lunedì 11 febbraio 2019

CAMILLA


CAMILLA

P. SETTE





“Siedi qui dietro insieme a noi, ti dobbiamo parlare.”

E mentre quell’auto filava silenziosa su quelle strade a me sconosciute cominciarono a spiegarmi.
“Non ti offendere bambina, ma non puoi uscire con noi con gli abiti che ti sei portata, oggi andiamo a fare compere: ti rinnoviamo tutto il guardaroba, non puoi fare obiezioni, era nei patti, non puoi venire alla mostra, dove saremo le madrine, senza un vestito adatto, ti assicuro che per noi sarà un divertimento.”

Quella volta fu per la mostra, poi ci fu l’inaugurazione di un giardino, poi le celebrazioni religiose e via di seguito, ed ogni volta era una giornata dedicata alla shopping. Loro si divertivano come ragazzine. Erano molto conosciute e rispettate e, di conseguenza, anch’io venivo trattata con tutti i riguardi del caso.

Intanto imparavo molto facilmente la lingua e decisi di iscrivermi anche al corso di francese, così i pomeriggi di scuola finivano alle otto di sera, ma mi piaceva molto.

Ero diventata autosufficiente, uscivo da sola, andavo spesso in città per loro ed erano sempre molto generose.

Mano a mano che il tempo passava io mi affezionavo sinceramente a loro. Potevano essere le mie nonne ma se avessero saputo che pensavo a loro come nonne e non come amiche mi avrebbero cacciato dalla loro casa.

Erano vecchie, con la salute debole ma non avrebbero mai ammesso di esserlo. A me stava bene così, anche se a volte, durante certe uscite sembravano davvero troppo. Troppo truccate, troppo vistose, insomma, per me che amavo la semplicità sembravano troppo in tutto. Avevano cercato in tutti i modi di farmi assomigliare a loro, poi avevano capito che io ero fatta così e mi lasciarono relativamente in pace.

In quel primo anno le accompagnai in numerose uscite importanti. Venni a conoscenza che loro erano nella discendenza reale ma non so in che posizione, erano molto conosciute e influenti oltre che essere molto ricche e facenti parte di tante associazioni benefiche. Ed io, senza accorgermene, entravo piano piano in quel mondo.

Ero venuta in Inghilterra per imparare la lingua e conoscere quelle belle canzoni che tanto mi avevano attratta e invece andavo ai concerti di musica classica, vedevo balletti, andavo a teatro e ogni volta era una splendida scoperta l’emozione che provavo.

Linda e Lorna si beavano della mia emozione e la vivevano come se loro stesse tornassero indietro nel tempo: se mi avessero predetto che avrei amato tutte quelle cose non ci avrei creduto, ed ora erano diventate parte della mia vita, una passione.

Adesso parlavo con scioltezza l’inglese e quasi alla perfezione anche il francese. Ero passata ai corsi di perfezionamento e avrei fatto gli esami fra pochi mesi, poi la mia esperienza scolastica sarebbe terminata, cosa avrei fatto poi? Ci pensavo spesso. Avrei dovuto lasciare quella casa? Dove sarei andata? Sarei tornata a casa dei miei genitori? A fare che cosa? Ora non riuscivo ad immaginare la mia vita lontana da Londra. Dovevo cominciare a pensare di trovarmi un impiego, non volevo tornare al mio paesello dove non ci sarebbe stato niente di tutto questo.

Era passato un anno da quando ero arrivata e, fra sei mesi, avrei concluso i miei studi. Non avevo più ricevuto notizie di Rocco, ma leggevo della sua vita sui giornali, era diventato un grande campione, aveva una vita piena e interessante e una donna diversa e bellissima al suo fianco ogni pochi mesi. Era circondato da molte persone: amici, consiglieri, allenatori, e altre figure che non saprei descrivere. Nelle fotografie era ritratto sempre con il suo impareggiabile sorriso e quel suo ciuffo di capelli ribelli a volte sulla fronte a volte brillantinanti all’indietro. Chissà, mi chiedevo, se ogni tanto pensa ancora a me? Alla sua amica d’infanzia? Gli facevo silenziosamente gli auguri per la sua carriera e, chissà, magari un giorno ci saremmo rivisti.

Durante questo anno trascorso con Linda e Lorna avevo riempito due armadi di abiti bellissimi, alcuni indossati una sola volta, per mia madre sarebbe stato un grande spreco quello che facevo, ma non dipendeva da me. Sembrava che per ogni occasione servisse qualcosa di nuovo e le due sorelle si divertivano come matte a girare per negozi e fare acquisti per me.

Erra ancora maggio, un anno esatto da quando ero arrivata.

Avevo imparato anche come si sta a tavola nelle grandi occasioni, come ci si comporta in società, avevo raffinato quella grazia che in me era innata ma non sviluppata. Lorna e Linda, avevano saputo, con i loro suggerimenti, insegnarmi quello che serve per stare nella società che loro frequentavano ed ora, era come se io ci fossi nata e sempre vissuta. Erano fiere di come mi avevano trasformata ed io ero contenta di essere una persona nuova.
Stavamo cenando e loro si scambiavano occhiate strane. Ormai non mi meravigliava più niente nel loro comportamento e aspettavo pazientemente che si decidessero a parlare.



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