CAMILLA
P. SETTE
“Siedi qui dietro insieme a noi, ti dobbiamo parlare.”
E mentre quell’auto filava
silenziosa su quelle strade a me sconosciute cominciarono a spiegarmi.
“Non ti offendere bambina, ma non puoi uscire con noi
con gli abiti che ti sei portata, oggi andiamo a fare compere: ti rinnoviamo
tutto il guardaroba, non puoi fare obiezioni, era nei patti, non puoi venire
alla mostra, dove saremo le madrine, senza un vestito adatto, ti assicuro che
per noi sarà un divertimento.”
Quella volta fu per la
mostra, poi ci fu l’inaugurazione di un giardino, poi le celebrazioni religiose
e via di seguito, ed ogni volta era una giornata dedicata alla shopping. Loro
si divertivano come ragazzine. Erano molto conosciute e rispettate e, di
conseguenza, anch’io venivo trattata con tutti i riguardi del caso.
Intanto imparavo molto
facilmente la lingua e decisi di iscrivermi anche al corso di francese, così i
pomeriggi di scuola finivano alle otto di sera, ma mi piaceva molto.
Ero diventata
autosufficiente, uscivo da sola, andavo spesso in città per loro ed erano
sempre molto generose.
Mano a mano che il tempo
passava io mi affezionavo sinceramente a loro. Potevano essere le mie nonne ma
se avessero saputo che pensavo a loro come nonne e non come amiche mi avrebbero
cacciato dalla loro casa.
Erano vecchie, con la salute
debole ma non avrebbero mai ammesso di esserlo. A me stava bene così, anche se
a volte, durante certe uscite sembravano davvero troppo. Troppo truccate,
troppo vistose, insomma, per me che amavo la semplicità sembravano troppo in
tutto. Avevano cercato in tutti i modi di farmi assomigliare a loro, poi
avevano capito che io ero fatta così e mi lasciarono relativamente in pace.
In quel primo anno le
accompagnai in numerose uscite importanti. Venni a conoscenza che loro erano
nella discendenza reale ma non so in che posizione, erano molto conosciute e
influenti oltre che essere molto ricche e facenti parte di tante associazioni
benefiche. Ed io, senza accorgermene, entravo piano piano in quel mondo.
Ero venuta in Inghilterra per
imparare la lingua e conoscere quelle belle canzoni che tanto mi avevano
attratta e invece andavo ai concerti di musica classica, vedevo balletti, andavo
a teatro e ogni volta era una splendida scoperta l’emozione che provavo.
Linda e Lorna si beavano
della mia emozione e la vivevano come se loro stesse tornassero indietro nel
tempo: se mi avessero predetto che avrei amato tutte quelle cose non ci avrei
creduto, ed ora erano diventate parte della mia vita, una passione.
Adesso parlavo con scioltezza
l’inglese e quasi alla perfezione anche il francese. Ero passata ai corsi di
perfezionamento e avrei fatto gli esami fra pochi mesi, poi la mia esperienza scolastica
sarebbe terminata, cosa avrei fatto poi? Ci pensavo spesso. Avrei dovuto
lasciare quella casa? Dove sarei andata? Sarei tornata a casa dei miei genitori?
A fare che cosa? Ora non riuscivo ad immaginare la mia vita lontana da Londra.
Dovevo cominciare a pensare di trovarmi un impiego, non volevo tornare al mio
paesello dove non ci sarebbe stato niente di tutto questo.
Era passato un anno da quando
ero arrivata e, fra sei mesi, avrei concluso i miei studi. Non avevo più
ricevuto notizie di Rocco, ma leggevo della sua vita sui giornali, era
diventato un grande campione, aveva una vita piena e interessante e una donna
diversa e bellissima al suo fianco ogni pochi mesi. Era circondato da molte
persone: amici, consiglieri, allenatori, e altre figure che non saprei
descrivere. Nelle fotografie era ritratto sempre con il suo impareggiabile
sorriso e quel suo ciuffo di capelli ribelli a volte sulla fronte a volte
brillantinanti all’indietro. Chissà, mi chiedevo, se ogni tanto pensa ancora a
me? Alla sua amica d’infanzia? Gli facevo silenziosamente gli auguri per la sua
carriera e, chissà, magari un giorno ci saremmo rivisti.
Durante questo anno trascorso
con Linda e Lorna avevo riempito due armadi di abiti bellissimi, alcuni
indossati una sola volta, per mia madre sarebbe stato un grande spreco quello
che facevo, ma non dipendeva da me. Sembrava che per ogni occasione servisse
qualcosa di nuovo e le due sorelle si divertivano come matte a girare per
negozi e fare acquisti per me.
Erra ancora maggio, un anno
esatto da quando ero arrivata.
Avevo imparato anche come si
sta a tavola nelle grandi occasioni, come ci si comporta in società, avevo
raffinato quella grazia che in me era innata ma non sviluppata. Lorna e Linda,
avevano saputo, con i loro suggerimenti, insegnarmi quello che serve per stare
nella società che loro frequentavano ed ora, era come se io ci fossi nata e
sempre vissuta. Erano fiere di come mi avevano trasformata ed io ero contenta
di essere una persona nuova.
Stavamo cenando e loro si
scambiavano occhiate strane. Ormai non mi meravigliava più niente nel loro
comportamento e aspettavo pazientemente che si decidessero a parlare.
immagine dal web - diritto e proprietà riservati di Milena Ziletti
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