio delle erbe.” Gli fece un’ultima carezza e uscì seguita da Kara.
La strada
era una unica lastra di ghiaccio e ci voleva molta attenzione per non cadere,
le due donne procedevano una davanti all’altra e non potevano parlare.
Raggiunsero
le famiglie bisognose di cure e poi si fermarono a mangiare qualcosa presso una
famiglia che ben conoscevano.
Entrambe
pensavano a Tom, ognuna in modo diverso. Finalmente rimasero sole.
“Me ne vuoi
parlare, ragazza medicina?” Chiese Kara.
“Non posso,
ma ho bisogno della tua assoluta lealtà. Nessuno deve sapere che ospito quel
bambino, ne va della sua e della mia vita. Ti prometto che appena potrò ti
metterò al corrente di tutto.”
“Ha a che
fare con quello che sei venuta a fare qui?” Fu sorpresa di sentire questa
frase, Misha non se l’aspettava.
“Cosa sai di
quello che sono venuta a fare? Io svolgo quello che conosco per il bene di
questa gente.” Le rispose.
“Prima o poi
dovrai fidarti di me, potrei anche esserti utile. Vivo qui da quando sono nata,
conosco quasi tutti, i pettegolezzi e i segreti che circolano, non mi sfugge
niente. Ragazza medicina io lo so che tu sei diversa.” Aggiunse. “E ricordati
che è stato il capitano a scegliermi.” Si lasciò sfuggire.
“Nemmeno lui
deve sapere, non ancora. Se ti ha messa a sorvegliarmi, ti prego non parlargli
di Tom.” Le disse stringendole la mano con forza.
“Te lo
prometto. Io so che sei una ragazza buona e generosa, quando sarai pronta mi
dirai il tuo segreto.” Le disse prima di ringraziare la famiglia per il pranzo
e riprendere il loro compito.
Romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina di fb di Elfi, fate e mondo incantato
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