LO GNOMO TRISTE
Il piccolo
gnomo Calvis se ne stava solitario seduto all’ombra di un iris selvatico. Il
bosco era un tripudio di colori in quella stagione ma lui non riusciva a
coglierne la bellezza. Le farfalle dai multicolori sembrano sbeffeggiarlo
volando davanti al suo fiore e posandosi spesso sui petali rosso fuoco
dell’iris. Con un gesto stizzoso usava il bastone che teneva in mano per
scacciarle, non voleva saperne di essere disturbato. Calvis era il più vecchio
del villaggio ed era stanco, non trovava più la voglia di vivere, non vedeva
più la bellezza della natura che era stata sua compagna per la vita, non
apprezzava più il gorgheggiare degli uccelli che stavano sui rami più alti e
non amava più quella dolce pioggia che dava vita ad ogni essere vivente di quel
posto. Aveva sempre pensato di vivere in un paradiso, un posto bellissimo dove
non mancava niente eppure, da un po’ di tempo sentiva dentro di sé una
tristezza e una stanchezza infinite.
L’allodola
dal ciuffo verde gli stava dedicando la sua più dolce melodia. Si conoscevano
da tempo e l’uccello faceva di tutto per riportare il sorriso su quel vecchio
viso rugoso. Col suo dolce frullare di ali, l’allodola si posò vicino allo
gnomo che s’era quasi assopito. Gentilmente, col becco gli spostò il cappello
dal viso e notò due grosse lacrime scendere seguendo i solchi delle rughe.
L’allodola rimase incerta sul da farsi, cosa poteva fare per aiutare quel suo
vecchio amico? Intonò la sinfonia più dolce che conosceva e gliela cantò stando
vicino al vecchio gnomo, allargò l’ala e lo accarezzò cercando di asciugare le
lacrime che ormai erano cadute a terra.
“Che ti
succede, vecchio amico mio?”
Il vecchio
gnomo alzò due occhi tristi. “Sono stanco di questo posto, sono vecchio e non
ho mai visto il mondo, perché sono nato qui? Io vorrei essere un uomo che vive
non uno gnomo che vegeta!”
L’allodola,
che al contrario di lui volava da tempo sul mondo, capì quale era il problema
di Calvis.
“Amico mio,
vieni, sali sulla mia schiena che esaudirò il tuo desiderio, ti porterò a
vedere un pezzo di mondo.”
Il vecchio
gnomo non se lo fece ripetere e, con un po’ di fatica salì sopra l’allodola che
prese immediatamente il volo.
Dio quanto
era bello sentire l’aria frizzante sul viso, e il cappello gli volò via. Calvis
fece una risata come da tempo non gli riusciva e strinse i pugni sulle piume
dell’allodola aguzzando la vista.
“Ora mi
abbasserò un poco, così potrai vedere meglio.”
Calvis
cominciò a tossire, non riusciva a respirare.
“E’ lo
smog.” Gli disse l’allodola. “Se io non venissi nel bosco a rigenerarmi,
morirei in pochi giorni.”
Passavano
vicino a case e giardini, dove i colori non esistevano più. Il verde dell’erba
sostituito da zolle brulle e incolte e bambini litigiosi urlavano gli uni
contro gli altri.
“E’ la vita
stressante che conducono gli umani che porta a questo. Hanno smesso di
insegnare cosa è il bello, il brutto, il buono e il cattivo e le nuove
generazioni crescono selvagge e senza guida.”
L’allodola volò
lentamente fino al centro della città e si posò sotto un tetto. “Ora guarda il
mondo che sogni, piccolo amico, quello che aneli e che vorresti per te.”
Calvis
sgranava gli occhi, e con le mani si copriva le orecchie, il frastuono era
davvero molto fastidioso. Guardava gli umani andare per le strade incuranti di
tutto, ognuno con un aggeggio poggiato all’orecchio e con occhi che sembravano
vuoti e ciechi. Dov’erano i colori? Era primavera inoltrata e i fiori nascevano
ovunque, ma lì non ne vedeva. Strilli provenivano da auto in movimento, in un
angolo nascosto vide due ragazzi con una siringa in mano, in un altro alcuni
bambini con sigarette e bottiglie che scolavano passandole di mano in mano.
L’allodola
rimaneva in silenzio, lei conosceva molto bene il mondo degli umani e non gli
era mai piaciuto.
Calvis
sgranò gli occhi su quel mondo che da tempo desiderava e si chiese se quelle
persone fossero matte a vivere così. L’uccello portò Calvin su un grosso albero
al centro di un parco dove alcuni bambini stavano giocando. Sembravano piccoli
selvaggi urlanti, calpestavano le poche margherite che avevano avuto il
coraggio di spuntare, si rotolavano nell’erba urlando mentre nessun animale
aveva il coraggio di uscire dalle proprie tane.
“Riportami
indietro, amica mia. Rivoglio i miei colori, le mie usanze, le farfalle e la
pioggia. Voglio ritrovare l’allegria, qui non ne vedo, voglio ritornare dai
miei nipoti e guardare con loro il bruco che si trasforma in farfalla.”
L’allodola
riportò lo gnomo nel suo bosco, sotto l’iris rosso fuoco. Calvin si guardò
intorno mentre il canto dolcissimo della sua amica lo accompagnava verso la sua
rinascita.
Eh sì! Pensò
il vecchio gnomo, bisogna proprio saper apprezzare quello che si ha. Un sorriso
ravvivò il suo viso e le rughe sembravano i solchi di un campo arato da poco.
Riprese il cammino e tornò nel suo villaggio, chiamò a sé tanti piccoli giovani
gnomi e cominciò a raccontare loro una storia: “C’era una volta uno gnomo
triste che non sapeva più apprezzare i colori, poi un giorno fu portato in
città e capì di essere uno essere
molto fortunato…”
immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti
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