CAMILLA
P. QUATTRO
Rimango più silenziosa del
solito e mamma mi chiede: “che c’è
Camilla che ti turba?” Io non so nascondere niente e lei mi conosce bene.
“Mamma, oggi sono stata da Rocco e aveva il viso
gonfio e un occhio nero. Non ha voluto dirmi chi è stato a picchiarlo e mi ha
detto di non andare a casa sua fino a quando la punizione non sarà terminata.
Tu ne sai qualcosa?”
“Di preciso non so niente ma ti do’ un consiglio:
lascia che sia lui a parlarti quando sarà pronto, non è giusto che siano altri
a farlo al posto suo. Anche se non sono molto contenta di questa tua amicizia
ti chiedo solo di insegnargli un po’ della tua bontà.”
Ho otto anni e non capisco
sempre i discorsi dei grandi, so solo che fra pochi giorni Rocco tornerà a
scuola e ci rivedremo.
Mentre crescevo e mi facevo
un po’ più estroversa Rocco diventava sempre più ribelle. Con me era il solito
dolce amico e insieme parlavamo di sogni e della vita che avremmo voluto da
grandi, ma poi insieme agli amici ridiventava il solito Rocco irascibile e
violento.
Quante volte subì punizioni,
pestaggi, sospensioni, ma niente serviva a cambiarlo. La sua indole era quella
e i miei genitori cominciarono a proibirmi di frequentarlo.
Fu una proibizione che non
ascoltai mai. E fu, la mia prima disobbedienza.
C’è una fotografia scattata
l’ultimo giorno di scuola che ci ritrae tutti in gruppo. Rocco è vicino a me,
non si è mai vergognato di dimostrare in pubblico, anche davanti ai suoi amici,
l’amicizia e quello strano sentimento di protezione che provava nei miei
confronti. Dal giorno che ci eravamo conosciuti la nostra amicizia era
diventata qualcosa di veramente speciale.
Prendo la foto e la guardo. Io
avevo dieci anni e un bel fiocco in testa, lui con il suo ciuffo scuro che gli
scendeva negli occhi, occhi che ha sempre cercato di coprire con la sua lunga
frangia.
PARTE SECONDA
Continuai a studiare, volevo
diventare maestra. Ero sicura che con i bambini avrei potuto superare la mia
timidezza e svolgere un lavoro che mi si addiceva.
Rocco si mise con un gruppo
di ragazzi poco raccomandabili e cominciò una vita piuttosto sregolata.
Fu un periodo molto
particolare, ci frequentavamo poco. Io presa dai miei studi e lui dalla sua
vita. Circolavano brutte voci su quel gruppo di ragazzi. Facevano dispetti,
bevevano e fumavano, erano in giro fino a tarda notte a combinare guai.
Avevo 15 anni e stavo
leggendo un libro quando suonò il campanello. Con molta calma andai ad aprire e
vidi la signora Matilde. Aveva gli occhi di una che ha appena pianto. “Cercavo proprio te, potresti venire a casa
mia?”
La seguii senza esitazione e
mi portò dritta davanti alla porta della stanza di Rocco. “Apri Rocco, c’è Camilla.”
Ci volle un’eternità perché
ci aprisse, e quando lo vidi mi spaventai.
Era ferito in viso e alle
mani; gli occhi erano quasi chiusi tanto erano gonfi. Sua madre non era
riuscita a farsi dire niente e sperava nel mio aiuto.
Lui mi fece entrare e chiuse la
porta. Adesso non ero più una bambina, un abbraccio mi avrebbe imbarazzata,
anche se lo avrei tanto desiderato. Mi ricordavo l’ultima volta che l’avevo
visto con il viso pestato, ma ora non avevo più otto anni.
Mi accomodo sul letto e lo
guardo. Quei suoi occhi scuri, così cupi e anche così dolci ora sono
spaventati. “Che ti è successo?”
Mi accorgo che non ha molta
voglia di parlare nemmeno con me.
“Ci siamo scontrati con un gruppo di ragazzi più
grandi. Ci hanno offeso e provocato, loro avevano anche dei coltelli. Tu mi
conosci, io non mi so trattenere e ci siamo picchiati. Il fatto grave è che due
sono finiti in ospedale e mi aspetto che arrivino i carabinieri. Ho esagerato,
adesso lo capisco ma non posso rimediare. Spero che non ci siano brutte conseguenze,
soprattutto per i miei amici”.
Come al solito pensa più agli
altri che a se stesso, lui è fatto così.
“Fatti medicare, vado a prendere il necessario, ci
penso io. Per una volta mi prendo cura io di te e non il contrario, te lo
devo.”
Sua madre è seduta in cucina
e mi guarda chiedendo spiegazioni, ma è troppo presto per parlarle, adesso devo
medicarlo.
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