lunedì 27 agosto 2018

AURORA


AURORA


Oggi è il 20 ottobre e compio 30 anni. Mi chiamo Aurora, sole che nasce, ma io mi sento quasi fossi al tramonto.
Sono qui, seduta al tavolo di un rinomato ristorante a festeggiare il mio compleanno, ma sono sola. Il cameriere capisce, toglie l’altro coperto e mi porge il menù. Questa sera non voglio badare a calorie o al costo dei cibi, non voglio rinunciare a niente.
Intanto che aspetto la mia cena mi guardo intorno e lascio vagare la mente. Certo da ragazzina non avrei mai pensato che avrei festeggiato da sola il mio trentesimo compleanno.
Ho cercato fra tutti quelli che conosco chi poter invitare, ma volevo qualcuno che mi fosse vicino, anche solo affettivamente e non ho trovato nessuno. Che squallore vista così la mia vita. Eppure ho un lavoro stimolante, frequento una palestra esclusiva, ho colleghi che mi rispettano (e forse mi invidiano e mi temono), insomma, sono circondata da tante persone ma da nessun amico o amica. Ho cercato un coinvolgimento che fosse più profondo dell’amicizia superficiale, ma devo essere molto difficile, perché non ho trovato nessuno di adatto alle mie aspettative.
Il cameriere, giovane e carino, mi versa l’aperitivo e mi sorride: tutto molto professionale, ma anche molto freddo.
Riannodo i miei pensieri interrotti e provo a vedermi con gli occhi di un estraneo, e questi cosa vede? Vede una bella ragazza che ce l’ha messa tutta per studiare e scappare dal suo paese verso la grande città, ed alla fine ci è riuscita. Quella stessa ragazza che ha sempre rifiutato di essere coinvolta in amicizie o giovani amori, perché li riteneva troppo banali per lei. Quella ragazza che non capiva come ci si potesse accontentare di una vita di paese, di un matrimonio e dei figli come desideravano molte sue compagne, quando fuori, in città c’era molto di più. Bastava solo avere il coraggio e la voglia di andarsene.
Io ce l’ho fatta a lasciarmi alle spalle tutto questo, compresi i miei genitori, perché la banalità e la noia di quella vita non faceva per me.
Ecco l’antipasto, molto colorato ed invitante. Comincio a mangiare e tutto è molto buono. Una vocina mi sussurra “sarebbe migliore se ci fosse qualcuno vicino a te”.
I miei ricordi ritornano al giorno in cui sono giunta qui, nella grande città: il mio più grande desiderio che si avvera. Mamma e papà mi hanno fatto molte raccomandazioni, ma a 25 anni e fresca di laurea mi sentivo padrona del mondo e soprattutto del mio futuro.
Con i miei risparmi e l’aiuto dei miei mi sono permessa un piccolo “buco” dove vivere, ed ho cominciato la grande avventura. Avevo già trovato un posto di lavoro e questo mi rendeva più sicura.
Il cameriere torna e mi porta la prima portata. Che profumo questi spaghetti allo scoglio! La pasta non me la posso permettere molto spesso, devo stare attenta alla dieta. Inizio a mangiarla e rilascio liberi i ricordi.
Il primo giorno di lavoro arrivo emozionata ed allegra pensando di essere accolta con calore e, qui, ho la mia prima delusione: nessuno spreca un sorriso o una parola di incoraggiamento che siano almeno un po’ sinceri, anzi, vengo accolta molto freddamente. Senza saperlo ho preso il posto di una ragazza costretta ad andarsene per motivi a me ignoti, una ragazza amata ed apprezzata da tutti i colleghi ed io, non posso competere con lei, e vengo considerata quasi una usurpatrice.
Non mi faccio abbattere certamente per così poco, anzi, mi do da fare cercando di dimostrare che non ho bisogno di nessuno, e questo, è un altro errore fatale.
Il mio lavoro mi piace ma non i miei colleghi. Con loro solo rapporti strettamente professionali. In questo ambiente non riesco a fare amicizie e mi iscrivo alla palestra. Se pensavo di fare conoscenze e incontri piacevoli mi sbagliavo di grosso: solo tanta competizione, superficialità e cura ossessiva del corpo. Quello che c’è oltre l’apparenza sembra non interessare nessuno, così, mi ritrovo anche qui, ancora una volta da sola.
Certo se dessi ascolto alle avance che ricevo da molti maschi (di tutte le età) avrei le serate sempre occupate, ma io vorrei qualcosa di più, non voglio buttarmi via solo per non restare sola. Prima o poi anch’io troverò l’uomo della mia vita.
Non pensavo fosse così difficile trovare amici, figurarsi un fidanzato, e vengo tacciata di essere una sprovveduta provinciale. Forse è vero, perché mi accorgo che quegli insegnamenti che i miei genitori mi hanno dato non sono scivolati via come immaginavo, ma qualcosa è rimasto attacato al profondo dei mei sentimenti.
Forse non sono adatta a questa vita di città, ma chi se ne frega, io vado avanti. Ho lottato, studiato e fatto sacrifici per arrivare fino a qui e non sarà certamente questa freddezza che mi circonda a farmi desistere.
Ho finito gli spaghetti che erano eccezionali. Il cameriere mi toglie il piatto con un sorriso (se solo fosse sincero!) e mi vuota un bicchiere di vino. Lo assaporo lentamente. Anche questo me lo concedo poche volte. Io il vino non lo reggo e devo stare attenta.
Il rumore delle posate ed il brusio della sala mi distrae momentaneamente dai miei pensieri. Mi guardo intorno e tutti gli altri sembrano così felici. Sarà davvero così? O è solo quello che vogliono far trasparire? Quanti sono sinceri e quanti tengono nascoste le proprie emozioni facendo emergere solo quello che vogliono e non quello che sentono? Mi sembra che la gente sia un po’ strana: fa di tutto per non mostrare quello che ha dentro, cavalca l’onda per restare in superficie e domostrare che esiste e che vale ma, se la guardi oltre gli occhi, esce un miscuglio di sentimenti e di paure che la farebbe affondare in un attimo. E’ molto difficile essere sinceri, e a volte, può essere pericoloso.
Ritorna il cameriere con uno splendido branzino al forno e comincia a pulirlo. Intanto lo guardo e lui non si sveste mai del suo sorriso. Sembra stia eseguendo un’opera d’arte con quelle mani così leggere e capaci; poi passa a condirmi la verdura. Ora posso riprendere la cena. Mi fa un piccolo inchino e mi lascia al mio pasto.
Anche questo piatto è superbo e, masticando, riannodo i miei ricordi e i miei pensieri. Di questi non ne vado molto fiera. Ho fatto quello che mi ero ripromessa non sarebbe mai successo: ho avuto una storia con il grande capo. Ci sono cascata per ripicca. Volevo dimostrare che, se volevo, potevo anche andare con il capo, lui aveva scelto me, mi lusingava la sua preferenza, e ci sono stata.
E’ durata solo qualche mese, ma ho capito subito che è stato un errore. I miei colleghi lo hanno scoperto quasi subito e, la loro freddezza non ha fatto che aumentare.
Credevo di essere stata furba, di poter usare la situazione a mio vantaggio, invece ho solo ceduto il mio corpo in cambio di niente, anzi meno di niente, perché ho allontanato tutti loro ancora di più.  Naturalmente lui era sposato, aveva dei figli e poteva quasi essere mio padre. Ha usato il mio corpo, la nostra storia come era abituato a fare anche con altre ragazze. Quando abbiamo troncato è stata una liberazione. Che stupida sono stata!
Il branzino ha quasi perso il suo buon sapore. Questi ricordi mi lasciano l’amaro in bocca e vorrei poter cancellare quanto è successo ma non è possibile, e provo tanta vergogna.
Devo continuare a lavorare. Vorrei cambiare ambiente e lasciarmi tutto alle spalle ma non posso, se non lavoro non mi mantengo e non voglio tornare al paese da persona sconfitta. Allora mi metto la maschera dell’indifferenza e continuo come prima, non devo mostrare incertezze. Gli altri non devono sapere cosa nascondo anch’io dietro agli occhi.
Lascio il pesce a metà. Proprio non ce la faccio a mangiarlo. E’ come se ogni boccone avesse il sapore di quella storia di sesso che ho troncato, e non mi va più giù.
Come dal nulla riappare il cameriere che, con il suo bel sorriso stampato in viso mi riporta alla realtà e chiedo anche il dolce. Domani andrò in palestra a smaltire.
Il dolce è a forma di cuore e, prima di mangiarlo lo guardo. Quel cuore è come il mio, tenero e dolce. Lo assaggio soltanto e poi ci rinuncio.
Chiedo che il caffè mi venga servito al bar, dove un pianista canta canzoni d’amore, e mi siedo ad ascoltare. Altre coppie sono lì e si tengono teneramente la mano, o stanno vicini parlandosi d’amore.
Questo non è il mio posto, è troppo doloroso per me vedere queste coppie allacciate.
Pago il conto e lascio la mancia al cameriere. Almeno lui ha rispettato il mio silenzio e la mia solitudine.
Esco e mi accorgo che sta piovendo. Ci mancava solo questa!
I miei capelli messi in piega solo da alcune ore si lisciano bagnati dall’acqua. I tacchi alti e la gonna stretta non rendono agevole la mia corsa fino all’auto e ci arrivo tutta inzuppata.
Arrivo a casa ed entro. Nel mio “buco” vedo un messaggio in segreteria “buon compleanno, bambina”. I miei genitori si sono ricordati.
Mi metto una tuta comoda, un bicchiere di acqua, una rivista. E’ così che termino la giornata del mio compleanno: sola e triste. Mi dico “auguri Aurora, domani è un altro giorno”. Già, un altro giorno sperando che sia migliore e in fondo al cuore, dietro agli occhi, penso che al mio paese nessuno festeggia il compleanno da solo. Dove ho sbagliato? Ho tutta la vita davanti per capirlo ma, intanto il tempo, inesorabile se ne va.

                            Auguri Aurora e buona fortuna da tutti noi.


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