giovedì 14 gennaio 2021

MISHA

 MISHA

parte diciotto



L’autunno aveva già accorciato le giornate, presto anche i lavori di tutti i residenti sarebbero diminuiti, ma non ancora. Infatti il sole non era ancora sorto e fuori si sentivano i rumori che presto Misha avrebbe imparato a riconoscere. Si svegliò e si sentì a casa, era il suo primo giorno ma già amava il suo piccolo nido. Sentì bussare e Kara entrò con uova fresche, pane ancora caldo e frutta. Si mise al fuoco e preparò la colazione mentre Misha si rivestiva.

Kara era in piedi e aspettava di ricevere ordini. La ragazza medicina le chiese se conosceva qualcuno che avesse bisogno di cure, doveva pur iniziare da qualche parte. Bussò alla porta della sua guardia del corpo e, munita di una capiente sacca seguì Kara in quel posto sconosciuto, grande come una città che lei non aveva mai visitato e colmo di vita, di grida, di bambini giocosi e di donne dagli occhi tristi. Niente le sfuggiva di quello che vedeva e che, soprattutto percepiva.

Se non ci fosse stata Kara lei non si sarebbe mai potuta districare in quei piccoli vicoli, minuscole piazzette, in mezzo a carri colmi di ogni cosa e di umanità di ogni tipo. Non aveva mai immaginato che oltre le mura ci fosse così tanta vita, anche molti soldati e tante sentinelle come se ci si aspettasse l’attacco da parte di qualche nemico. Continuarono a camminare in silenzio, molti sguardi furtivi li seguivano non capendo chi fosse quella giovane donna.

Kara raggiunse una parte molto estrema e il contesto era molto diverso da quello che aveva visto fino a lì. Le case erano semplici capanne di paglia e terra, nessun pozzo e un odore di malattia e morte impregnava l’aria, era talmente forte che si dovettero riparare la bocca e il naso con la sciarpa.

Misha si accostò a Kara. “Dove siamo? Che posto è questo?” Le chiese.

“Questo è chiamato il giardino della morte, non si faccia ingannare dal nome, questo non è altro che un lurido pezzo di terra che il principe ha lasciato a disposizione della gente che non ha altro posto in cui andare a morire.” Le rispose tenendo gli occhi bassi.

Da una costruzione più ampia uscivano lamenti e urla. Si preparò e, preceduta da Kara e da Helmut entrò.

C’erano uomini, donne e anche bambini sdraiati sul nudo terreno. I più fortunati avevano una specie di lenzuolo sotto la schiena. Alcuni erano lì da soli e si lamentavano, altri dormivano o erano già in partenza per l’altra vita, non erano assistiti da nessuno se non, quelli più fortunati da qualche parente, soprattutto i bambini avevano un genitore al fianco.

Misha raggiunse il centro di quella costruzione e si fermò. I suoi sensi percepivano ogni cosa, ogni sentimento, ogni dolore di quelle povere creature. Tutte sarebbero morte entro poco tempo per lasciare il posto ad altre che a loro volta avrebbero fatto lo stesso.

Con molta tristezza nel cuore uscì con i suoi compagni.

“Perché mi hai portata qui?” Chiese alla donna.

“Ha detto che vuole aiutare chi sta male, e questo è il posto dove la gente sta male.” Le rispose.

Misha fece un sospiro e puntò i suoi occhi blu in quelli della donna. “Il mio compito non è assistere chi sta morendo, il mio compito e fare in modo che nessuno arrivi qui, perciò portami da chi posso curare.” Disse con una certa tristezza.

Poi si rivolse alla guardia. “Fa in modo che questa gente non debba soffrire più del dovuto, poi fai bruciare ogni cosa, e se serve anche la struttura. Trovami un posto pulito dove posso fare il mio lavoro. Più persone riesco a curare più il principe ne sarà contento.” Gli comandò.

Kara l’accompagnò in varie famiglie che conosceva, la presentò e, dove serviva curò alcuni malanni e aiutò alcune donne gravide. Comunicò a tutti dove la potevano trovare, in attesa di avere una struttura idonea per esercitare la sua professione.

Quelle non erano persone che si fidavano tanto facilmente, ma la necessità e la paura di finire nel giardino della morte diede la spinta iniziale.

Settembre e ottobre erano passati in un soffio. Ora Misha aveva un gran da fare e Kara era diventata molto brava nell’aiutarla. La ragazza medicina ogni sera era stanca ma felice, la gente di quel posto non arrivava mai a mani vuote e a lei non mancava mai il necessario che divideva con Kara.

Novembre era arrivato con una cappa di nebbia gelida ed erano molte le persone che avevano bisogno di cure. I medicamenti cominciavano a scarseggiare ma doveva farseli bastare ancora per qualche mese.

In quel periodo non aveva pensato molto ai due principi, aveva altro da fare e aveva bisogno di ottenere la fiducia delle persone, non poteva correre il rischio di spaventarli con domande che potevano essere pericolose.

Aveva lasciato in libertà la sua guardia del corpo mentre Kara l’aiutava con passione e stava diventando davvero brava.

Era sera e, come sempre era sola quando sentì bussare.

Andò ad aprire e si trovò davanti il capitano.

“Buona sera Kurt, entri che fa molto freddo.” Lo invitò.

L’Uomo si mise di fronte al fuoco. “Domani deve venire alla prigione, c’è bisogno di lei.” Disse soltanto.

“Il principe sta male?” Chiese con una certa apprensione.

“Là dentro le cose vanno come al solito, c’è bisogno di lei. L’aspetto davanti al portone, venga sola.” La salutò e uscì nella nebbia della sera.

Mangiò qualcosa e si coricò. Ormai era diventata la sua routine: sveglia, colazione con Kara e visite per curare chi ne aveva bisogno. Ancora non aveva ottenuto un posto dove ricevere i malati senza andare da loro, il principe non sembrava molto interessato a mantenere le promesse che le aveva fatto.

Aveva evitato di proposito di pensare al principe rinchiuso e quella che era stata la sua vita precedente, non voleva interferenze che le togliessero la concentrazione ma, quella sera, dopo la visita del capitano non ci riuscì.

Era nel suo caldo letto, le fiamme del camino che si andavano lentamente spegnendo davano un bel colore e calore alla piccola abitazione. Misha chiuse gli occhi e cercò di volare oltre le sbarre che tenevano prigioniero il vero principe. Percepì il suo respiro tranquillo, ma nient’altro, anche stavolta non riusciva ad andare oltre e non se ne capacitava. All’indomani era certa che lo avrebbe rivisto e, con questo pensiero si addormentò.

Il sole era spuntato da poco e non era riuscito a dissolvere nemmeno una goccia densa di nebbia. Le poche persone che Misha aveva incontrato mentre si recava alla prigione non avevano nemmeno alzato lo sguardo. Arrivò davanti al portone e le guardie la fecero entrare. Si rese conto che la magia che aveva fatto alle fiamme dei bracieri ancora funzionava e sorrise dentro di sé.

Il capitano arrivò e col suo solito tono burbero le chiese di seguirlo.

Anche lei si rese conto che niente era cambiato in quel posto. Detenuti vestiti di stracci, rifiuti e sporco ovunque.

Il capitano la precedeva e raggiunsero le celle femminili.

Diversamente dal solito non c’erano molte detenute ed erano rincantucciate nell’angolo più remoto della cella. Passando davanti alle sbarre di quelle disgraziate si chiese cosa le facesse tremare così di paura.

Il respiro del capitano si faceva sempre più affannoso. Stavano per girare l’angolo che portava all’ultima cella quando l’uomo si fermò di botto e Misha gli sbatté contro.

Imbarazzato alzò lo sguardo e fissò i suoi occhi in quelli blu e limpidi della ragazza. “Mi ascolti, io …”

“Cosa stai aspettando, capitano? Io non ho tempo da perdere!” Si levò una voce femminile.

L’uomo si fece da parte e indicò con una mano a Misha di proseguire, lui non poteva andare oltre.

La ragazza percepiva qualcosa di inquietante. Era come se un soffio gelido la penetrasse e volesse scoprire tutto di lei. Cercò di concentrarsi e si fece scudo con uno dei più potenti incantesimi che Moliniana le aveva insegnato e, lentamente riuscì a riprendere un respiro quasi normale.

Fece alcuni passi nel corridoio rischiarato da poche torce e si diresse verso quella forza sconosciuta che la stava praticamente trascinando.

Raggiunse l’ultima cella che i suoi occhi si erano adattati alla penombra. Una donna alta, magra, tutta vestita di nero era davanti alla sola finestra sbarrata della cella. Un velo le copriva i capelli e le mani erano guantate, soltanto l’ovale del viso era libero. Un viso aguzzo dal mento prominente e grandi occhi di rapace, le labbra erano quasi inesistenti e il naso piccolo e affilato. A Misha bastò uno sguardo per cogliere tutti questi particolari.

“Entra, ragazzina, non ho tanta pazienza!” Le disse con la sua voce quasi sensuale.

Romanzo di Milena Ziletti- diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina fb di Elfi, fate e mondo incantato

Nessun commento:

Posta un commento