Esistono
streghe, ninfe, fate, folletti, gnomi e tanti esseri nascosti nel profondo dei
boschi e delle foreste. Non è da tutti riuscire a vederli, anche soltanto
scorgerli è un privilegio di pochi.
Ognuno di
loro possiede la magia e ognuno di loro lavora per l’umanità.
MISHA
C’era una
volta un Paese immerso nel buio del male, dove la gente cattiva comandava e
sfruttava la povera gente. Nessuno aveva il coraggio di ribellarsi, quelle
cattive persone, per essere sicure dell’obbedienza assoluta di tutti, sottraevano
un bambino per ogni famiglia. Erano i più piccoli che venivano tolti alle loro
famiglie, lasciando uno strazio e un dolore
da togliere il fiato.
Giungevano
nei villaggi con carri coperti da teli neri, sembravano carri funebri, e così
dovevano sembrare, i bambini che strappavano alle loro famiglie non sarebbero
più tornati.
Era un
periodo buio e tempestoso, la paura, l’impotenza, la rabbia e la frustrazione
toglievano a tutti la forza di pensare. Dovevano lavorare e consegnare quello
che i loro comandanti chiedevano, oppure avrebbero perso anche il privilegio di
nutrirsi.
La primavera
era appena iniziata e i carri telati di nero facevano il giro dei villaggi per
prelevare gli ultimi nati. Urla strazianti di genitori disperati non servivano
a niente, e le fruste schioccavano sulla pelle di chi osava avvicinarsi per un
ultimo saluto al proprio bambino. Quanti ne avevano presi in quegli anni,
nessuno era mai tornato, e nessuno conosceva la fine che avevano fatto.
Sui carri,
ben nascoste agli occhi dei villani, c’erano alcune donne vestite di grigio che
tenevano a bada i bambini. Ognuno di loro aveva compiuto un anno e strillava
mentre veniva tolto dalle braccia materne, poi, come per incanto, una volta sul
carro nessun grido veniva più sentito.
Sull’ultimo
carro c’erano cinque maschietti e una femminuccia. Avevano gli occhi sgranati,
la poca luce impediva di vedere perfino i contorni del carro. La piccola Misha
aveva compiuto un anno da poco, era sveglia e si aggrappava al bordo del sedile
per non cadere. Il telone svolazzava, un vento impetuoso di un temporale
improvviso, con i suoi lampi le fornì la visuale di quello che c’era fuori.
Ancora non sapeva cosa fosse un bosco, una foresta, uno stagno o
quant’altro, era troppo piccola. Gattonò
verso il bordo per osservare quelle luci
improvvise, lampi poi seguiti dai tuoni e una pioggia intensa batteva sul telo
come tanti proiettili.
Un lampo
l’accecò e il tuono che seguì fu talmente forte che dallo spavento cadde dal
carro. Nessuno se ne accorse e il carro proseguì per la sua strada.
La piccola
chiuse gli occhi ancora accecati dai fulmini, mentre i tuoni le riempivano la
testa, era fradicia, immersa in una profonda pozzanghera, e con le manine si
puntellava cercando di rialzare la testa per non affogare. Tossiva e sputava
l’acqua sporca che aveva bevuto ma il vento le rendeva le braccine rigide dal
freddo. Cercò di aprire gli occhi ma la pioggia era talmente violenta che la
costrinse a ricadere a faccia in giù.
Nei piccoli
pugni stringeva il fango di quel sentiero che sarebbe stata la sua tomba, le
mancava il fiato, le mancava la sua mamma, le mancava tutto mentre la vita
l’abbandonava. Uno scricciolo di bambina che salutava la vita prima ancora di
averla conosciuta.
Perse i
sensi, i piccoli pugni si aprirono e si lasciò trasportare verso la fine.
Mentre il
temporale imperversava e non accennava a diminuire, tutti gli animali del bosco
se ne stavano ben nascosti nelle loro tane e nei loro nidi, soltanto una figura
solitaria amava immergersi nella pioggia e nel vento. Era Oridea e nessuno
sapeva se fosse umana o uno spirito del bosco. Nessuno l’aveva mai avvicinata,
lei usciva solo quando imperversava la tempesta. Gli animali, ben nascosti e al
riparo, la osservavano danzare come se il temporale fosse la sua musica
preferita. Aveva lunghi capelli corvini che le ricadevano sulla schiena come
tanti tentacoli. Passava fra gli alberi in punta di piedi, canticchiava ad
occhi chiusi con le mani rivolte al cielo e raccoglieva la pioggia che poi
lanciava in alto ridendo. Sapeva che non avrebbe mai incontrato nessuno e amava
la sua solitudine.
Saltellava
nelle pozzanghere come fanno i bambini, raccoglieva una foglia caduta e la
rimetteva sul ramo e se trovava un animale ferito lo raccoglieva, lo asciugava
col suo alito caldo e lo metteva al riparo. Era rispettata da tutti gli animali
del bosco, perché aveva salvato tanti di loro.
Fu sorpresa
di vedere quel piccolo corpo fradicio immerso nel fango. Non era uno dei soliti
piccoli animali che riusciva a salvare. Con la sua innata grazia si inginocchiò
ad osservare e la sua mano accarezzò i capelli di Misha incrostati di fango.
Chi era? Delicatamente la sollevò e riconobbe uno scricciolo umano, freddo e
rigido, talmente sporco da non capire chi fosse.
Teneva quel
piccolo corpo fra le braccia, si guardava intorno ma non sapeva dove fosse la
sua tana, il suo nido, non le era mai capitato uno scricciolo umano. Soffiò
dentro la bocca della piccola per ridarle la vita, aspettò che il piccolo cuore
riprendesse i suoi battiti, le accarezzava il viso mentre la pioggia lavava via
tutto il sudiciume che aveva appiccicato e i suoi occhi si sgranarono alla
vista di un visino così dolce e così pallido.
Il temporale
andava scemando e Oridea doveva tornare nel suo mondo. Non poteva abbandonare
quello scricciolo umano e, pur sapendo di andare contro ogni regola della sua
gente, decise di portarla con sé.
Il cielo si
stava schiarendo e lei correva verso il folto del bosco tenendo fra le braccia il
suo dolce fardello. Si sollevò come avesse le ali e oltrepassò il portale che
nessun umano aveva mai oltrepassato.
romanzo di Milena Ziletti - diritti e proprietà a lei riservati - immagine dalla pagina di f di Elfi, fate e mondo incantato
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