lunedì 12 ottobre 2020

BIANCA

 

BIANCA

prima parte



 

Mi chiamo Bianca e voglio raccontarvi la mia storia.

Sono nata appena dopo la prima guerra mondiale, ai piedi dell’Appennino Toscano. Devo il mio nome al fatto che quando nacqui tutto era ricoperto da un manto bianco di neve, e la mamma scelse quel nome, anche se la nonna voleva chiamarmi Candida. Ero la quarta figlia e, dopo di me, ce ne furono altri quattro. La mia era una famiglia numerosa: mamma, babbo, nonna, noi otto fratelli e uno zio scapolo fratello del babbo. Eravamo, come tante altre, una famiglia normale e in casa non c’era molta allegria. La mamma era sempre indaffarata e stanca. Il babbo si vedeva solo all’ora dei pasti, anche lo zio, perché lavoravano la terra e c’erano anche gli animali.

Quando ci mettevamo a tavola sembravamo una tribù, ma nonna non ammetteva nessun tipo di scompiglio quando si mangiava e sapeva maneggiare con sapienza una lunga verga sempre a disposizione.

Io ero l’unica dei fratelli ad avere i capelli rossi e mamma mi diceva che li avevo ereditati dalla sua bisnonna. Il viso con tante lentiggini e la pelle chiara: il mio nome, Bianca, mi si addiceva, ma a volte i miei fratelli mi prendevano in giro e mi chiamavano “Rossa”. Di tutti e otto eravamo solo due femmine, io e Angela , più grande di me di due anni. Dormivamo nello stesso lettuccio ed eravamo molto affiatate e, molte volte, eravamo costrette a coalizzarci contro i maschi.

Se ripenso a quei tempi ricordo alcune cose che rimarranno indelebili nella mia mente: i minestroni con quell’odore di cavolo che inondava la casa, oppure quelle forme gigantesche di pane che la nonna sfornava, oppure il rito del bagno da farsi ogni sabato, su questo la mamma non ammetteva trasgressioni. Le prime a lavarsi eravamo Angela ed io in quanto poi dovevamo asciugare i lunghi capelli davanti al fuoco in inverno, o sotto il portico in estate; poi toccava a tutti gli altri. Quanti secchi di acqua calda e fredda portavano avanti e indietro i miei fratelli e la mamma: il sabato lo avevamo soprannominato “la processione dell’acqua”.

E la domenica, immancabilmente, tutti a messa.

Io adoravo gli animali. Avevamo gatti, due cani, ma mi piaceva anche andare a vedere i coniglietti, i pulcini e mi spaventavano molto topi e bisce.

Avevo sette anni. Ero davanti alla gabbia dei conigli e ammiravo i piccoli nati da alcuni giorni. Erano così carini ed io parlavo con loro. Vidi entrare lo zio che noi tutti avevamo soprannominato “zio Orso”, perché era grande, aveva una folta barba, due occhi piccoli e scuri a parlava pochissimo. La nonna diceva che era il suo figlio sfortunato, perché aveva perso la fidanzata e non ne aveva più voluto un’altra. Non ho mai saputo se fosse vero o una storia inventata per giustificare un figlio scapolo. Mi rivolsi a lui “guarda zio come sono carini i coniglietti!” Lui mi venne vicino e li guardò. Poi guardò me. Mi guardava in un modo strano, i suoi occhi sembravano più grandi e mi accarezzò i capelli rossi.

Mentre mi accarezzava cominciò a slacciarmi i bottoni del grambiulino, me lo tolse e mi tolse tutto il resto. Io ero pietrificata! Cosa stava facendo? Non riuscivo a muovermi e non riuscivo quasi a respirare. Avevo la bocca spalancata dallo stupore e lo sentii dire:” Lo sanno tutti che le rosse sono delle puttane, e tu, non fai differenza.” Io non capivo cosa voleva dire ma avevo paura ed ero terrorizzata. Continuava ad accarezzarmi ed io piangevo lacrime silenziose. Dopo un po’ mi disse “Se lo dici a qualcuno ti ammazzo.” Mi rivestì, e uscì come se non fosse successo nulla. Rimasi ferma ed impietrita davanti alla gabbia dei conigli e non capivo ancora cosa mi era successo. Le lacrime si erano asciugate e corsi in casa. La mamma stava pulendo la verdura per il minestrone e non badò a me che corsi in camera e mi rifugiai nel mio letto.

Era quasi ora di cena e venne a vedere perché fossi ancora a letto. Non era da me, che ero una bambina vivace, e le dissi che non mi sentivo bene e che non volevo mangiare. Mi sentì la fronte e disse che non avevo niente, perciò dovevo andare a tavola con gli altri.

Mi sembrava che tutti mi guardassero in modo strano ed io non alzai gli occhi dal piatto. Non volli mangiare niente.

E quello fu l’inizio del mio cambiamento.

Nei giorni successivi cercai di comportarmi come al solito, ma ero molto più silenziosa, più tranquilla. Stavo molto con i miei gatti e parlavo con loro, non giocavo più nemmeno con Angela. Passarono alcune settimane ed io cercavo di dimenticare quello che mi era successo, per la verità non l’avevo nemmeno capito. Mi sembrava quasi di averlo sognato e, un po’ alla volta tornai ad essere come prima, anche se non completamente, perché c’era, comunque dentro di me, una certa inquietudine.

Dovevano essere passati almeno tre mesi quando tornai a vedere i coniglietti, ma non resistetti e scappai via subito.

Era domenica mattina ed ero in casa di sola, perché tutti gli altri erano alla funzione. Io non c’ero voluta andare perché non me la sentivo. Ero davanti al fuoco con in braccio un gattino e gli parlavo quando entrò zio Orso. Il sangue mi si gelò ed il gattino scappò via.

Mi sembrava di essere un pezzo di ghiaccio e cominciai ad avere paura. Zio Orso non si avvicinò questa volta, si sedette sulla sedia e si calò i calzoni: Io non avevo mai visto niente di simile e cominciò a toccarsi. “Guarda rossa puttana, è quello che farai nella tua vita, così puoi imparare prima!” Mi spaventai talmente tanto che caddi svenuta.

Mi risvegliai sentendo un panno fresco ed umido sulla fronte. Vicino a me c’era la nonna. “Come stai Bianca?” ma io non rispondevo. Guardavo fisso davanti a me e non parlavo. “Io so cosa ti è successo, ma tu, non lo devi dire a nessuno, hai capito Bianca? Se lo dici a qualcuno scaccerò te e tua madre da questa casa e non rivedrete più nessuno di noi e sarete costrette a chiedere l’elemosina per vivere. Hai capito bene Bianca? Se hai capito fammi un cenno.” Feci segno di sì con la testa e le dissi “vai via, voglio la mia mamma.” “Ricorda quello che ti ho detto” e se ne andò.

Avevo la febbre alta, deliravo e piangevo, era così che la nonna lo aveva saputo, anche se, secondo me, lo sospettava.

Angela vicina a me mi teneva stretta, mi cambiava il panno umido e mi diceva che mi voleva bene. Lei non sapeva quello che mi era successo, ma vedeva la mia sofferenza e cercava di confortarmi in tutti i modi. Rimasi a letto per una settimana, poi la mamma mi fece alzare. Ero molto pallida ed i capelli rossi spiccavano più del solito. “Come stai piccina?” mi chiese la mamma. Io l’abbracciai e le risposi “sto un po’ meglio mammina” e mi accorsi che non riuscivo più a parlare sciolta come prima: ero balbuziente. Mi misi a piangere e la mamma mi strinse a sé consolandomi come solo una madre sa fare. Credo avesse capito o sapesse cosa mi era successo perché mi disse “mai più nessuno ti farà del male, adesso ci sono io con te e non ti lascerò più”.

Da quel giorno non parlai più come prima, ero diventata balbuziente, così cercavo di parlare il meno possibile.

In casa si respirava un’aria diversa dal solito. I miei fratelli, pur non sapendo niente, si erano accorti che qualcosa non andava. La mamma non rivolgeva più la parola alla nonna e allo zio e, a stento, diceva poche frasi al babbo. Quando serviva la cena saltava sempre il piatto di nonna e zio oppure gli rovesciava addosso il cibo. Aveva la bocca serrata, come se avesse voluto dire o fare qualcosa ma non poteva e, molto importante, non mi perdeva mai di vista. Angela si guardava intorno senza darsi una spiegazione del cambiamento che era avvenuto.

La mamma e la nonna avevano litigato furiosamente ed io non avevo sentito quello che si erano dette, ma il risultato fu che la nonna fu relegata a sguattera di casa, le fu tolta la verga ed ogni voce in capitolo in famiglia, e zio Orso fu mandato a dormire fuori dalle mura della nostra casa. In tutto questo cambiamento, mio padre cercò dei chiarimenti e la sfuriata che gli fece la mamma lo ammutolì ancora più di prima. Ora la mamma li teneva tutti a bacchetta e nessuno dei grandi cercò di rivoltarsi: sembrava diventata una leonessa.

racconto di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati

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