domenica 10 febbraio 2019

LO GNOMO TRISTE


LO GNOMO TRISTE





Il piccolo gnomo Calvis se ne stava solitario seduto all’ombra di un iris selvatico. Il bosco era un tripudio di colori in quella stagione ma lui non riusciva a coglierne la bellezza. Le farfalle dai multicolori sembrano sbeffeggiarlo volando davanti al suo fiore e posandosi spesso sui petali rosso fuoco dell’iris. Con un gesto stizzoso usava il bastone che teneva in mano per scacciarle, non voleva saperne di essere disturbato. Calvis era il più vecchio del villaggio ed era stanco, non trovava più la voglia di vivere, non vedeva più la bellezza della natura che era stata sua compagna per la vita, non apprezzava più il gorgheggiare degli uccelli che stavano sui rami più alti e non amava più quella dolce pioggia che dava vita ad ogni essere vivente di quel posto. Aveva sempre pensato di vivere in un paradiso, un posto bellissimo dove non mancava niente eppure, da un po’ di tempo sentiva dentro di sé una tristezza e una stanchezza infinite.
L’allodola dal ciuffo verde gli stava dedicando la sua più dolce melodia. Si conoscevano da tempo e l’uccello faceva di tutto per riportare il sorriso su quel vecchio viso rugoso. Col suo dolce frullare di ali, l’allodola si posò vicino allo gnomo che s’era quasi assopito. Gentilmente, col becco gli spostò il cappello dal viso e notò due grosse lacrime scendere seguendo i solchi delle rughe. L’allodola rimase incerta sul da farsi, cosa poteva fare per aiutare quel suo vecchio amico? Intonò la sinfonia più dolce che conosceva e gliela cantò stando vicino al vecchio gnomo, allargò l’ala e lo accarezzò cercando di asciugare le lacrime che ormai erano cadute a terra.
“Che ti succede, vecchio amico mio?”
Il vecchio gnomo alzò due occhi tristi. “Sono stanco di questo posto, sono vecchio e non ho mai visto il mondo, perché sono nato qui? Io vorrei essere un uomo che vive non uno gnomo che vegeta!”
L’allodola, che al contrario di lui volava da tempo sul mondo, capì quale era il problema di Calvis.
“Amico mio, vieni, sali sulla mia schiena che esaudirò il tuo desiderio, ti porterò a vedere un pezzo di mondo.”
Il vecchio gnomo non se lo fece ripetere e, con un po’ di fatica salì sopra l’allodola che prese immediatamente il volo.
Dio quanto era bello sentire l’aria frizzante sul viso, e il cappello gli volò via. Calvis fece una risata come da tempo non gli riusciva e strinse i pugni sulle piume dell’allodola aguzzando la vista.
“Ora mi abbasserò un poco, così potrai vedere meglio.”
Calvis cominciò a tossire, non riusciva a respirare.
“E’ lo smog.” Gli disse l’allodola. “Se io non venissi nel bosco a rigenerarmi, morirei in pochi giorni.”
Passavano vicino a case e giardini, dove i colori non esistevano più. Il verde dell’erba sostituito da zolle brulle e incolte e bambini litigiosi urlavano gli uni contro gli altri.
“E’ la vita stressante che conducono gli umani che porta a questo. Hanno smesso di insegnare cosa è il bello, il brutto, il buono e il cattivo e le nuove generazioni crescono selvagge e senza guida.”
L’allodola volò lentamente fino al centro della città e si posò sotto un tetto. “Ora guarda il mondo che sogni, piccolo amico, quello che aneli e che vorresti per te.”
Calvis sgranava gli occhi, e con le mani si copriva le orecchie, il frastuono era davvero molto fastidioso. Guardava gli umani andare per le strade incuranti di tutto, ognuno con un aggeggio poggiato all’orecchio e con occhi che sembravano vuoti e ciechi. Dov’erano i colori? Era primavera inoltrata e i fiori nascevano ovunque, ma lì non ne vedeva. Strilli provenivano da auto in movimento, in un angolo nascosto vide due ragazzi con una siringa in mano, in un altro alcuni bambini con sigarette e bottiglie che scolavano passandole di mano in mano.
L’allodola rimaneva in silenzio, lei conosceva molto bene il mondo degli umani e non gli era mai piaciuto.
Calvis sgranò gli occhi su quel mondo che da tempo desiderava e si chiese se quelle persone fossero matte a vivere così. L’uccello portò Calvin su un grosso albero al centro di un parco dove alcuni bambini stavano giocando. Sembravano piccoli selvaggi urlanti, calpestavano le poche margherite che avevano avuto il coraggio di spuntare, si rotolavano nell’erba urlando mentre nessun animale aveva il coraggio di uscire dalle proprie tane.
“Riportami indietro, amica mia. Rivoglio i miei colori, le mie usanze, le farfalle e la pioggia. Voglio ritrovare l’allegria, qui non ne vedo, voglio ritornare dai miei nipoti e guardare con loro il bruco che si trasforma in farfalla.”
L’allodola riportò lo gnomo nel suo bosco, sotto l’iris rosso fuoco. Calvin si guardò intorno mentre il canto dolcissimo della sua amica lo accompagnava verso la sua rinascita.
Eh sì! Pensò il vecchio gnomo, bisogna proprio saper apprezzare quello che si ha. Un sorriso ravvivò il suo viso e le rughe sembravano i solchi di un campo arato da poco. Riprese il cammino e tornò nel suo villaggio, chiamò a sé tanti piccoli giovani gnomi e cominciò a raccontare loro una storia: “C’era una volta uno gnomo triste che non sapeva più apprezzare i colori, poi un giorno fu portato in città e capì di essere uno essere molto fortunato…”



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