CAMILLA
P. SEI
PARTE TERZA
In quel mese di maggio del
1961 scesi dal treno alla stazione di Londra.
Dire che ero emozionata è
dire poco. Mi guardavo intorno in quella bolgia di gente vociante e mi sembrava
di essere sbarcata sulla luna! Il primo impatto fu di quella folla noncurante e
frettolosa che mi passava accanto, mi spintonava e parlava quella bella lingua
che conoscevo poco. Prima di partire avevo studiato e preso lezioni di inglese,
ma ora, mi sembrava di non capirci nulla.
Con la mia valigia in mano,
con un sorriso di sicuro ebete, mi avviai verso l’uscita. Un autista in divisa
aveva in mano un cartello con scritto il mio nome. Mi presentai e mi accomodai
su una comodissima automobile.
“Dove sono capitata?” pensai. Ma il mio desiderio di avventura era talmente
tanto che mi affidai all’avventura stessa. Sapevo che i miei genitori si erano
affidati ad una agenzia seria che collocava ragazze alla pari come si usava in
quegli anni, e sapevo pure che sarei stata ospitata da due anziane sorelle che
vivevano in una tenuta alla periferia di Londra. Sapevo tutto questo e altre
informazioni, ma di certo non ero preparata a scoprire quello che mi aspettava:
l’incontro con quelle due donne avrebbe cambiato in modo radicale la mia vita e
il mio modo di vivere.
Durante il tragitto non
facevo altro che guardarmi intorno. Mi sembrava che gli occhi potessero uscirmi
dalle orbite: volevo veder tutto, godermi le novità che non avevo mai visto al
mio paese e, non mi rendevo conto che era tutto inutile. A bordo di quella
silenziosa automobile era come vedere un film scorrere a velocità superiore.
L’automobile imboccò un viale
alberato e sterrato e vidi approssimarsi una grande tenuta che sembrava un
castello. Io non avevo mai visto niente di simile e cominciai ad essere
preoccupata. Quando si fermò davanti ad un grande portone cominciai ad
avvertire la mia solita timidezza. Ora che ero giunta alla meta, le mie gambe
si rifiutavano di muoversi.
“Avanti Camilla, non fare la bambina” e mi diedi una mossa.
Presi la mia valigia e varcai
quel portone.
Ricordo benissimo quale fu la
mia prima impressione: mi sembrava di essere entrata in un mondo di fate, come
quelli che inventavo da bambina per le mie storie di fantasia. L’autista mi
accompagnò in salotto e, finalmente, conobbi le due sorelle, Linda e Lorna.
Parlavano solo in inglese e
fu con molta fatica che compresi quello che mi dicevano.
“Benvenuta Camilla, io sono Lorna, lei è Linda, e
siamo felici di darti il benvenuto nella nostra casa, speriamo tanto che ti
possa trovare bene con noi.”
“Grazie, lo spero anch’io.”
Come posso descrivervi quelle
due eccentriche sorelle? Ai miei occhi di ventenne campagnola sembravano due
vecchie signore fuori dal tempo. Erano impeccabili: trucco perfetto (fin troppo
per i miei gusti) capelli tinti e corti, vestiti alla moda e, soprattutto, quel
fare sicuro e di adeguatezza che a me era sempre mancato.
Poi le conobbi meglio, Lorna
aveva 63 anni e Linda 61. Non si erano mai sposate e vivevano molto
agiatamente. Avevano viaggiato molto ma ora, causa di alcuni problemi di salute
erano costrette a vivere più ritirate.
Furono splendide fin
dall’inizio e mi misero a mio agio. Mi portarono a visitare la tenuta, mi
fecero vedere ogni angolo di quella bellissima casa e mi ospitarono in una
lussuosa camera comprensiva di salottino e di bagno.
Nemmeno nella mia casa avevo
a disposizione tanto spazio ed ero elettrizzata.
Durante la cena mi indicarono
quali sarebbero stati i miei compiti: colazione alle sette tutte insieme, poi
avrei dovuto accompagnarle ovunque andassero; avevano bisogno di me perché le
loro gambe non erano più tanto sicure. Avremmo pranzato insieme, avevo tre
pomeriggi alla settimana per frequentare la scuola e avrei svolto alcune
commissioni per loro. Potevano esserci anche altri compiti che avremmo visto
mano a mano. In cambio di questo avevo vitto, alloggio e quello che serviva per
accompagnarle nelle loro uscite. Quando me lo dissero non potevo immaginare
dove mi avrebbero portata. Per eventuali lavori extra mi avrebbero dato qualche
sterlina. Mi mettevano a disposizione l’autista fin quando non mi fossi
impratichita e fossi diventata più sicura e indipendente.
Avemmo tutto il fine
settimana per conoscerci meglio e feci amicizia anche con il loro cane, Ralf, che
mi prese subito in simpatia.
Penso che il mio affiatamento
con il loro cane fosse il primo test d’ingresso per essere completamente
accettata. Non stupitevi, non solo erano eccentriche ma anche molto disinvolte
in tutto e, ci furono occasioni, in cui fui molto imbarazzata dal loro modo di
comportarsi.
Cominciò così la mia nuova
vita.
Colazione alle sette, ecco,
già qui fui presa subito alla sprovvista.
Il lunedì si presentarono
alle sette già completamente truccate e vestite (ma a che ora si erano svegliate?).
“Camilla, appena finita la colazione andiamo in città,
dovrai essere pronta entro dieci minuti.”
Fui pronta in nove minuti e
l’autista aveva già portato l’auto.
foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti
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