mercoledì 22 agosto 2018

IL MANIERO ABBANDONATO


IL MANIERO ABBANDONATO
Elisabeth arrivò sulla sua lucida moto, rombando in quel silenzio.
Il bosco era fresco e gli alberi radi, il sentiero era ben visibile e non aveva dato problemi al suo bolide. Era proprio curiosa. Fin da piccola aveva sentito i suoi genitori parlare di quel posto ma se ne erano andati da anni e lei, era cresciuta con quelle storie che aveva sentito raccontare. Erano passati vent’anni giusti da quando aveva lasciato quel piccolo paese che ora era ancora più piccolo e diroccato. Quasi tutti erano emigrati altrove e soltanto alcune famiglie di vecchi e qualche animale erano rimaste a morire in quel luogo. Di per sé era anche un bel posto, la natura era stata generosa di acque, boschi e campi da coltivare ma, i racconti e la paura che ne era derivata aveva fatto fuggire gli abitanti.
Ora Elisabeth era una ragazza di 25 anni e non si faceva intimorire da nessuno. Era una che sapeva combattere a mani nude e insegnava agli altri come fare, sapeva usare un semplice bastone come arma da difesa e non era certo un manichino come le sue coetanee. Era giunta l’ora di sfatare quelle storie che ancora sentiva raccontare dalla nonna e da sua madre, suo padre lo aveva perso da anni ed era un ricordo e un dolore che ancora le bruciava.
Si tolse il casco e si guardò intorno mettendo la moto sul cavalletto. Sembrava che nulla fosse cambiato ma, si sa i ricordi di una bambina di cinque anni possono essere molto sfocati e ingannevoli.
Lui era ancora là. Il vecchio maniero abbandonato e diroccato alzava la sua muraglia piena di buchi come a difendersi da visitatori inopportuni ma, nessuno si recava mai là, gli ultimi abitanti di quel piccolo borgo se ne restavano ben lontani.
Le mura rimaste erano piene di erbacce e, come se ci fosse davvero qualcosa di magico il varco per entrare all’interno era agevole anche se pieno di rovi.
Elisabeth non aveva timore, non aveva più cinque anni e non si faceva di certo intimorire da storie di fantasmi e ululati. Ma perché era voluta tornare? Cosa l’aveva spinta?
Non l’aveva mai confessato nemmeno a se stessa ma, un giorno, mentre era nel bosco con suo fratello udì distintamente una voce sussurrare. Non lo disse mai a nessuno e continuò a ribadire che erano tutte sciocchezze quelle che raccontava la gente del posto. Ebbene, era venuto il momento di porre fine a quel dubbio, era stata un’impressione o realtà?
I sassi scricchiolavano sotto le suole dei suoi stivali mentre entrava da quel varco che da piccola non aveva avuto il coraggio di oltrepassare.
Le fronde degli alberi si mossero improvvise e lei alzò di scatto il viso. Era solo un po’ di vento, dopo tutto! I suoi passi risuonavano come echi in quel silenzio e si accorse, meravigliata che nessun canto di uccello si sentiva in quella tarda mattina di giugno. Nessun volo, solo silenzio, talmente ovattato che perfino il suo respiro sembrava fare rumore.
Certo la sensazione era strana e le mani sudavano, ma erano solo per via dei guanti che non si era ancora levati.
L’entrata era proprio lì, davanti a lei. Una volta doveva esserci stato un portone ma ora non c’erano più nemmeno i cardini. Pochi passi e sarebbe finalmente entrata, avrebbe fatto un giro in quelle stanze spoglie e diroccate e se ne sarebbe ritornata in città senza quel dubbio che l’assillava da anni.
Senza esitare oltre entrò oltrepassando pezzi di muro caduto e sbriciolato e si ritrovò in una piccola stanza vuota e sporca, illuminata da un’apertura che una volta doveva essere una finestra. Rimase immobile, in ascolto, come se si aspettasse qualcosa ma, non successe niente. Sorrise fra sé e si inoltrò fra quelle mura che sembravano stare in piedi con lo sputo.
I suoi stivali non erano certo per passi silenziosi ed era l’unico rumore che si sentiva. Molto lentamente, osservando ogni singola pietra e ogni singolo anfratto continuava la sua ispezione. Un vecchio camino quasi ridotto ad un ammasso di pietre attirò la sua attenzione e si fermò ad osservarlo. Tutta la stanza era ampia e il pavimento aveva ancora tracce di cotto ricoperto da escrementi e di polvere, foglie annerite portate dal vento e ragnatele sull’alto soffitto. Le sembrò perfino di percepire il crepitio delle fiamme e una folata improvvisa le scompigliò i lunghi capelli. Cos’era stato? Una ciocca le era ricaduta sugli occhi e se la spostò velocemente. Ruotò su se stessa senza staccare i piedi dal pavimento scrutando ogni angolo. Da dove si trovava poteva osservare tutta la stanza anche se la luce era fioca, soltanto un angolo rimaneva nell’ombra e fu là che il suo sguardo andò a fermarsi. Le era parso di vedere qualcosa, anche se non sapeva che cosa. Il suo sguardo si posò sul pavimento e quello che vide la lasciò senza fiato: alcune orme di stivali o scarponi erano comparsi come dal nulla, era certa che fino a poco prima non ci fossero.
Sgranò gli occhi e scrutò in ogni angolo di quello stanzone. Si avvicinò al camino e poggiò una mano, una gragnola di pietre cadde sul pavimento facendo un fracasso che rimbombò in quel silenzio ovattato. Per un attimo si spaventò, la polvere aveva ricoperto i suoi lucidi stivali e la sua tuta da motociclista era ricoperta di pulviscolo. Si spazzolò con le mani e distolse lo sguardo dalla stanza, fu solo per un attimo e sentì una gelida mano posarsi su di lei.  Si guardò intorno ma non vide nessuno, poi, quando la polvere si era tutta depositata rimase a fissare le impronte di due piccoli piedi nudi, spiccavano come un dipinto vicino a quel che rimaneva (ormai davvero molto poco) di quell’antico camino. Nell’angolo opposto, la polvere aveva sfocato le impronte che aveva visto prima, ma ancora c’erano come un sigillo che non può essere tolto.
Un soffio caldo come di sospiro le solleticò il collo sotto i lunghi capelli. D’istinto vi pose la mano e di nuovo sentì quel gelido contatto. Cosa cavolo stava succedendo? Aveva le allucinazioni?  Un bisbiglio talmente leggero che le parve di averlo solo pensato quanto tempo ci hai messo a tornare! No! Non poteva essere vero. Lei non credeva ai fantasmi. Ne sei proprio sicura? Lentamente si avvicinò alla finestra che era ricoperta di ragnatele e foglie morte. Lasciò vagare il suo sguardo su quelle piante e quegli alberi che da anni circondavano il maniero e ripensò alle storia, o alla leggenda che avvolgeva quel posto, l’aveva sentita talmente tante volte e non ci aveva mai creduto.
C’era un tempo, raccontava sua nonna, che quel posto era abitato soltanto da ricche famiglie. Il maniero era la residenza di un nobile solitario e burbero che non amava la vita di società. Si vociferava che fosse nato deforme e che sul viso portasse una maschera che usava le poche volte che usciva dalla sua residenza. Aveva tutta la servitù che desiderava, lavoranti, era un uomo ricchissimo ma molto solo. Un giorno decise di indire un bando per trovare moglie, anche lui, dopotutto era un uomo e anelava all’amore come ogni altro essere umano. Descrisse la donna che voleva: giovane e cieca. Nonostante fosse considerato eccentrico questa richiesta superò ogni aspettativa e nessuna ragazza del posto e dei dintorni aveva i requisiti richiesti. Un giorno, la giovane figlia del mugnaio, mentre pascolava le sue oche si accorse di essere osservata e, alzando lo sguardo lo vide. Era davvero imponente, un fisico asciutto e il viso ricoperto dalla maschera. Capì subito di chi si trattava e se ne innamorò all’istante. Gli andò incontro e gli fece un inchino, gli disse che sarebbe stata sua moglie se lui l’avesse voluta. L’uomo non aveva bisogno di indugi, quella ragazza era davvero bella. Le disse che l’avrebbe sposata e portata nel suo maniero se solo fosse stata cieca, lui aveva giurato che mai nessuno lo avrebbe visto in viso. La ragazza rimase delusa e cercò di convincerlo che per lei non faceva differenza, che lo avrebbe amato lo stesso, ma lui fu irremovibile. La ragazza tornò a casa e raccontò l’accaduto ai suoi genitori e disse loro che sarebbe ritornata da lui perché sentiva un forte sentimento che non riusciva a trattenere. Il giorno dopo andò al maniero e chiese di essere ricevuta dal padrone. Si presentò a lui e gli consegnò uno stiletto d’argento chiedendogli di essere accecata per poter coronare il suo songo e poterlo sposare. Mai più nessuno la rivide.
Questa era la storia che si raccontava. Come si faceva a credere ad una favola come questa? Non c’era niente di vero! Non poteva esserci! Erano fiorite talmente tante storie che orami se ne erano perse le origini ma, quella che più di tutte resisteva era che in quel maniero la ragazza fu davvero accecata da quello che poi divenne suo marito, ebbero dei figli e alla fine lei lo maledisse perché per colpa della sua testardaggine non aveva mai potuto vedere i suoi figli. La maledizione ancora esisteva e i vecchi raccontavano tutt’ora che se una donna si avvicina a quel posto avrebbe partorito bambini ciechi, per questo nessuno più si avvicinava.
Ripensando a tutte queste storie le sembrò di ritornare indietro nel tempo, quando con suo fratello si inoltrava nel bosco sempre stando ben lontani da quel posto diroccato. Ritornò verso quello che rimaneva del vecchio camino, alcune pietre avevano lasciato una breccia nel muro e pensò che ci sarebbe voluto davvero poco prima che quel posto crollasse del tutto e, forse era meglio se usciva in fretta da lì prima di rimanerci sotto.
Non puoi andartene così! Ancora quel sussurro, ma cos’era quel bisbiglio? L’ho tenuto per te, lo devi prendere! E un gelido contatto le scostò i capelli dalla fronte. Adesso la ragazza cominciava ad essere seriamente agitata. Prima di tutto non capiva perché era voluta tornare lì, e poi cosa diavolo erano quelle voci che le sembrava di sentire?
Decise di non dare ascolto al suo cuore che aveva cominciato ad aumentare i battiti e uscì da quello stanzone per visitare le altre stanze e tornarsene in città. Dopo tutto non aveva fatto quel lungo viaggio per scappare come una femminuccia qualsiasi.
Oltrepassò un varco e si ritrovò in un altro stanzone dove il tetto era quasi crollato del tutto e la luce del sole e l’ombra dei rami mossi dalla brezza sembrano danzare come macabri scheletri. Si guardò intorno per cercare di capire a cosa fosse adibita quella stanza ormai decrepita e pericolosamente scricchiolante. Questa è la stanza dei gemelli, i miei figli! oddio! Ancora quei bisbigli. Un lieve tocco gelido si posò sul braccio e fu come essere trascinata. La ragazza, con la sua tuta color oro, seguì quel tocco lieve e vide un’ombra attraversare il muro e oltrepassarlo. Devo avere le allucinazioni, pensò! Con una certa esitazione posò la mano guantata contro la parete che quell’ombra aveva oltrepassato e altri calcinacci e pietre caddero rumorosamente ai suoi piedi. Si scostò per non essere investita da tutta quella sporcizia.
Eccoli!
Si abbassò per guardare in mezzo a quei sassi e li vide: due splendidi smeraldi spiccavano in mezzo alla polvere. Aveva quasi timore a toccarli.
Prendili, sono i miei occhi. Occhi che non hanno mai visto il mondo, te li dono perché tu li porti con te. Non esiste nessuna maledizione, io ho amato immensamente mio marito e i miei figli ma non ho mai visto nulla, ora tu potrai esaudire il mio ultimo desiderio, quello di poter vedere il mondo, così che potrò lasciare, finalmente questo luogo e raggiungere i miei cari.
La ragazza guardava le pietre verdazzurre senza credere a ciò che vedeva. Un leggero soffio sui capelli fu il saluto che le lasciò il fantasma del maniero prima di raggiungere suo marito. Raccolse le due pietre e le infilò nel taschino del giubbotto di pelle e uscì. Ripassando nella grande stanza del camino si accorse che le orme erano tutte sparite, che gli uccelli cantavano al sole e la brezza faceva danzare le foglie.
Raggiunse la sua moto e l’avviò togliendola dal cavalletto. Devo essere pazza, pensò, ma le due pietre nel taschino che le pungevano il seno erano lì a dimostrare che i fantasmi esistono davvero.





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