mercoledì 25 novembre 2020

MISHA

 

Esistono streghe, ninfe, fate, folletti, gnomi e tanti esseri nascosti nel profondo dei boschi e delle foreste. Non è da tutti riuscire a vederli, anche soltanto scorgerli è un privilegio di pochi.

Ognuno di loro possiede la magia e ognuno di loro lavora per l’umanità.

MISHA



 

C’era una volta un Paese immerso nel buio del male, dove la gente cattiva comandava e sfruttava la povera gente. Nessuno aveva il coraggio di ribellarsi, quelle cattive persone, per essere sicure dell’obbedienza assoluta di tutti, sottraevano un bambino per ogni famiglia. Erano i più piccoli che venivano tolti alle loro famiglie, lasciando uno strazio e un dolore  da togliere il fiato.

Giungevano nei villaggi con carri coperti da teli neri, sembravano carri funebri, e così dovevano sembrare, i bambini che strappavano alle loro famiglie non sarebbero più tornati.

Era un periodo buio e tempestoso, la paura, l’impotenza, la rabbia e la frustrazione toglievano a tutti la forza di pensare. Dovevano lavorare e consegnare quello che i loro comandanti chiedevano, oppure avrebbero perso anche il privilegio di nutrirsi.

La primavera era appena iniziata e i carri telati di nero facevano il giro dei villaggi per prelevare gli ultimi nati. Urla strazianti di genitori disperati non servivano a niente, e le fruste schioccavano sulla pelle di chi osava avvicinarsi per un ultimo saluto al proprio bambino. Quanti ne avevano presi in quegli anni, nessuno era mai tornato, e nessuno conosceva la fine che avevano fatto.

Sui carri, ben nascoste agli occhi dei villani, c’erano alcune donne vestite di grigio che tenevano a bada i bambini. Ognuno di loro aveva compiuto un anno e strillava mentre veniva tolto dalle braccia materne, poi, come per incanto, una volta sul carro nessun grido veniva più sentito.

Sull’ultimo carro c’erano cinque maschietti e una femminuccia. Avevano gli occhi sgranati, la poca luce impediva di vedere perfino i contorni del carro. La piccola Misha aveva compiuto un anno da poco, era sveglia e si aggrappava al bordo del sedile per non cadere. Il telone svolazzava, un vento impetuoso di un temporale improvviso, con i suoi lampi le fornì la visuale di quello che c’era fuori. Ancora non sapeva cosa fosse un bosco, una foresta, uno stagno o quant’altro,  era troppo piccola. Gattonò  verso il bordo per osservare quelle luci improvvise, lampi poi seguiti dai tuoni e una pioggia intensa batteva sul telo come tanti proiettili.

Un lampo l’accecò e il tuono che seguì fu talmente forte che dallo spavento cadde dal carro. Nessuno se ne accorse e il carro proseguì per la sua strada.

La piccola chiuse gli occhi ancora accecati dai fulmini, mentre i tuoni le riempivano la testa, era fradicia, immersa in una profonda pozzanghera, e con le manine si puntellava cercando di rialzare la testa per non affogare. Tossiva e sputava l’acqua sporca che aveva bevuto ma il vento le rendeva le braccine rigide dal freddo. Cercò di aprire gli occhi ma la pioggia era talmente violenta che la costrinse a ricadere a faccia in giù.

Nei piccoli pugni stringeva il fango di quel sentiero che sarebbe stata la sua tomba, le mancava il fiato, le mancava la sua mamma, le mancava tutto mentre la vita l’abbandonava. Uno scricciolo di bambina che salutava la vita prima ancora di averla conosciuta.

Perse i sensi, i piccoli pugni si aprirono e si lasciò trasportare verso la fine.

Mentre il temporale imperversava e non accennava a diminuire, tutti gli animali del bosco se ne stavano ben nascosti nelle loro tane e nei loro nidi, soltanto una figura solitaria amava immergersi nella pioggia e nel vento. Era Oridea e nessuno sapeva se fosse umana o uno spirito del bosco. Nessuno l’aveva mai avvicinata, lei usciva solo quando imperversava la tempesta. Gli animali, ben nascosti e al riparo, la osservavano danzare come se il temporale fosse la sua musica preferita. Aveva lunghi capelli corvini che le ricadevano sulla schiena come tanti tentacoli. Passava fra gli alberi in punta di piedi, canticchiava ad occhi chiusi con le mani rivolte al cielo e raccoglieva la pioggia che poi lanciava in alto ridendo. Sapeva che non avrebbe mai incontrato nessuno e amava la sua solitudine.

Saltellava nelle pozzanghere come fanno i bambini, raccoglieva una foglia caduta e la rimetteva sul ramo e se trovava un animale ferito lo raccoglieva, lo asciugava col suo alito caldo e lo metteva al riparo. Era rispettata da tutti gli animali del bosco, perché aveva salvato tanti di loro.

Fu sorpresa di vedere quel piccolo corpo fradicio immerso nel fango. Non era uno dei soliti piccoli animali che riusciva a salvare. Con la sua innata grazia si inginocchiò ad osservare e la sua mano accarezzò i capelli di Misha incrostati di fango. Chi era? Delicatamente la sollevò e riconobbe uno scricciolo umano, freddo e rigido, talmente sporco da non capire chi fosse.

Teneva quel piccolo corpo fra le braccia, si guardava intorno ma non sapeva dove fosse la sua tana, il suo nido, non le era mai capitato uno scricciolo umano. Soffiò dentro la bocca della piccola per ridarle la vita, aspettò che il piccolo cuore riprendesse i suoi battiti, le accarezzava il viso mentre la pioggia lavava via tutto il sudiciume che aveva appiccicato e i suoi occhi si sgranarono alla vista di un visino così dolce e così pallido.

Il temporale andava scemando e Oridea doveva tornare nel suo mondo. Non poteva abbandonare quello scricciolo umano e, pur sapendo di andare contro ogni regola della sua gente, decise di portarla con sé.

Il cielo si stava schiarendo e lei correva verso il folto del bosco tenendo fra le braccia il suo dolce fardello. Si sollevò come avesse le ali e oltrepassò il portale che nessun umano aveva mai oltrepassato.

romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina di f di Elfi, fate e mondo incantato

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