MISHA
parte sedici
Raggiunsero
Muriel e insieme furono accompagnate fuori dalla prigione. La sera si stava
illuminando di piccole stelle mentre il carro le riportava a casa.
Si
spogliarono, si lavarono e, come ogni volta si addormentarono senza nemmeno
cenare.
Il caldo
cominciava a farsi sentire, i boschi erano colmi di erbe e bacche che dovevano
essere raccolte e le due guaritrici facevano buona scorta di tutto quello che
serviva.
“Dovrò
portarne un po’ con me quando andrò dentro le mura del castello.” Disse Misha.
“Lo so, mia
cara, prepareremo tutto il possibile, avrai molto da fare, e ci rivedremo
quando verrò alla prigione, almeno lo spero.” Le rispose cercando di non far
notare la sua tristezza.
Giugno era
trascorso senza che nulla di diverso succedesse. Il lavoro che quella brava
gente svolgeva era davvero faticoso e loro due curavano varie ferite, e le
donne che, nonostante lo stato avanzato di gravidanza non si risparmiavano.
Nel suo
giaciglio, ogni notte Misha pensava al principe. Si faceva molte domande,
quello che aveva visto nella sua
mente l’aveva rassicurata, ma c’era una cosa che la preoccupava: i bambini, dov’erano?
Cosa succedeva loro? Cosa ne sapeva il principe? Avrebbe voluto chiederglielo
ma non c’era più stata nessuna opportunità. Inoltre era davvero strano che non
fossero più state chiamate alla prigione.
Nei suoi
sogni volava nella cella, osservava
il viso disteso del principe, era impossibile anche solo immaginare che gli
orribili rapimenti dei bambini fossero a sua conoscenza, ma era anche
impossibile non capire che niente, dentro il palazzo reale succedesse senza che
i reali non ne fossero a conoscenza.
Aspettava
con ansia il giorno della sua partenza, aveva compiti ben difficili da portare
a termine: riportare sul trono il principe ereditario e scoprire cosa succedeva
e dove sparivano i bambini.
Ogni sera si
addormentava con queste domande nella mente.
Era iniziato
luglio e il caldo era insopportabile. Anche lei e Muriel andavano nei campi con
brocche di acqua per dissetare chi lavorava sotto il sole cocente. Una donna
prossima al parto era seduta a riposare sotto un albero, cercando di respirare
all’ombra e alla lieve brezza che le foglie cullavano.
Misha la
raggiunse. “Cosa fa qui, doveva restare a casa, il suo bambino nascerà presto e
lei non avrà le forze per farlo nascere!” Le disse.
La donna le
prese la mano e se la appoggiò al ventre gonfio. “lo senti, ragazza medicina?
Senti il mio bambino? Io lo ascolto e lo amo fin dal suo concepimento e non
vedo l’ora di stringerlo fra le mie braccia. E’ il nostro primo figlio e me lo
porteranno via la prossima estate. Non so se è meglio averlo con noi per un
solo anno o nemmeno per un momento. Perché ci fanno questo?” Rispose piangendo
a dirotto. “Una madre e un padre hanno diritto a crescere i propri figli, a vederli
diventare grandi, insegnare loro l’amore e il rispetto, e questo a me non sarà
concesso. Potrò avere altri figli e forse me li lasceranno, ma questo? Questo è
il mio primogenito e mi sarà strappato come fosse un agnello che va al macello.
Non saprò mai più cosa gli sarà successo. Non è umano tutto questo. Io voglio
poter amare mio figlio!” Disse mentre continuava a piangere.
Misha lasciò
che si sfogasse. Le stringeva la mano e sentiva tutto il dolore che quella
madre provava, le toccava anche il suo cuore e avrebbe voluto dirle che non
sarebbe successo, ma non poteva promettere qualcosa che non sapeva di poter
mantenere.
“Dimmi, tu
sai perché tolgono i bambini, dove li portano, e cosa ne fanno? Possibile che
nessuno ne sappia niente?” Le chiese dolcemente.
La donna
scuoteva la testa. “Io, come molte, ho sentito solo voci, ma nessuno conosce la
verità. Qualcuno sospetta che vengano cresciuti per diventare soldati, altri
per sfruttarli nel lavoro, altri per sacrifici umani …” E riprese a piangere
senza ritegno.
“Da quanto
va avanti tutto questo?” Le chiese ancora.
“Non lo so,
per quel che ne so è sempre stato così!” Le rispose fra i singhiozzi.
“Pensi che
l’ordine venga dal re in persona?” Si azzardò a chiedere.
La donna le
sgranò gli occhi in faccia. “E se non da lui, da chi? Non è forse lui il re?”
Misha rimase
pensierosa. Da tempo le frullava nella mente che l’origine di quella situazione
fosse del re, ma come poteva pensare che il principe ereditario potesse portare
avanti una simile barbarie? Lo aveva esplorato nella mente e nei sentimenti e
non ci aveva visto niente di simile. Poteva essere che il tutto gli sarebbe
stato trasmesso una volta che fosse diventato re, ma non riusciva a capacitarsi
di una simile cattiveria da parte sua.
“Ora pensa
solo a far nascere il tuo bambino, a farlo crescere al tuo seno, ad amarlo e
poi, chissà che non succeda qualcosa. Non piangere, lo sai che lui sente e
diventa triste.” Le disse asciugandole le lacrime.
“Ci vorrebbe
un miracolo, solo un miracolo.” Sospirò la donna.
Erano giorni
torridi, faticosi e nessuno si risparmiava. Era metà luglio e le due guaritrici
avevano preparato la loro sacca, il giorno seguente sarebbero andate alla
prigione.
In quei
giorni si erano parlate poco, anche loro stanche, e soprattutto pensierose.
Muriel vedeva la tristezza e la preoccupazione della ragazza, ma lei non ne
parlava, così la lasciava ai suoi pensieri.
Il carro
arrivò alla prigione molto presto, ma il caldo era già insopportabile. Il sole
era spuntato da poco ma quasi non si respirava.
Il capitano
le fece entrare velocemente, nonostante il solito tanfo il posto era più fresco
e, almeno quello portava refrigerio ai prigionieri.
Erano
passati più di quaranta giorni da quando erano state lì. Era strano quello che
vedevano: molte celle vuote, pochi prigionieri che se ne stavano rintanati sui
loro sporchi giacigli. Li oltrepassarono tutti e raggiunsero la zona femminile.
Anche qui poche donne e tutte stranamente calme e silenziose.
Le due
guaritrici si guardarono senza capire cosa fosse successo.
Il capitano
non aveva ancora detto una parola e le condusse alla zona dei prigionieri più
pericolosi.
Si accorsero
subito che non erano gli stessi della volta precedente. Così come si accorsero
che dovevano essere incatenati alla parete già da alcune settimane. Si
respirava aria di morte e le due donne scossero la testa.
“Portaci
fuori da qui, capitano.” Disse piano Muriel.
L’uomo le
condusse in una zona libera. C’era un silenzio innaturale.
“Cosa
succede, capitano? Perché ci ha chiamato se non c’è nessuno da curare?” Si
azzardò a chiedere Muriel.
“Abbiamo
solo eseguito gli ordini del principe. Voleva le celle vuote e la camera delle
torture ha lavorato a pieno ritmo, così come i becchini. Non so altro.”Rispose,
ma si vedeva che non era contento.
“Le rifaccio
la domanda, capitano, che ci facciamo qui?” Chiese di nuovo Muriel.
Lo sguardo
sfuggente dell’uomo si posò per un istante su Misha.
“Sono
pronta, capitano, vengo con lei, mentre Muriel si occupa delle donne.” Disse la
giovane.
Le due
guaritrici si scambiarono uno sguardo rassicurante e ognuna prese un corridoio
diverso.
Il capitano
e Misha raggiunsero la cella del principe ereditario. L’uomo, a differenza
dell’ultima volta non era in piedi, ma coricato e il suo respiro era affannoso.
“Apra la
cella, capitano.” Gli chiese perentoria.
“La mia vita
è in pericolo come la sua se qualcuno ci scopre. Ho fatto allontanare tutte le
mie guardie, ma non posso essere sicuro che rimangano lontane a lungo. Salvi il
principe, è la nostra unica speranza.” Gli disse con tono stanco.
Misha
raggiunse il giaciglio del principe, lo toccò lievemente su una spalla per
farlo voltare e vedere cosa fosse successo. Un lamento uscì dalle labbra rotte
del principe. Con molta delicatezza lo rigirò e vide i suoi abiti inzuppati di sangue,
aveva il viso tumefatto e un occhio quasi chiuso.
Con
destrezza, prese un pezzo di stoffa dalla borsa e lo bagnò di un liquido scuro.
“Le farò male, principe, ma è necessario.” Con la massima delicatezza gli
deterse il viso, poi aiutata dal capitano
gli tolse i vestiti e passò su tutto il corpo il liquido disinfettante.
Usò tutto l’unguento che si era portata per curare le ferite aperte e dovette
usare ago e filo per cucirne alcune. Lavorò aiutata dal capitano senza dire una
parola, tutta concentrata sul suo lavoro. Ci impiegò due ore, si fece dare un
lenzuolo pulito e lo coprì senza rivestirlo.
“Le lascio
questi medicamenti, li usi su tutto il corpo, cinque gocce di questo ogni
dodici ore e lo lasci dormire. Ora è meglio se lo lasciamo riposare, ha perso
molto sangue, cerchi di farlo bere e, da domani anche mangiare, che lui lo
voglia o no, me lo deve promettere!” Gli ordinò.
Il capitano
assentì senza dire una parola, aveva il volto sconvolto. Controllò che il
lenzuolo lo coprisse e uscirono dalla cella, allontanandosi in fretta.
Raggiunsero
un punto cieco del corridoio e Misha si fermò. Spalancò i suoi immensi occhi
blu sul volto del capitano. “Cosa è successo?” Gli chiese insinuandosi nella
sua mente per essere sicura che non le mentisse.
“So solo quello
che mi hanno raccontato, io non c’ero e non so nemmeno se sia la verità. Suo
fratello è venuto a trovarlo e nessuno sa cosa si siano detti, quello che tutti
sanno è che il principe usurpatore è uscito furibondo dalla cella e ha dato
ordine di vuotare le celle e portare suo fratello nella sala delle torture.” Il
capitano fece una pausa, teneva gli occhi bassi e la ragazza capiva quanto
soffrisse. “Dicono che lo abbia torturato lui stesso mentre due guardie che
prima erano della scorta del principe ereditario stavano a guardare. Non so
cosa volesse dal principe ereditario, solo lui e le due guardie lo sanno, ma
quando è uscito ha dato gli ordini e ha chiesto di farvi venire e … non vuole
che vi lasci andare via.” Finì con immenso dispiacere.
Romanzo di Milena Ziletti, diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina fb di elfi, fate e mondo incantato
Nessun commento:
Posta un commento