MISHA
parte diciotto
L’autunno
aveva già accorciato le giornate, presto anche i lavori di tutti i residenti
sarebbero diminuiti, ma non ancora. Infatti il sole non era ancora sorto e
fuori si sentivano i rumori che presto Misha avrebbe imparato a riconoscere. Si
svegliò e si sentì a casa, era il suo primo giorno ma già amava il suo piccolo
nido. Sentì bussare e Kara entrò con uova fresche, pane ancora caldo e frutta.
Si mise al fuoco e preparò la colazione mentre Misha si rivestiva.
Kara era in
piedi e aspettava di ricevere ordini. La ragazza medicina le chiese se conosceva
qualcuno che avesse bisogno di cure, doveva pur iniziare da qualche parte.
Bussò alla porta della sua guardia del corpo e, munita di una capiente sacca
seguì Kara in quel posto sconosciuto, grande come una città che lei non aveva
mai visitato e colmo di vita, di grida, di bambini giocosi e di donne dagli
occhi tristi. Niente le sfuggiva di quello che vedeva e che, soprattutto
percepiva.
Se non ci
fosse stata Kara lei non si sarebbe mai potuta districare in quei piccoli
vicoli, minuscole piazzette, in mezzo a carri colmi di ogni cosa e di umanità
di ogni tipo. Non aveva mai immaginato che oltre le mura ci fosse così tanta
vita, anche molti soldati e tante sentinelle come se ci si aspettasse l’attacco
da parte di qualche nemico. Continuarono a camminare in silenzio, molti sguardi
furtivi li seguivano non capendo chi fosse quella giovane donna.
Kara
raggiunse una parte molto estrema e il contesto era molto diverso da quello che
aveva visto fino a lì. Le case erano semplici capanne di paglia e terra, nessun
pozzo e un odore di malattia e morte impregnava l’aria, era talmente forte che
si dovettero riparare la bocca e il naso con la sciarpa.
Misha si accostò
a Kara. “Dove siamo? Che posto è questo?” Le chiese.
“Questo è
chiamato il giardino della morte, non
si faccia ingannare dal nome, questo non è altro che un lurido pezzo di terra
che il principe ha lasciato a disposizione della gente che non ha altro posto
in cui andare a morire.” Le rispose tenendo gli occhi bassi.
Da una
costruzione più ampia uscivano lamenti e urla. Si preparò e, preceduta da Kara e
da Helmut entrò.
C’erano
uomini, donne e anche bambini sdraiati sul nudo terreno. I più fortunati avevano
una specie di lenzuolo sotto la schiena. Alcuni erano lì da soli e si
lamentavano, altri dormivano o erano già in partenza per l’altra vita, non
erano assistiti da nessuno se non, quelli più fortunati da qualche parente,
soprattutto i bambini avevano un genitore al fianco.
Misha
raggiunse il centro di quella costruzione e si fermò. I suoi sensi percepivano
ogni cosa, ogni sentimento, ogni dolore di quelle povere creature. Tutte
sarebbero morte entro poco tempo per lasciare il posto ad altre che a loro volta
avrebbero fatto lo stesso.
Con molta
tristezza nel cuore uscì con i suoi compagni.
“Perché mi
hai portata qui?” Chiese alla donna.
“Ha detto
che vuole aiutare chi sta male, e questo è il posto dove la gente sta male.” Le
rispose.
Misha fece
un sospiro e puntò i suoi occhi blu in quelli della donna. “Il mio compito non
è assistere chi sta morendo, il mio compito e fare in modo che nessuno arrivi
qui, perciò portami da chi posso curare.” Disse con una certa tristezza.
Poi si
rivolse alla guardia. “Fa in modo che questa gente non debba soffrire più del
dovuto, poi fai bruciare ogni cosa, e se serve anche la struttura. Trovami un
posto pulito dove posso fare il mio lavoro. Più persone riesco a curare più il
principe ne sarà contento.” Gli comandò.
Kara
l’accompagnò in varie famiglie che conosceva, la presentò e, dove serviva curò
alcuni malanni e aiutò alcune donne gravide. Comunicò a tutti dove la potevano
trovare, in attesa di avere una struttura idonea per esercitare la sua
professione.
Quelle non erano
persone che si fidavano tanto facilmente, ma la necessità e la paura di finire
nel giardino della morte diede la
spinta iniziale.
Settembre e
ottobre erano passati in un soffio. Ora Misha aveva un gran da fare e Kara era
diventata molto brava nell’aiutarla. La ragazza medicina ogni sera era stanca
ma felice, la gente di quel posto non arrivava mai a mani vuote e a lei non
mancava mai il necessario che divideva con Kara.
Novembre era
arrivato con una cappa di nebbia gelida ed erano molte le persone che avevano
bisogno di cure. I medicamenti cominciavano a scarseggiare ma doveva farseli
bastare ancora per qualche mese.
In quel
periodo non aveva pensato molto ai due principi, aveva altro da fare e aveva
bisogno di ottenere la fiducia delle persone, non poteva correre il rischio di
spaventarli con domande che potevano essere pericolose.
Aveva
lasciato in libertà la sua guardia del corpo mentre Kara l’aiutava con passione
e stava diventando davvero brava.
Era sera e,
come sempre era sola quando sentì bussare.
Andò ad
aprire e si trovò davanti il capitano.
“Buona sera
Kurt, entri che fa molto freddo.” Lo invitò.
L’Uomo si
mise di fronte al fuoco. “Domani deve venire alla prigione, c’è bisogno di
lei.” Disse soltanto.
“Il principe
sta male?” Chiese con una certa apprensione.
“Là dentro
le cose vanno come al solito, c’è bisogno di lei. L’aspetto davanti al portone,
venga sola.” La salutò e uscì nella nebbia della sera.
Mangiò
qualcosa e si coricò. Ormai era diventata la sua routine: sveglia, colazione
con Kara e visite per curare chi ne aveva bisogno. Ancora non aveva ottenuto un
posto dove ricevere i malati senza andare da loro, il principe non sembrava
molto interessato a mantenere le promesse che le aveva fatto.
Aveva
evitato di proposito di pensare al principe rinchiuso e quella che era stata la
sua vita precedente, non voleva interferenze che le togliessero la
concentrazione ma, quella sera, dopo la visita del capitano non ci riuscì.
Era nel suo
caldo letto, le fiamme del camino che si andavano lentamente spegnendo davano
un bel colore e calore alla piccola abitazione. Misha chiuse gli occhi e cercò
di volare oltre le sbarre che
tenevano prigioniero il vero principe. Percepì il suo respiro tranquillo, ma
nient’altro, anche stavolta non riusciva ad andare oltre e non se ne
capacitava. All’indomani era certa che lo avrebbe rivisto e, con questo
pensiero si addormentò.
Il sole era
spuntato da poco e non era riuscito a dissolvere nemmeno una goccia densa di
nebbia. Le poche persone che Misha aveva incontrato mentre si recava alla
prigione non avevano nemmeno alzato lo sguardo. Arrivò davanti al portone e le
guardie la fecero entrare. Si rese conto che la magia che aveva fatto alle
fiamme dei bracieri ancora funzionava e sorrise dentro di sé.
Il capitano
arrivò e col suo solito tono burbero le chiese di seguirlo.
Anche lei si
rese conto che niente era cambiato in quel posto. Detenuti vestiti di stracci,
rifiuti e sporco ovunque.
Il capitano
la precedeva e raggiunsero le celle femminili.
Diversamente
dal solito non c’erano molte detenute ed erano rincantucciate nell’angolo più
remoto della cella. Passando davanti alle sbarre di quelle disgraziate si
chiese cosa le facesse tremare così di paura.
Il respiro
del capitano si faceva sempre più affannoso. Stavano per girare l’angolo che
portava all’ultima cella quando l’uomo si fermò di botto e Misha gli sbatté
contro.
Imbarazzato
alzò lo sguardo e fissò i suoi occhi in quelli blu e limpidi della ragazza. “Mi
ascolti, io …”
“Cosa stai
aspettando, capitano? Io non ho tempo da perdere!” Si levò una voce femminile.
L’uomo si
fece da parte e indicò con una mano a Misha di proseguire, lui non poteva
andare oltre.
La ragazza
percepiva qualcosa di inquietante. Era come se un soffio gelido la penetrasse e
volesse scoprire tutto di lei. Cercò di concentrarsi e si fece scudo con uno
dei più potenti incantesimi che Moliniana le aveva insegnato e, lentamente
riuscì a riprendere un respiro quasi normale.
Fece alcuni
passi nel corridoio rischiarato da poche torce e si diresse verso quella forza
sconosciuta che la stava praticamente trascinando.
Raggiunse
l’ultima cella che i suoi occhi si erano adattati alla penombra. Una donna
alta, magra, tutta vestita di nero era davanti alla sola finestra sbarrata
della cella. Un velo le copriva i capelli e le mani erano guantate, soltanto
l’ovale del viso era libero. Un viso aguzzo dal mento prominente e grandi occhi
di rapace, le labbra erano quasi inesistenti e il naso piccolo e affilato. A
Misha bastò uno sguardo per cogliere tutti questi particolari.
“Entra,
ragazzina, non ho tanta pazienza!” Le disse con la sua voce quasi sensuale.
Romanzo di Milena Ziletti- diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina fb di Elfi, fate e mondo incantato
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