sabato 10 ottobre 2020

SONIA AL TEMPO DEGLI ARRESTI DOMICILIARI

 

SONIA AL TEMPO DEGLI ARRESTI DOMICILIARI




 

Era davvero strana quella primavera così limpida. Sonia era chiusa in casa, nessuno poteva uscire. Le strade erano presidiate e solo con il lascia passare si poteva andare a comprare il cibo.

Le scuole erano chiuse, i capelli venivano tinti in casa, e chi era malato non si poteva curare, per fortuna le medicine non mancavano.

Sonia aveva compiuto sedici anni proprio due settimane prima, senza festeggiamenti e con tanta tristezza. Con gli amici si era scambiata gli auguri, per fortuna esistevano tanti modi per parlarsi, ma che tristezza non potersi incontrare.

Stare alla finestra ad osservare il cielo era diventata ormai un’abitudine. Da tempo non si vedeva una trasparenza così nel cielo. E le nuvole! Chi le aveva mai viste così? Lei aveva sempre pensato che quelle strisce che poi si allargavano fossero le vere nuvole, e il sole non era mai apparso così limpido. Guardava incuriosita quelle nuvole a sbuffi, bianche che sembravano macchie dipinte da un famoso pittore del quale gli sfuggiva il nome. Come sarebbe stato bello passeggiare con Ronny, il suo piccolo cane meticcio bianco e nero, ma non si poteva e, il suo piccolo amico passava le giornate triste e abbacchiato sul tappeto dell’ingresso.

Mamma e papà passavano le giornate senza fare gran ché, si parlavano poco e l’aria era quasi irrespirabile in casa, mentre fuori era un tripudio di uccelli e piante che rimettevano le foglie, e i fiori del rinsecchito giardino spuntavano anche senza aver ricevuto le dovute cure, la natura sembrava l’unica che non risentiva di quel periodo, anzi sembrava averne tratto giovamento.

La televisione sempre accesa, le notizie catastrofiche di quello strano virus che nessuno conosceva martellavano per ventiquattro ore al giorno nel silenzio rabbioso di casa.

Le sirene delle ambulanze erano diventate come torcibudella che stringevano stomaco e gola, facevano mancare il respiro mentre la mamma si faceva il segno della croce.

Quanto durerà? Si chiedeva spesso Sonia. Un sacco di esperti diceva la sua, ma lei cominciava ad avere dei dubbi.

Passarono anche quelle settimane e, finalmente poté uscire di casa. Prese la bicicletta con Ronny nel cestino e si avviò per i sentieri di campagna rigogliosi di fiori e di verde. Come’era bello respirare a quel modo!   

Cercava di rimanere all’aperto il più possibile, aveva davvero sofferto a rimanere reclusa. Avrebbe voluto incontrare le sue amiche ma tanti genitori erano stati categorici: mantenere le distanze, il pericolo era ancora incombente. Così, Sonia si era rassegnata. La mascherina sempre sul viso le aveva irritato la pelle, e aveva cominciato ad avere una tosse fastidiosa.

Finalmente le regole imposte dal governo cominciarono ad allentarsi e, con alcune amiche ricominciò a frequentare qualche locale. L’argomento era sempre quello, soprattutto chi aveva perso amici o parenti aveva la tristezza impressa negli occhi, tristezza e dolore che la mascherina non poteva nascondere.

Le vacanze non erano nemmeno state prese in considerazione, i suoi genitori avevano il terrore disegnato sul viso, i loro risparmi si erano quasi esauriti e di tornare al lavoro nemmeno parlarne. Suo padre era un idraulico che quasi nessuno più chiamava per la paura che portasse il virus nelle case, sua madre faceva lavori domestici per alcune famiglie ma, ormai nessuno la chiamava. Non era semplice vivere in quel modo.

Era piena estate e il caldo era soffocante. In casa non si accendeva il condizionatore per risparmiare sulla bolletta. Da alcuni giorni la ragazzina si era accorta che qualcosa era peggiorato. Aprì il frigorifero e ci trovò solo uova, una pagnotta vecchia di qualche giorno, un vaso di sottaceti e tre mele. Richiuse lo sportello e bevve un bicchiere d’acqua.

Sua madre era tristemente seduta sul divano, con le braccia abbandonate sulle gambe e lo sguardo fisso in un punto lontano. “Che succede, mamma?” Le chiese un po’ spaventata. Dopo un lungo minuto lo sguardo spento della donna si posò sul volto della figlia e un debole sorriso le rischiarò il viso. La televisione era come al solito accesa e un vivace dibattito fra politici e personaggi famosi rendeva tutto assurdo. Sonia si sedette accanto alla madre e le prese la mano, rimanendo con lei ad ascoltare quelle voci insulse che da mesi riempivano la testa di tante persone terrorizzate.

“Ce la faremo, mamma, stai sicura, tutto passerà.” Le disse dolcemente.

La donna sospirò, strinse la mano della figlia e guardò negli occhi la ragione stessa della sua vita, del suo amore incondizionato, quegli occhi che somigliavano tanto ai suoi. “Ho paura, Sonia. Continuano a dire che la situazione peggiorerà. Io non ho più un lavoro e tuo padre cerca di darsi da fare come può, guarda un altro sbarco e altra gente da mantenere, da curare mentre noi …” Non finì la frase. Si portò una mano al petto mentre il respiro si faceva affannoso. Il viso sbiancava. Sonia capì che sua madre aveva un attacco di cuore, già si curava da mesi. Prese il cellulare e chiamò la guardia medica.

Aspettò l’arrivo dei medici, ma nessuno si presentava, eppure aveva già richiamato diverse volte. Asciugava il sudore sulla fronte di sua madre e le teneva stretta la mano. “Stai serena, mamma, stanno arrivando, me lo hanno promesso.”

Passarono diverse ore e Sonia stringeva la mano ormai fredda di sua madre. Il viso inondato di lacrime e la certezza che anche la sua vita era finita.

Si sentì un trambusto sulle scale e alcuni personaggi vestiti con tute spaziali si fecero strada verso il divano allontanando la ragazza. Richiusero il corpo della donna in un sacco ed uscirono senza dire una parola, lasciando solo un foglio di carta.

Era quasi buio quando rientrò suo padre e lei le raccontò quello che era successo.

“Dov’eri, papà? Ti ho cercato per ore.” Le disse sentendo l’odore di alcol nell’alito dell’uomo.

Sonia si allontanò e cadde stremata sul letto. Il dolore che aveva nel cuore sembrava lo stesso che aveva stroncato la madre, poi finalmente si addormentò.

Ci vollero settimane prima che potesse ritirare una scatola con le ceneri di sua madre e si chiese se davvero fossero le sue, ma ormai non aveva più importanza. I suoi sedici anni erano stati segnati da quel virus e dalla mancanza di aiuto. Non ne faceva una colpa ai medici, non era colpa di nessuno se non di quel virus che ancora si spandeva nell’aria.

Da quando sua madre era morta suo padre non aveva passato nemmeno un giorno da sobrio e lei era disperata. Le rimaneva Ronny che sembrava volere asciugare le lacrime sul viso che tanto amava.

Era ancora davanti alla finestra, ad osservare le nuvole, la vita che era ripresa. Aveva spento la tv, doveva prepararsi a tornare a scuole, se solo l’avessero riaperta. Con gli occhi colmi di lacrime, mentre accarezzava il suo cane si accorse di una strana nuvola, sembrava un grande cuore con al centro un sorriso. “Ce la farò, mamma, io non mi arrendo, ma tu stammi vicina.” Pensò mentre quella nuvola cambiava espressione e si trasformava in bacio.

Sonia sta lottando per tornare alla normalità ma suo padre non è più riuscito a tenersi un lavoro e ogni giorno che passa sembra voler raggiungere sua moglie, incurante di avere una figlia coraggiosa e determinata.

Mentre raggiunge il cimitero un gruppo di ragazzi di colore la deridono, la insultano e la provocano vergognosamente. Lei si ferma e li osserva con tanta rabbia, non è una bambina stupida, ha capito molto bene come tira il vento. Non abbassa lo sguardo e si tiene dentro il dolore di una giovane vita che sta sbocciando e che non aspetta altro di potersi dare da fare per aiutare quelli che soffrono come lei.

Te lo prometto, mamma. Le manda il pensiero davanti a quella piccola lapide. Io non mi arrenderò e farò la differenza.

Raddrizza le spalle e sa che dovrà combattere e lottare per realizzare quello che ha in testa, intanto dovrà riuscire a finire la scuola e poi, poi …

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