SONIA AL TEMPO DEGLI
ARRESTI DOMICILIARI
Era davvero
strana quella primavera così limpida. Sonia era chiusa in casa, nessuno poteva
uscire. Le strade erano presidiate e solo con il lascia passare si poteva
andare a comprare il cibo.
Le scuole
erano chiuse, i capelli venivano tinti in casa, e chi era malato non si poteva
curare, per fortuna le medicine non mancavano.
Sonia aveva
compiuto sedici anni proprio due settimane prima, senza festeggiamenti e con
tanta tristezza. Con gli amici si era scambiata gli auguri, per fortuna
esistevano tanti modi per parlarsi, ma che tristezza non potersi incontrare.
Stare alla
finestra ad osservare il cielo era diventata ormai un’abitudine. Da tempo non
si vedeva una trasparenza così nel cielo. E le nuvole! Chi le aveva mai viste
così? Lei aveva sempre pensato che quelle strisce che poi si allargavano
fossero le vere nuvole, e il sole non era mai apparso così limpido. Guardava
incuriosita quelle nuvole a sbuffi, bianche che sembravano macchie dipinte da
un famoso pittore del quale gli sfuggiva il nome. Come sarebbe stato bello
passeggiare con Ronny, il suo piccolo cane meticcio bianco e nero, ma non si
poteva e, il suo piccolo amico passava le giornate triste e abbacchiato sul
tappeto dell’ingresso.
Mamma e papà
passavano le giornate senza fare gran ché, si parlavano poco e l’aria era quasi
irrespirabile in casa, mentre fuori era un tripudio di uccelli e piante che
rimettevano le foglie, e i fiori del rinsecchito giardino spuntavano anche
senza aver ricevuto le dovute cure, la natura sembrava l’unica che non
risentiva di quel periodo, anzi sembrava averne tratto giovamento.
La
televisione sempre accesa, le notizie catastrofiche di quello strano virus che
nessuno conosceva martellavano per ventiquattro ore al giorno nel silenzio
rabbioso di casa.
Le sirene
delle ambulanze erano diventate come torcibudella che stringevano stomaco e
gola, facevano mancare il respiro mentre la mamma si faceva il segno della
croce.
Quanto durerà? Si chiedeva spesso Sonia. Un sacco di
esperti diceva la sua, ma lei cominciava ad avere dei dubbi.
Passarono
anche quelle settimane e, finalmente poté uscire di casa. Prese la bicicletta
con Ronny nel cestino e si avviò per i sentieri di campagna rigogliosi di fiori
e di verde. Come’era bello respirare a quel modo!
Cercava di
rimanere all’aperto il più possibile, aveva davvero sofferto a rimanere
reclusa. Avrebbe voluto incontrare le sue amiche ma tanti genitori erano stati
categorici: mantenere le distanze, il pericolo era ancora incombente. Così, Sonia
si era rassegnata. La mascherina sempre sul viso le aveva irritato la pelle, e
aveva cominciato ad avere una tosse fastidiosa.
Finalmente
le regole imposte dal governo cominciarono ad allentarsi e, con alcune amiche
ricominciò a frequentare qualche locale. L’argomento era sempre quello,
soprattutto chi aveva perso amici o parenti aveva la tristezza impressa negli
occhi, tristezza e dolore che la mascherina non poteva nascondere.
Le vacanze
non erano nemmeno state prese in considerazione, i suoi genitori avevano il
terrore disegnato sul viso, i loro risparmi si erano quasi esauriti e di
tornare al lavoro nemmeno parlarne. Suo padre era un idraulico che quasi
nessuno più chiamava per la paura che portasse il virus nelle case, sua madre
faceva lavori domestici per alcune famiglie ma, ormai nessuno la chiamava. Non
era semplice vivere in quel modo.
Era piena
estate e il caldo era soffocante. In casa non si accendeva il condizionatore
per risparmiare sulla bolletta. Da alcuni giorni la ragazzina si era accorta
che qualcosa era peggiorato. Aprì il frigorifero e ci trovò solo uova, una
pagnotta vecchia di qualche giorno, un vaso di sottaceti e tre mele. Richiuse
lo sportello e bevve un bicchiere d’acqua.
Sua madre
era tristemente seduta sul divano, con le braccia abbandonate sulle gambe e lo
sguardo fisso in un punto lontano. “Che succede, mamma?” Le chiese un po’
spaventata. Dopo un lungo minuto lo sguardo spento della donna si posò sul
volto della figlia e un debole sorriso le rischiarò il viso. La televisione era
come al solito accesa e un vivace dibattito fra politici e personaggi famosi
rendeva tutto assurdo. Sonia si sedette accanto alla madre e le prese la mano,
rimanendo con lei ad ascoltare quelle voci insulse che da mesi riempivano la
testa di tante persone terrorizzate.
“Ce la
faremo, mamma, stai sicura, tutto passerà.” Le disse dolcemente.
La donna
sospirò, strinse la mano della figlia e guardò negli occhi la ragione stessa
della sua vita, del suo amore incondizionato, quegli occhi che somigliavano
tanto ai suoi. “Ho paura, Sonia. Continuano a dire che la situazione
peggiorerà. Io non ho più un lavoro e tuo padre cerca di darsi da fare come
può, guarda un altro sbarco e altra gente da mantenere, da curare mentre noi …”
Non finì la frase. Si portò una mano al petto mentre il respiro si faceva
affannoso. Il viso sbiancava. Sonia capì che sua madre aveva un attacco di
cuore, già si curava da mesi. Prese il cellulare e chiamò la guardia medica.
Aspettò
l’arrivo dei medici, ma nessuno si presentava, eppure aveva già richiamato
diverse volte. Asciugava il sudore sulla fronte di sua madre e le teneva
stretta la mano. “Stai serena, mamma, stanno arrivando, me lo hanno promesso.”
Passarono
diverse ore e Sonia stringeva la mano ormai fredda di sua madre. Il viso inondato
di lacrime e la certezza che anche la sua vita era finita.
Si sentì un
trambusto sulle scale e alcuni personaggi vestiti con tute spaziali si fecero
strada verso il divano allontanando la ragazza. Richiusero il corpo della donna
in un sacco ed uscirono senza dire una parola, lasciando solo un foglio di
carta.
Era quasi
buio quando rientrò suo padre e lei le raccontò quello che era successo.
“Dov’eri,
papà? Ti ho cercato per ore.” Le disse sentendo l’odore di alcol nell’alito
dell’uomo.
Sonia si
allontanò e cadde stremata sul letto. Il dolore che aveva nel cuore sembrava lo
stesso che aveva stroncato la madre, poi finalmente si addormentò.
Ci vollero
settimane prima che potesse ritirare una scatola con le ceneri di sua madre e
si chiese se davvero fossero le sue, ma ormai non aveva più importanza. I suoi
sedici anni erano stati segnati da quel virus e dalla mancanza di aiuto. Non ne
faceva una colpa ai medici, non era colpa di nessuno se non di quel virus che
ancora si spandeva nell’aria.
Da quando
sua madre era morta suo padre non aveva passato nemmeno un giorno da sobrio e
lei era disperata. Le rimaneva Ronny che sembrava volere asciugare le lacrime
sul viso che tanto amava.
Era ancora
davanti alla finestra, ad osservare le nuvole, la vita che era ripresa. Aveva
spento la tv, doveva prepararsi a tornare a scuole, se solo l’avessero
riaperta. Con gli occhi colmi di lacrime, mentre accarezzava il suo cane si
accorse di una strana nuvola, sembrava un grande cuore con al centro un
sorriso. “Ce la farò, mamma, io non mi arrendo, ma tu stammi vicina.” Pensò
mentre quella nuvola cambiava espressione e si trasformava in bacio.
Sonia sta
lottando per tornare alla normalità ma suo padre non è più riuscito a tenersi
un lavoro e ogni giorno che passa sembra voler raggiungere sua moglie,
incurante di avere una figlia coraggiosa e determinata.
Mentre
raggiunge il cimitero un gruppo di ragazzi di colore la deridono, la insultano
e la provocano vergognosamente. Lei si ferma e li osserva con tanta rabbia, non
è una bambina stupida, ha capito molto bene come tira il vento. Non abbassa lo
sguardo e si tiene dentro il dolore di una giovane vita che sta sbocciando e
che non aspetta altro di potersi dare da fare per aiutare quelli che soffrono
come lei.
Te lo prometto, mamma. Le manda il pensiero davanti a quella
piccola lapide. Io non mi arrenderò e
farò la differenza.
Raddrizza le
spalle e sa che dovrà combattere e lottare per realizzare quello che ha in
testa, intanto dovrà riuscire a finire la scuola e poi, poi …
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