CAMILLA
P. CINQUE
Gli passo il disinfettante
sulle ferite e non fa un fiato. Deve essere molto doloroso, ma lui non si
lamenta. Intanto che lo medico inizia a parlare.
“Non ti ho mai detto, Camilla, quanto tu sei
importante per me. Nessuno lo ha mai capito, credo che nemmeno tu sappia il
motivo di questo mio attaccamento. Quando ti ho vista piangere, quella prima
volta che ci siamo visti, ho rivisto tutte le volte che anche mia madre ha
pianto. Mio padre è violento e irascibile, è da lui che ho preso questo brutto
carattere. Ma non ho mai voluto diventare come lui, è stato quel giorno che ho
capito che invece ero sulla buona strada per somigliargli. Le tue lacrime, e la
tua disinteressata amicizia, mi hanno insegnato che ci sono anche altri
sentimenti. E quando mi raccontavi le tue storie ti stavo ad ascoltare
intensamente, perché mi piaceva figurarmi in quelle situazioni sempre a lieto
fine. Ti voglio bene, dolce Camilla, la tua presenza mi fa pensare che c’è del
buono anche in me.”
Queste parole mi hanno
commossa. Anch’io gli voglio bene, ma non sono capace di dirglielo.
“Ho un’idea. Quando questa brutta storia sarà passata,
perché non cominci a frequentare la palestra di pugilato che hanno aperto da
poco? Potrebbe essere la soluzione alla tua aggressività.”
Alzo gli occhi e lo guardo.
“Te lo
prometto.” Mi sorride, e in un attimo
si sdraia sul letto e si addormenta.
Da quel giorno è cominciata
la sua nuova vita. Per fortuna la sua bravata non ebbe conseguenze e, in poche
settimane guarì ogni ferita.
Si iscrisse alla palestra e
cominciò a frequentarla con passione. Imparò che esistono regole che vanno
sempre rispettate. Il signor Nino, l’allenatore, così diffidente all’inizio,
riuscì a entrare poco alla volta nel suo cuore, lo conquistò e gli insegnò il
vero valore della vita e dello sport.
Il tempo passava e Rocco si
scolpiva un fisico fatto di muscoli. Aveva anche cervello e cominciò a fare
alcuni incontri.
Che emozione quando venne a
casa mia con i biglietti del suo primo incontro importante: uno per me e uno
per sua madre, le donne più importanti della sua vita ci disse. Mi abbracciò
talmente forte che quasi mi stritolò. Io non volevo andarci, avevo paura di
vederlo sul ring a prendere pugni, ma non mancai a quell’incontro, come non
mancai ogni volta che potevo.
Quell’incontro di pugilato fu
il primo anche per me. Vederlo in pantaloncini, con quel fisico muscoloso e il
suo ciuffo di capelli tirati sulla fronte mi diede un tuffo al cuore.
Ricordo poco di quello che
successe sul ring, fu più il tempo che passai con gli occhi chiusi che il
resto. Ma quando l’arbitro gli alzò il braccio e lo decretò vincitore non
riuscii a non piangere.
Era circondato da amici, da
colleghi e un sacco di ragazze urlavano il suo nome cercando di andargli vicino
e toccarlo. Lui guardò me e si portò una mano al cuore e disse “grazie”.
Ci furono festeggiamenti, ma
io non vi partecipai. Avevo solo 17 anni e dovevo tornare a casa presto.
Il giorno dopo si ripresentò
a casa mia con la coppa che aveva vinto, orgoglioso e felice come non lo avevo
mai visto.
“Questa è per te, Camilla. E’ più tua che mia.
Conservala, perché le prossime me le tengo io. Ce ne saranno tante altre, ma
questa è dedicata solo a te.”
Cominciò la sua carriera, e
fu una grande carriera. Se ne andò dal paese e cominciò a girare il mondo. Di
lui sentivo parlare sui giornali quando vinceva gli incontri importanti. Aveva
molte ragazze, molti soldi, un lavoro che gli piaceva e stava realizzando i
sogni, quelli che facevamo fin da bambini. E ogni volta, alla fine
dell’incontro, sia che ne uscisse vincitore o perdente non si dimenticava mai
di portarsi quella mano al cuore e mandarmi il suo pensiero.
Raramente mi mandava
cartoline. Solo poche parole di saluti. Una arrivò persino da New York e la
conservo insieme ad altri cari ricordi.
Lui aveva raggiunto il suo
sogno, io inseguivo il mio. Mi ero diplomata, ero cresciuta ed ero anche
parecchio carina ma, ancora molto timida.
Era il 1960, avevo 20 anni e
sia i ragazzi che le ragazze cominciano ad emanciparsi. Arrivavano canzoni
bellissime da terre lontane, dall’America, all’Inghilterra e cominciai ad
appassionarmi a quella musica. Mi piaceva e volevo imparare anche la lingua e
chiesi ai miei genitori di mandarmi laggiù per impararla.
Sembrava avessi chiesto la
luna, non ne volevano sapere di lasciarmi andare da sola. Fecero di tutto per
convincermi a rinunciare, ma era il mio più grande desiderio e, alla fine, cedettero.
Presero ogni informazione. Non
vollero che andassi in America, era più vicina l’Inghilterra e, alla fine, a 21
anni, partii verso quel paese per imparare tutto quello che potevo.
foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti
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