AURORA
Oggi è il 20 ottobre e compio
30 anni. Mi chiamo Aurora, sole che nasce, ma io mi sento quasi fossi al
tramonto.
Sono qui, seduta al tavolo di
un rinomato ristorante a festeggiare il mio compleanno, ma sono sola. Il
cameriere capisce, toglie l’altro coperto e mi porge il menù. Questa sera non
voglio badare a calorie o al costo dei cibi, non voglio rinunciare a niente.
Intanto che aspetto la mia
cena mi guardo intorno e lascio vagare la mente. Certo da ragazzina non avrei
mai pensato che avrei festeggiato da sola il mio trentesimo compleanno.
Ho cercato fra tutti quelli
che conosco chi poter invitare, ma volevo qualcuno che mi fosse vicino, anche
solo affettivamente e non ho trovato nessuno. Che squallore vista così la mia
vita. Eppure ho un lavoro stimolante, frequento una palestra esclusiva, ho
colleghi che mi rispettano (e forse mi invidiano e mi temono), insomma, sono
circondata da tante persone ma da nessun amico o amica. Ho cercato un
coinvolgimento che fosse più profondo dell’amicizia superficiale, ma devo essere
molto difficile, perché non ho trovato nessuno di adatto alle mie aspettative.
Il cameriere, giovane e
carino, mi versa l’aperitivo e mi sorride: tutto molto professionale, ma anche
molto freddo.
Riannodo i miei pensieri interrotti
e provo a vedermi con gli occhi di un estraneo, e questi cosa vede? Vede una
bella ragazza che ce l’ha messa tutta per studiare e scappare dal suo paese
verso la grande città, ed alla fine ci è riuscita. Quella stessa ragazza che ha
sempre rifiutato di essere coinvolta in amicizie o giovani amori, perché li
riteneva troppo banali per lei. Quella ragazza che non capiva come ci si
potesse accontentare di una vita di paese, di un matrimonio e dei figli come
desideravano molte sue compagne, quando fuori, in città c’era molto di più.
Bastava solo avere il coraggio e la voglia di andarsene.
Io ce l’ho fatta a lasciarmi
alle spalle tutto questo, compresi i miei genitori, perché la banalità e la
noia di quella vita non faceva per me.
Ecco l’antipasto, molto
colorato ed invitante. Comincio a mangiare e tutto è molto buono. Una vocina mi
sussurra “sarebbe migliore se ci fosse qualcuno vicino a te”.
I miei ricordi ritornano al
giorno in cui sono giunta qui, nella grande città: il mio più grande desiderio
che si avvera. Mamma e papà mi hanno fatto molte raccomandazioni, ma a 25 anni
e fresca di laurea mi sentivo padrona del mondo e soprattutto del mio futuro.
Con i miei risparmi e l’aiuto
dei miei mi sono permessa un piccolo “buco” dove vivere, ed ho cominciato la
grande avventura. Avevo già trovato un posto di lavoro e questo mi rendeva più
sicura.
Il cameriere torna e mi porta
la prima portata. Che profumo questi spaghetti allo scoglio! La pasta non me la
posso permettere molto spesso, devo stare attenta alla dieta. Inizio a mangiarla
e rilascio liberi i ricordi.
Il primo giorno di lavoro
arrivo emozionata ed allegra pensando di essere accolta con calore e, qui, ho
la mia prima delusione: nessuno spreca un sorriso o una parola di
incoraggiamento che siano almeno un po’ sinceri, anzi, vengo accolta molto
freddamente. Senza saperlo ho preso il posto di una ragazza costretta ad
andarsene per motivi a me ignoti, una ragazza amata ed apprezzata da tutti i
colleghi ed io, non posso competere con lei, e vengo considerata quasi una usurpatrice.
Non mi faccio abbattere
certamente per così poco, anzi, mi do da fare cercando di dimostrare che non ho
bisogno di nessuno, e questo, è un altro errore fatale.
Il mio lavoro mi piace ma non
i miei colleghi. Con loro solo rapporti strettamente professionali. In questo
ambiente non riesco a fare amicizie e mi iscrivo alla palestra. Se pensavo di
fare conoscenze e incontri piacevoli mi sbagliavo di grosso: solo tanta
competizione, superficialità e cura ossessiva del corpo. Quello che c’è oltre
l’apparenza sembra non interessare nessuno, così, mi ritrovo anche qui, ancora
una volta da sola.
Certo se dessi ascolto alle
avance che ricevo da molti maschi (di tutte le età) avrei le serate sempre
occupate, ma io vorrei qualcosa di più, non voglio buttarmi via solo per non
restare sola. Prima o poi anch’io troverò l’uomo della mia vita.
Non pensavo fosse così
difficile trovare amici, figurarsi un fidanzato, e vengo tacciata di essere una
sprovveduta provinciale. Forse è vero, perché mi accorgo che quegli insegnamenti
che i miei genitori mi hanno dato non sono scivolati via come immaginavo, ma
qualcosa è rimasto attacato al profondo dei mei sentimenti.
Forse non sono adatta a
questa vita di città, ma chi se ne frega, io vado avanti. Ho lottato, studiato
e fatto sacrifici per arrivare fino a qui e non sarà certamente questa
freddezza che mi circonda a farmi desistere.
Ho finito gli spaghetti che
erano eccezionali. Il cameriere mi toglie il piatto con un sorriso (se solo
fosse sincero!) e mi vuota un bicchiere di vino. Lo assaporo lentamente. Anche
questo me lo concedo poche volte. Io il vino non lo reggo e devo stare attenta.
Il rumore delle posate ed il
brusio della sala mi distrae momentaneamente dai miei pensieri. Mi guardo
intorno e tutti gli altri sembrano così felici. Sarà davvero così? O è solo
quello che vogliono far trasparire? Quanti sono sinceri e quanti tengono
nascoste le proprie emozioni facendo emergere solo quello che vogliono e non
quello che sentono? Mi sembra che la gente sia un po’ strana: fa di tutto per
non mostrare quello che ha dentro, cavalca l’onda per restare in superficie e
domostrare che esiste e che vale ma, se la guardi oltre gli occhi, esce un
miscuglio di sentimenti e di paure che la farebbe affondare in un attimo. E’
molto difficile essere sinceri, e a volte, può essere pericoloso.
Ritorna il cameriere con uno
splendido branzino al forno e comincia a pulirlo. Intanto lo guardo e lui non
si sveste mai del suo sorriso. Sembra stia eseguendo un’opera d’arte con quelle
mani così leggere e capaci; poi passa a condirmi la verdura. Ora posso
riprendere la cena. Mi fa un piccolo inchino e mi lascia al mio pasto.
Anche questo piatto è superbo
e, masticando, riannodo i miei ricordi e i miei pensieri. Di questi non ne vado
molto fiera. Ho fatto quello che mi ero ripromessa non sarebbe mai successo: ho
avuto una storia con il grande capo. Ci sono cascata per ripicca. Volevo
dimostrare che, se volevo, potevo anche andare con il capo, lui aveva scelto
me, mi lusingava la sua preferenza, e ci sono stata.
E’ durata solo qualche mese,
ma ho capito subito che è stato un errore. I miei colleghi lo hanno scoperto
quasi subito e, la loro freddezza non ha fatto che aumentare.
Credevo di essere stata
furba, di poter usare la situazione a mio vantaggio, invece ho solo ceduto il
mio corpo in cambio di niente, anzi meno di niente, perché ho allontanato tutti
loro ancora di più. Naturalmente lui era
sposato, aveva dei figli e poteva quasi essere mio padre. Ha usato il mio
corpo, la nostra storia come era abituato a fare anche con altre ragazze.
Quando abbiamo troncato è stata una liberazione. Che stupida sono stata!
Il branzino ha quasi perso il
suo buon sapore. Questi ricordi mi lasciano l’amaro in bocca e vorrei poter
cancellare quanto è successo ma non è possibile, e provo tanta vergogna.
Devo continuare a lavorare.
Vorrei cambiare ambiente e lasciarmi tutto alle spalle ma non posso, se non
lavoro non mi mantengo e non voglio tornare al paese da persona sconfitta.
Allora mi metto la maschera dell’indifferenza e continuo come prima, non devo
mostrare incertezze. Gli altri non devono sapere cosa nascondo anch’io dietro
agli occhi.
Lascio il pesce a metà.
Proprio non ce la faccio a mangiarlo. E’ come se ogni boccone avesse il sapore
di quella storia di sesso che ho troncato, e non mi va più giù.
Come dal nulla riappare il
cameriere che, con il suo bel sorriso stampato in viso mi riporta alla realtà e
chiedo anche il dolce. Domani andrò in palestra a smaltire.
Il dolce è a forma di cuore
e, prima di mangiarlo lo guardo. Quel cuore è come il mio, tenero e dolce. Lo
assaggio soltanto e poi ci rinuncio.
Chiedo che il caffè mi venga
servito al bar, dove un pianista canta canzoni d’amore, e mi siedo ad
ascoltare. Altre coppie sono lì e si tengono teneramente la mano, o stanno
vicini parlandosi d’amore.
Questo non è il mio posto, è
troppo doloroso per me vedere queste coppie allacciate.
Pago il conto e lascio la
mancia al cameriere. Almeno lui ha rispettato il mio silenzio e la mia
solitudine.
Esco e mi accorgo che sta
piovendo. Ci mancava solo questa!
I miei capelli messi in piega
solo da alcune ore si lisciano bagnati dall’acqua. I tacchi alti e la gonna
stretta non rendono agevole la mia corsa fino all’auto e ci arrivo tutta
inzuppata.
Arrivo a casa ed entro. Nel
mio “buco” vedo un messaggio in segreteria “buon compleanno, bambina”. I miei
genitori si sono ricordati.
Mi metto una tuta comoda, un
bicchiere di acqua, una rivista. E’ così che termino la giornata del mio
compleanno: sola e triste. Mi dico “auguri Aurora, domani è un altro giorno”.
Già, un altro giorno sperando che sia migliore e in fondo al cuore, dietro agli
occhi, penso che al mio paese nessuno festeggia il compleanno da solo. Dove ho
sbagliato? Ho tutta la vita davanti per capirlo ma, intanto il tempo, inesorabile
se ne va.
Auguri Aurora e buona fortuna da tutti
noi.
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