venerdì 8 febbraio 2019

CAMILLA


CAMILLA

P. CINQUE






Gli passo il disinfettante sulle ferite e non fa un fiato. Deve essere molto doloroso, ma lui non si lamenta. Intanto che lo medico inizia a parlare.

“Non ti ho mai detto, Camilla, quanto tu sei importante per me. Nessuno lo ha mai capito, credo che nemmeno tu sappia il motivo di questo mio attaccamento. Quando ti ho vista piangere, quella prima volta che ci siamo visti, ho rivisto tutte le volte che anche mia madre ha pianto. Mio padre è violento e irascibile, è da lui che ho preso questo brutto carattere. Ma non ho mai voluto diventare come lui, è stato quel giorno che ho capito che invece ero sulla buona strada per somigliargli. Le tue lacrime, e la tua disinteressata amicizia, mi hanno insegnato che ci sono anche altri sentimenti. E quando mi raccontavi le tue storie ti stavo ad ascoltare intensamente, perché mi piaceva figurarmi in quelle situazioni sempre a lieto fine. Ti voglio bene, dolce Camilla, la tua presenza mi fa pensare che c’è del buono anche in me.”

Queste parole mi hanno commossa. Anch’io gli voglio bene, ma non sono capace di dirglielo.

“Ho un’idea. Quando questa brutta storia sarà passata, perché non cominci a frequentare la palestra di pugilato che hanno aperto da poco? Potrebbe essere la soluzione alla tua aggressività.”

Alzo gli occhi e lo guardo.
 “Te lo prometto.” Mi sorride, e in un attimo si sdraia sul letto e si addormenta.

Da quel giorno è cominciata la sua nuova vita. Per fortuna la sua bravata non ebbe conseguenze e, in poche settimane guarì ogni ferita.

Si iscrisse alla palestra e cominciò a frequentarla con passione. Imparò che esistono regole che vanno sempre rispettate. Il signor Nino, l’allenatore, così diffidente all’inizio, riuscì a entrare poco alla volta nel suo cuore, lo conquistò e gli insegnò il vero valore della vita e dello sport.

Il tempo passava e Rocco si scolpiva un fisico fatto di muscoli. Aveva anche cervello e cominciò a fare alcuni incontri.

Che emozione quando venne a casa mia con i biglietti del suo primo incontro importante: uno per me e uno per sua madre, le donne più importanti della sua vita ci disse. Mi abbracciò talmente forte che quasi mi stritolò. Io non volevo andarci, avevo paura di vederlo sul ring a prendere pugni, ma non mancai a quell’incontro, come non mancai ogni volta che potevo.

Quell’incontro di pugilato fu il primo anche per me. Vederlo in pantaloncini, con quel fisico muscoloso e il suo ciuffo di capelli tirati sulla fronte mi diede un tuffo al cuore.
Ricordo poco di quello che successe sul ring, fu più il tempo che passai con gli occhi chiusi che il resto. Ma quando l’arbitro gli alzò il braccio e lo decretò vincitore non riuscii a non piangere.

Era circondato da amici, da colleghi e un sacco di ragazze urlavano il suo nome cercando di andargli vicino e toccarlo. Lui guardò me e si portò una mano al cuore e disse “grazie”.

Ci furono festeggiamenti, ma io non vi partecipai. Avevo solo 17 anni e dovevo tornare a casa presto.

Il giorno dopo si ripresentò a casa mia con la coppa che aveva vinto, orgoglioso e felice come non lo avevo mai visto.

“Questa è per te, Camilla. E’ più tua che mia. Conservala, perché le prossime me le tengo io. Ce ne saranno tante altre, ma questa è dedicata solo a te.”

Cominciò la sua carriera, e fu una grande carriera. Se ne andò dal paese e cominciò a girare il mondo. Di lui sentivo parlare sui giornali quando vinceva gli incontri importanti. Aveva molte ragazze, molti soldi, un lavoro che gli piaceva e stava realizzando i sogni, quelli che facevamo fin da bambini. E ogni volta, alla fine dell’incontro, sia che ne uscisse vincitore o perdente non si dimenticava mai di portarsi quella mano al cuore e mandarmi il suo pensiero.
Raramente mi mandava cartoline. Solo poche parole di saluti. Una arrivò persino da New York e la conservo insieme ad altri cari ricordi.

Lui aveva raggiunto il suo sogno, io inseguivo il mio. Mi ero diplomata, ero cresciuta ed ero anche parecchio carina ma, ancora molto timida.

Era il 1960, avevo 20 anni e sia i ragazzi che le ragazze cominciano ad emanciparsi. Arrivavano canzoni bellissime da terre lontane, dall’America, all’Inghilterra e cominciai ad appassionarmi a quella musica. Mi piaceva e volevo imparare anche la lingua e chiesi ai miei genitori di mandarmi laggiù per impararla.
Sembrava avessi chiesto la luna, non ne volevano sapere di lasciarmi andare da sola. Fecero di tutto per convincermi a rinunciare, ma era il mio più grande desiderio e, alla fine, cedettero.

Presero ogni informazione. Non vollero che andassi in America, era più vicina l’Inghilterra e, alla fine, a 21 anni, partii verso quel paese per imparare tutto quello che potevo.


foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

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