IL MANIERO ABBANDONATO
Elisabeth
arrivò sulla sua lucida moto, rombando in quel silenzio.
Il bosco era
fresco e gli alberi radi, il sentiero era ben visibile e non aveva dato
problemi al suo bolide. Era proprio curiosa. Fin da piccola aveva sentito i suoi
genitori parlare di quel posto ma se ne erano andati da anni e lei, era
cresciuta con quelle storie che aveva sentito raccontare. Erano passati
vent’anni giusti da quando aveva lasciato quel piccolo paese che ora era ancora
più piccolo e diroccato. Quasi tutti erano emigrati altrove e soltanto alcune
famiglie di vecchi e qualche animale erano rimaste a morire in quel luogo. Di
per sé era anche un bel posto, la natura era stata generosa di acque, boschi e
campi da coltivare ma, i racconti e la paura che ne era derivata aveva fatto
fuggire gli abitanti.
Ora
Elisabeth era una ragazza di 25 anni e non si faceva intimorire da nessuno. Era
una che sapeva combattere a mani nude e insegnava agli altri come fare, sapeva
usare un semplice bastone come arma da difesa e non era certo un manichino come
le sue coetanee. Era giunta l’ora di sfatare quelle storie che ancora sentiva
raccontare dalla nonna e da sua madre, suo padre lo aveva perso da anni ed era
un ricordo e un dolore che ancora le bruciava.
Si tolse il
casco e si guardò intorno mettendo la moto sul cavalletto. Sembrava che nulla
fosse cambiato ma, si sa i ricordi di una bambina di cinque anni possono essere
molto sfocati e ingannevoli.
Lui era ancora là. Il vecchio maniero abbandonato e
diroccato alzava la sua muraglia piena di buchi come a difendersi da visitatori
inopportuni ma, nessuno si recava mai là, gli ultimi abitanti di quel piccolo
borgo se ne restavano ben lontani.
Le mura
rimaste erano piene di erbacce e, come se ci fosse davvero qualcosa di magico il
varco per entrare all’interno era agevole anche se pieno di rovi.
Elisabeth
non aveva timore, non aveva più cinque anni e non si faceva di certo intimorire
da storie di fantasmi e ululati. Ma perché era voluta tornare? Cosa l’aveva
spinta?
Non l’aveva
mai confessato nemmeno a se stessa ma, un giorno, mentre era nel bosco con suo
fratello udì distintamente una voce sussurrare. Non lo disse mai a nessuno e
continuò a ribadire che erano tutte sciocchezze quelle che raccontava la gente
del posto. Ebbene, era venuto il momento di porre fine a quel dubbio, era stata
un’impressione o realtà?
I sassi
scricchiolavano sotto le suole dei suoi stivali mentre entrava da quel varco
che da piccola non aveva avuto il coraggio di oltrepassare.
Le fronde
degli alberi si mossero improvvise e lei alzò di scatto il viso. Era solo un
po’ di vento, dopo tutto! I suoi passi risuonavano come echi in quel silenzio e
si accorse, meravigliata che nessun canto di uccello si sentiva in quella tarda
mattina di giugno. Nessun volo, solo silenzio, talmente ovattato che perfino il
suo respiro sembrava fare rumore.
Certo la
sensazione era strana e le mani sudavano, ma erano solo per via dei guanti che
non si era ancora levati.
L’entrata
era proprio lì, davanti a lei. Una volta doveva esserci stato un portone ma ora
non c’erano più nemmeno i cardini. Pochi passi e sarebbe finalmente entrata,
avrebbe fatto un giro in quelle stanze spoglie e diroccate e se ne sarebbe
ritornata in città senza quel dubbio che l’assillava da anni.
Senza esitare
oltre entrò oltrepassando pezzi di muro caduto e sbriciolato e si ritrovò in
una piccola stanza vuota e sporca, illuminata da un’apertura che una volta
doveva essere una finestra. Rimase immobile, in ascolto, come se si aspettasse
qualcosa ma, non successe niente. Sorrise fra sé e si inoltrò fra quelle mura
che sembravano stare in piedi con lo sputo.
I suoi
stivali non erano certo per passi silenziosi ed era l’unico rumore che si
sentiva. Molto lentamente, osservando ogni singola pietra e ogni singolo anfratto
continuava la sua ispezione. Un vecchio camino quasi ridotto ad un ammasso di
pietre attirò la sua attenzione e si fermò ad osservarlo. Tutta la stanza era
ampia e il pavimento aveva ancora tracce di cotto ricoperto da escrementi e di
polvere, foglie annerite portate dal vento e ragnatele sull’alto soffitto. Le
sembrò perfino di percepire il crepitio delle fiamme e una folata improvvisa le
scompigliò i lunghi capelli. Cos’era stato? Una ciocca le era ricaduta sugli
occhi e se la spostò velocemente. Ruotò su se stessa senza staccare i piedi dal
pavimento scrutando ogni angolo. Da dove si trovava poteva osservare tutta la
stanza anche se la luce era fioca, soltanto un angolo rimaneva nell’ombra e fu
là che il suo sguardo andò a fermarsi. Le era parso di vedere qualcosa, anche
se non sapeva che cosa. Il suo sguardo si posò sul pavimento e quello che vide
la lasciò senza fiato: alcune orme di stivali o scarponi erano comparsi come
dal nulla, era certa che fino a poco prima non ci fossero.
Sgranò gli
occhi e scrutò in ogni angolo di quello stanzone. Si avvicinò al camino e
poggiò una mano, una gragnola di pietre cadde sul pavimento facendo un fracasso
che rimbombò in quel silenzio ovattato. Per un attimo si spaventò, la polvere
aveva ricoperto i suoi lucidi stivali e la sua tuta da motociclista era
ricoperta di pulviscolo. Si spazzolò con le mani e distolse lo sguardo dalla
stanza, fu solo per un attimo e sentì
una gelida mano posarsi su di lei. Si
guardò intorno ma non vide nessuno, poi, quando la polvere si era tutta
depositata rimase a fissare le impronte di due piccoli piedi nudi, spiccavano
come un dipinto vicino a quel che rimaneva (ormai davvero molto poco) di
quell’antico camino. Nell’angolo opposto, la polvere aveva sfocato le impronte
che aveva visto prima, ma ancora c’erano come un sigillo che non può essere
tolto.
Un soffio
caldo come di sospiro le solleticò il collo sotto i lunghi capelli. D’istinto vi
pose la mano e di nuovo sentì quel gelido contatto. Cosa cavolo stava
succedendo? Aveva le allucinazioni? Un
bisbiglio talmente leggero che le parve di averlo solo pensato quanto tempo ci hai messo a tornare! No!
Non poteva essere vero. Lei non credeva ai fantasmi. Ne sei proprio sicura? Lentamente si avvicinò alla finestra che era
ricoperta di ragnatele e foglie morte. Lasciò vagare il suo sguardo su quelle
piante e quegli alberi che da anni circondavano il maniero e ripensò alle
storia, o alla leggenda che avvolgeva quel posto, l’aveva sentita talmente
tante volte e non ci aveva mai creduto.
C’era un tempo, raccontava sua nonna, che quel posto era abitato soltanto da
ricche famiglie. Il maniero era la residenza di un nobile solitario e burbero
che non amava la vita di società. Si vociferava che fosse nato deforme e che
sul viso portasse una maschera che usava le poche volte che usciva dalla sua
residenza. Aveva tutta la servitù che desiderava, lavoranti, era un uomo
ricchissimo ma molto solo. Un giorno decise di indire un bando per trovare
moglie, anche lui, dopotutto era un uomo e anelava all’amore come ogni altro
essere umano. Descrisse la donna che voleva: giovane e cieca. Nonostante fosse
considerato eccentrico questa richiesta superò ogni aspettativa e nessuna
ragazza del posto e dei dintorni aveva i requisiti richiesti. Un giorno, la
giovane figlia del mugnaio, mentre pascolava le sue oche si accorse di essere
osservata e, alzando lo sguardo lo vide. Era davvero imponente, un fisico
asciutto e il viso ricoperto dalla maschera. Capì subito di chi si trattava e
se ne innamorò all’istante. Gli andò incontro e gli fece un inchino, gli disse
che sarebbe stata sua moglie se lui l’avesse voluta. L’uomo non aveva bisogno
di indugi, quella ragazza era davvero bella. Le disse che l’avrebbe sposata e
portata nel suo maniero se solo fosse stata cieca, lui aveva giurato che mai
nessuno lo avrebbe visto in viso. La ragazza rimase delusa e cercò di
convincerlo che per lei non faceva differenza, che lo avrebbe amato lo stesso,
ma lui fu irremovibile. La ragazza tornò a casa e raccontò l’accaduto ai suoi
genitori e disse loro che sarebbe ritornata da lui perché sentiva un forte
sentimento che non riusciva a trattenere. Il giorno dopo andò al maniero e
chiese di essere ricevuta dal padrone. Si presentò a lui e gli consegnò uno
stiletto d’argento chiedendogli di essere accecata per poter coronare il suo
songo e poterlo sposare. Mai più nessuno la rivide.
Questa era
la storia che si raccontava. Come si faceva a credere ad una favola come
questa? Non c’era niente di vero! Non poteva esserci! Erano fiorite talmente
tante storie che orami se ne erano perse le origini ma, quella che più di tutte
resisteva era che in quel maniero la ragazza fu davvero accecata da quello che
poi divenne suo marito, ebbero dei figli e alla fine lei lo maledisse perché
per colpa della sua testardaggine non aveva mai potuto vedere i suoi figli. La
maledizione ancora esisteva e i vecchi raccontavano tutt’ora che se una donna
si avvicina a quel posto avrebbe partorito bambini ciechi, per questo nessuno
più si avvicinava.
Ripensando a
tutte queste storie le sembrò di ritornare indietro nel tempo, quando con suo
fratello si inoltrava nel bosco sempre stando ben lontani da quel posto
diroccato. Ritornò verso quello che rimaneva del vecchio camino, alcune pietre
avevano lasciato una breccia nel muro e pensò che ci sarebbe voluto davvero
poco prima che quel posto crollasse del tutto e, forse era meglio se usciva in
fretta da lì prima di rimanerci sotto.
Non puoi andartene così! Ancora quel sussurro, ma cos’era
quel bisbiglio? L’ho tenuto per te, lo
devi prendere! E un gelido contatto le scostò i capelli dalla fronte.
Adesso la ragazza cominciava ad essere seriamente agitata. Prima di tutto non
capiva perché era voluta tornare lì, e poi cosa diavolo erano quelle voci che le sembrava di sentire?
Decise di
non dare ascolto al suo cuore che aveva cominciato ad aumentare i battiti e
uscì da quello stanzone per visitare le altre stanze e tornarsene in città.
Dopo tutto non aveva fatto quel lungo viaggio per scappare come una femminuccia
qualsiasi.
Oltrepassò
un varco e si ritrovò in un altro stanzone dove il tetto era quasi crollato del
tutto e la luce del sole e l’ombra dei rami mossi dalla brezza sembrano danzare
come macabri scheletri. Si guardò intorno per cercare di capire a cosa fosse
adibita quella stanza ormai decrepita e pericolosamente scricchiolante. Questa è la stanza dei gemelli, i miei
figli! oddio! Ancora quei bisbigli. Un lieve tocco gelido si posò sul
braccio e fu come essere trascinata. La ragazza, con la sua tuta color oro,
seguì quel tocco lieve e vide un’ombra
attraversare il muro e oltrepassarlo. Devo avere le allucinazioni, pensò! Con
una certa esitazione posò la mano guantata contro la parete che quell’ombra
aveva oltrepassato e altri calcinacci e pietre caddero rumorosamente ai suoi
piedi. Si scostò per non essere investita da tutta quella sporcizia.
Eccoli!
Si abbassò
per guardare in mezzo a quei sassi e li vide: due splendidi smeraldi spiccavano
in mezzo alla polvere. Aveva quasi timore a toccarli.
Prendili, sono i miei occhi. Occhi
che non hanno mai visto il mondo, te li dono perché tu li porti con te. Non
esiste nessuna maledizione, io ho amato immensamente mio marito e i miei figli
ma non ho mai visto nulla, ora tu potrai esaudire il mio ultimo desiderio,
quello di poter vedere il mondo, così che potrò lasciare, finalmente questo
luogo e raggiungere i miei cari.
La ragazza
guardava le pietre verdazzurre senza credere a ciò che vedeva. Un leggero
soffio sui capelli fu il saluto che le lasciò il fantasma del maniero prima di
raggiungere suo marito. Raccolse le due pietre e le infilò nel taschino del
giubbotto di pelle e uscì. Ripassando nella grande stanza del camino si accorse
che le orme erano tutte sparite, che gli uccelli cantavano al sole e la brezza
faceva danzare le foglie.
Raggiunse la
sua moto e l’avviò togliendola dal cavalletto. Devo essere pazza, pensò, ma le
due pietre nel taschino che le pungevano il seno erano lì a dimostrare che i
fantasmi esistono davvero.
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