martedì 12 gennaio 2021

MISHA

MISHA

parte sedici



Raggiunsero Muriel e insieme furono accompagnate fuori dalla prigione. La sera si stava illuminando di piccole stelle mentre il carro le riportava a casa.

Si spogliarono, si lavarono e, come ogni volta si addormentarono senza nemmeno cenare.

Il caldo cominciava a farsi sentire, i boschi erano colmi di erbe e bacche che dovevano essere raccolte e le due guaritrici facevano buona scorta di tutto quello che serviva.

“Dovrò portarne un po’ con me quando andrò dentro le mura del castello.” Disse Misha.

“Lo so, mia cara, prepareremo tutto il possibile, avrai molto da fare, e ci rivedremo quando verrò alla prigione, almeno lo spero.” Le rispose cercando di non far notare la sua tristezza.

Giugno era trascorso senza che nulla di diverso succedesse. Il lavoro che quella brava gente svolgeva era davvero faticoso e loro due curavano varie ferite, e le donne che, nonostante lo stato avanzato di gravidanza non si risparmiavano.

Nel suo giaciglio, ogni notte Misha pensava al principe. Si faceva molte domande, quello che aveva visto nella sua mente l’aveva rassicurata, ma c’era una cosa che la preoccupava: i bambini, dov’erano? Cosa succedeva loro? Cosa ne sapeva il principe? Avrebbe voluto chiederglielo ma non c’era più stata nessuna opportunità. Inoltre era davvero strano che non fossero più state chiamate alla prigione.

Nei suoi sogni volava nella cella, osservava il viso disteso del principe, era impossibile anche solo immaginare che gli orribili rapimenti dei bambini fossero a sua conoscenza, ma era anche impossibile non capire che niente, dentro il palazzo reale succedesse senza che i reali non ne fossero a conoscenza.

Aspettava con ansia il giorno della sua partenza, aveva compiti ben difficili da portare a termine: riportare sul trono il principe ereditario e scoprire cosa succedeva e dove sparivano i bambini.

Ogni sera si addormentava con queste domande nella mente.

Era iniziato luglio e il caldo era insopportabile. Anche lei e Muriel andavano nei campi con brocche di acqua per dissetare chi lavorava sotto il sole cocente. Una donna prossima al parto era seduta a riposare sotto un albero, cercando di respirare all’ombra e alla lieve brezza che le foglie cullavano.

Misha la raggiunse. “Cosa fa qui, doveva restare a casa, il suo bambino nascerà presto e lei non avrà le forze per farlo nascere!” Le disse.

La donna le prese la mano e se la appoggiò al ventre gonfio. “lo senti, ragazza medicina? Senti il mio bambino? Io lo ascolto e lo amo fin dal suo concepimento e non vedo l’ora di stringerlo fra le mie braccia. E’ il nostro primo figlio e me lo porteranno via la prossima estate. Non so se è meglio averlo con noi per un solo anno o nemmeno per un momento. Perché ci fanno questo?” Rispose piangendo a dirotto. “Una madre e un padre hanno diritto a crescere i propri figli, a vederli diventare grandi, insegnare loro l’amore e il rispetto, e questo a me non sarà concesso. Potrò avere altri figli e forse me li lasceranno, ma questo? Questo è il mio primogenito e mi sarà strappato come fosse un agnello che va al macello. Non saprò mai più cosa gli sarà successo. Non è umano tutto questo. Io voglio poter amare mio figlio!” Disse mentre continuava a piangere.

Misha lasciò che si sfogasse. Le stringeva la mano e sentiva tutto il dolore che quella madre provava, le toccava anche il suo cuore e avrebbe voluto dirle che non sarebbe successo, ma non poteva promettere qualcosa che non sapeva di poter mantenere.

“Dimmi, tu sai perché tolgono i bambini, dove li portano, e cosa ne fanno? Possibile che nessuno ne sappia niente?” Le chiese dolcemente.

La donna scuoteva la testa. “Io, come molte, ho sentito solo voci, ma nessuno conosce la verità. Qualcuno sospetta che vengano cresciuti per diventare soldati, altri per sfruttarli nel lavoro, altri per sacrifici umani …” E riprese a piangere senza ritegno.

“Da quanto va avanti tutto questo?” Le chiese ancora.

“Non lo so, per quel che ne so è sempre stato così!” Le rispose fra i singhiozzi.

“Pensi che l’ordine venga dal re in persona?” Si azzardò a chiedere.

La donna le sgranò gli occhi in faccia. “E se non da lui, da chi? Non è forse lui il re?”

Misha rimase pensierosa. Da tempo le frullava nella mente che l’origine di quella situazione fosse del re, ma come poteva pensare che il principe ereditario potesse portare avanti una simile barbarie? Lo aveva esplorato nella mente e nei sentimenti e non ci aveva visto niente di simile. Poteva essere che il tutto gli sarebbe stato trasmesso una volta che fosse diventato re, ma non riusciva a capacitarsi di una simile cattiveria da parte sua.

“Ora pensa solo a far nascere il tuo bambino, a farlo crescere al tuo seno, ad amarlo e poi, chissà che non succeda qualcosa. Non piangere, lo sai che lui sente e diventa triste.” Le disse asciugandole le lacrime.

“Ci vorrebbe un miracolo, solo un miracolo.” Sospirò la donna.

Erano giorni torridi, faticosi e nessuno si risparmiava. Era metà luglio e le due guaritrici avevano preparato la loro sacca, il giorno seguente sarebbero andate alla prigione.

In quei giorni si erano parlate poco, anche loro stanche, e soprattutto pensierose. Muriel vedeva la tristezza e la preoccupazione della ragazza, ma lei non ne parlava, così la lasciava ai suoi pensieri.

Il carro arrivò alla prigione molto presto, ma il caldo era già insopportabile. Il sole era spuntato da poco ma quasi non si respirava.

Il capitano le fece entrare velocemente, nonostante il solito tanfo il posto era più fresco e, almeno quello portava refrigerio ai prigionieri.

Erano passati più di quaranta giorni da quando erano state lì. Era strano quello che vedevano: molte celle vuote, pochi prigionieri che se ne stavano rintanati sui loro sporchi giacigli. Li oltrepassarono tutti e raggiunsero la zona femminile. Anche qui poche donne e tutte stranamente calme e silenziose.

Le due guaritrici si guardarono senza capire cosa fosse successo.

Il capitano non aveva ancora detto una parola e le condusse alla zona dei prigionieri più pericolosi.

Si accorsero subito che non erano gli stessi della volta precedente. Così come si accorsero che dovevano essere incatenati alla parete già da alcune settimane. Si respirava aria di morte e le due donne scossero la testa.

“Portaci fuori da qui, capitano.” Disse piano Muriel.

L’uomo le condusse in una zona libera. C’era un silenzio innaturale.

“Cosa succede, capitano? Perché ci ha chiamato se non c’è nessuno da curare?” Si azzardò a chiedere Muriel.

“Abbiamo solo eseguito gli ordini del principe. Voleva le celle vuote e la camera delle torture ha lavorato a pieno ritmo, così come i becchini. Non so altro.”Rispose, ma si vedeva che non era contento.

“Le rifaccio la domanda, capitano, che ci facciamo qui?” Chiese di nuovo Muriel.

Lo sguardo sfuggente dell’uomo si posò per un istante su Misha.

“Sono pronta, capitano, vengo con lei, mentre Muriel si occupa delle donne.” Disse la giovane.

Le due guaritrici si scambiarono uno sguardo rassicurante e ognuna prese un corridoio diverso.

Il capitano e Misha raggiunsero la cella del principe ereditario. L’uomo, a differenza dell’ultima volta non era in piedi, ma coricato e il suo respiro era affannoso.

“Apra la cella, capitano.” Gli chiese perentoria.

“La mia vita è in pericolo come la sua se qualcuno ci scopre. Ho fatto allontanare tutte le mie guardie, ma non posso essere sicuro che rimangano lontane a lungo. Salvi il principe, è la nostra unica speranza.” Gli disse con tono stanco.

Misha raggiunse il giaciglio del principe, lo toccò lievemente su una spalla per farlo voltare e vedere cosa fosse successo. Un lamento uscì dalle labbra rotte del principe. Con molta delicatezza lo rigirò e vide i suoi abiti inzuppati di sangue, aveva il viso tumefatto e un occhio quasi chiuso.

Con destrezza, prese un pezzo di stoffa dalla borsa e lo bagnò di un liquido scuro. “Le farò male, principe, ma è necessario.” Con la massima delicatezza gli deterse il viso, poi aiutata dal capitano  gli tolse i vestiti e passò su tutto il corpo il liquido disinfettante. Usò tutto l’unguento che si era portata per curare le ferite aperte e dovette usare ago e filo per cucirne alcune. Lavorò aiutata dal capitano senza dire una parola, tutta concentrata sul suo lavoro. Ci impiegò due ore, si fece dare un lenzuolo pulito e lo coprì senza rivestirlo.

“Le lascio questi medicamenti, li usi su tutto il corpo, cinque gocce di questo ogni dodici ore e lo lasci dormire. Ora è meglio se lo lasciamo riposare, ha perso molto sangue, cerchi di farlo bere e, da domani anche mangiare, che lui lo voglia o no, me lo deve promettere!” Gli ordinò.

Il capitano assentì senza dire una parola, aveva il volto sconvolto. Controllò che il lenzuolo lo coprisse e uscirono dalla cella, allontanandosi in fretta.

Raggiunsero un punto cieco del corridoio e Misha si fermò. Spalancò i suoi immensi occhi blu sul volto del capitano. “Cosa è successo?” Gli chiese insinuandosi nella sua mente per essere sicura che non le mentisse.

“So solo quello che mi hanno raccontato, io non c’ero e non so nemmeno se sia la verità. Suo fratello è venuto a trovarlo e nessuno sa cosa si siano detti, quello che tutti sanno è che il principe usurpatore è uscito furibondo dalla cella e ha dato ordine di vuotare le celle e portare suo fratello nella sala delle torture.” Il capitano fece una pausa, teneva gli occhi bassi e la ragazza capiva quanto soffrisse. “Dicono che lo abbia torturato lui stesso mentre due guardie che prima erano della scorta del principe ereditario stavano a guardare. Non so cosa volesse dal principe ereditario, solo lui e le due guardie lo sanno, ma quando è uscito ha dato gli ordini e ha chiesto di farvi venire e … non vuole che vi lasci andare via.” Finì con immenso dispiacere.

Romanzo di Milena Ziletti, diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina fb di elfi, fate e mondo incantato

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