KATRIN, LA SUA STORIA
parte cinquantatre
Robin
osservava la ragazza. Che le ha detto,
miss Katrin. Le chiese osservando il suo sguardo assorto. Non ho capito cosa sia successo ma quello
che mi ha detto è stata una dichiarazione di guerra, non so cosa aspettarmi;
non sono più una bambina che può gestire come vuole, ma era davvero
determinato. Gli rispose.
Aumenterò la sorveglianza, forse so
cosa è successo, ma lei, miss Katrin non ne ha mai voluto sapere niente. Le ricordò. E non lo voglio nemmeno ora. Gli rispose piccata.
Ripresero il
loro allenamento anche se l’umore non era lo stesso.
Passarono un
paio di giorni senza che nulla accadesse. Robin e altre guardie facevano la
sorveglianza a Katrin ma tutto era tranquillo.
La prima
settimana di aprile era passata con un’alta tensione in tutto il castello. Era
molto tardi quando Susan e Cristofer sentirono bussare alla loro porta. Furono
molto stupiti di vedere lord Semple essere lì senza che nessuno li avesse
avvisati. Il lord chiuse la porta dietro di sé. Soltanto una candela
rischiarava la stanza e i due si avvidero dello sguardo malefico del loro
padrone e si spaventarono. Susan si strinse le mani cercando di non farle
tremare, in attesa di scoprire cosa volesse il suo ex marito.
Ho una proposta da farvi. Disse loro, e rimase parecchio tempo
a discutere dei dettagli.
Era notte
fonda quando tornò nella sua camera. Quattro individui incappucciati lo stavano
aspettando. Fate quello che vi ho
ordinato. Disse soltanto.
La porta
della camera di Katrin era chiusa, uno schianto la svegliò ed era pronta a
difendersi ma erano in troppi e la imbavagliarono, la incappucciarono in
pochissimi istanti. Uno se la caricò in spalla e uscirono velocemente.
La ragazza
si dibatteva ma un pugno ben assestato le tolse i sensi. Era già giorno quando
si svegliò, con il viso tumefatto e le ossa doloranti. Si guardò in giro e
riconobbe il posto, ci era già stata: la prigione nella torre. Cosa voleva
stavolta quel verme che chiamava padre? Cercò di alzarsi, si sistemò i capelli
come poteva e rimase in attesa.
Non dovette
attendere a lungo. Il catenaccio all’esterno della porta venne tolto ed entrò
suo padre.
Lei era
seduta sul pagliericcio e lui prese posto sulla sedia sgangherata, proprio di
fronte a lei.
Passò alcuni
lungi attimi ad osservarla, cercando di leggerle i pensieri, ma non ci riuscì
nemmeno questa volta, e la cosa lo alterò maggiormente.
Poi si
decise a parlare. Tuo nonno ha cercato di
imbrogliarmi, ma io l’ho scoperto in tempo. Tu sei una ragazza fortunata e
dannatamente ricca ed io sono tuo padre. Le disse. Katrin rimaneva in
silenzio anche se avrebbe voluto ribattere.
Presto compirai sedici anni e prima
di allora tu sposerai sir Cristofer. Le disse avvicinando il suo viso a quello della ragazza.
Lo sai che non lo farò, padre. Gli rispose.
L’uomo non
si scompose. Questa volta nessuno verrà a
portarti né cibo né acqua, quando sarai pronta ad accettare batti contro la
porta e verrò avvisato. Le disse.
E se non lo facessi? Volle sapere lei.
Allora morirai qui dentro e nessuno
lo scoprirà mai. Per me non fa nessuna differenza. Si alzò e uscì senza aggiungere
altro.
Katrin si
alzò e cercò di sgranchirsi un po’ le gambe. Cercava di radunare i pensieri,
sapeva di poter resistere solo per pochi giorni in quella situazione, ma non
avrebbe ceduto fino all’ultimo. Elaborava piani su piani, come le avevano
insegnato sia Alfred che Robin ma c’era ben poco che potesse fare senza
conoscere almeno qualche dettaglio.
Il primo
giorno passò lentamente, come pure la notte. E anche il giorno successivo.
Cominciava a soffrire la sete e il secchio era colmo, presto avrebbe dovuto
decidere cosa fare, ma non ora, non oggi.
Passarono
quattro giorni e nessuno era venuto da lei, proprio come suo padre le aveva
promesso. Aveva le labbra screpolate e lo stomaco talmente vuoto che sembrava
di aver messo le ali talmente era leggera.
Era il
quarto giorno di prigionia e lei non demordeva. Sentì dei passi e il catenaccio
aprirsi. Era seduta sul pagliericcio quando Cristofer entrò. Rimase in piedi di
fronte a lei. Sei messa piuttosto male,
mia cara. Non importa, presto sarai mia moglie e tornerai ad essere bellissima.
Si abbassò e mise il suo viso ad altezza di quello della ragazza. Non vedo l’ora di averti nel mio letto,
puttanella che non sei altro, ti farò abbassare le ali e ti sottometterai a tuo
marito, che tu lo voglia o no, sarò io il tuo padrone e tu la mia schiava. Le
soffiò in faccia. Questa è una promessa. Aggiunse.
Anch’io te ne ho fatto una, spero che
tu la ricordi. Gli
rispose soltanto.
Per un
attimo lo sguardo dell’uomo si adombrò. Ci
vediamo, mia cara, abbi cura di te. Aggiunse beffardo.
La porta si
richiuse e lei rimase a guardare le sbarre della piccola finestra.
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