KATRIN, LA SUA STORIA
parte cinquantadue
Nessuno al
castello aveva fatto domande o supposizioni su quanto accaduto. Il loro lord
aveva dato spiegazioni e, anche se tutti si facevano domande, nessuno ebbe il
coraggio di esprimerle ad alta voce.
Marzo
trascorreva in attesa della primavera, faceva ancora piuttosto freddo. Era
quasi finito il mese, era sera e missis Susan e suo figlio erano nella loro
camera. Nel camino un solo ceppo di legna. La donna si stava passando una pezza
umida sul viso, era stanca e suo figlio lo era ancora di più.
Cosa faremo quando saremo costretti
ad andarcene? Le
chiese il ragazzo. Lei alzò lo sguardo su quel figlio che amava in modo totale.
Sapeva bene che era solo colpa sua. Aveva fatto tutto quello che poteva per
rimediare al suo vizio, ma proprio non riusciva ad avercela con lui, nemmeno in
quel frangente. Sono sicura che qualcosa
troveremo. Gli rispose con voce stanca. Cristofer conteneva a mala pena
tutta la rabbia e il risentimento che covava verso lord Semple, e non gli
perdonava quello che gli stava facendo. La
pagherà, madre, te lo prometto. Le disse mentre si sedeva a consumare il
poco cibo che si erano portati in camera.
Aprile si
presentò con aria profumata. Nel cortile gli allenamenti avevano ripreso il
ritmo consueto.
Katrin e
Robin stavano provando un nuovo metodo di tiro con l’arco, avevano leggermente
modificato le frecce e si stavano allenando al loro uso.
Presto la
ragazza avrebbe compiuto sedici anni e suo padre si stava dando da fare per
trovarle un corteggiatore adatto, anche se lei non ne voleva sapere.
Lord Semple
aspettava con ansia di ricevere i dieci lingotti d’oro e nel frattempo aveva
mandato a Susan il messaggio di sfratto. Dovevano andarsene entro il mese con
il carro che portava rifornimenti. Aveva ricominciato a bere ancora più di
prima, era l’unico modo per tenere a bada la rabbia e la vergogna che aveva
subìto.
Era nel suo
studio e stava leggendo i vari fogli del contratto firmato con suo suocero.
Aveva la mente appannata dal vino ma spalancò gli occhi quando capitò al
paragrafo dei sedici anni di Katrin. Due righe che gli erano sfuggite, anche se
non se ne capacitava, così recitavano: “al
compimento del sedicesimo anno di Katrin Semple, la gestione dei beni che le
derivano dalla famiglia materna passano a sir Donald Sheppard, suo tutore fino
al compimento del ventunesimo anno di età o al suo matrimonio.” Lord Semple
strabuzzò gli occhi. Che storia era mai quella? Eppure il tutto riportava la
sua firma in calce. Continuò a leggere senza trovare altre discordanze fino a
che giunse alla penultima pagina. “Lord
Richard Semple consegnerà a lord Liam Sheppard i registri delle proprietà
gestite come tutore della figlia.” Poche semplici parole che gli fecero
perdere quasi i sensi. Cosa significavano? Controllò di nuovo la firma ma era
indubbio che quella posta in calce fosse proprio la sua. Battè il pugno sul
tavolo, se aveva inteso correttamente lui era privato di qualsiasi potere sul
patrimonio di sua figlia, inoltre non gli sarebbero stati consegnati nemmeno i
dieci lingotti. Tutto quello che gestiva come suo attuale tutore e del quale
beneficiava dei guadagni era finito e ne doveva dare conto a suo suocero.
Appoggiò la
schiena alla poltrona in cerca del respiro che gli stava mancando. Come era
potuto succedere? Era chiaro che era stato imbrogliato, non era uno sprovveduto
e sapeva bene che quei documenti erano assolutamente legali e che una copia
uguale era in possesso di suo suocero. Maledetto lord Sheppard, come aveva
potuto? Come aveva fatto ad arrivare ai suoi documenti visto che nessuno ne era
a conoscenza? Non ne aveva mai parlato con nessuno, nemmeno a Miriam che li
custodiva per lui. Quella donna era sparita ma non sapeva leggere e non poteva
avere nessun coinvolgimento. Anche sua figlia era all’oscuro di quel contratto.
Proprio non si capacitava di come era potuto succedere, era sicuro che in
origine non c’erano quei paragrafi.
Cercò di
recuperare una parvenza di calma. Maledisse sua moglie e il sacrificio che gli
era costato a sposarla, la maledisse per non avergli dato figli suoi, maledisse
quella figlia di nessuno che si ritrovava in possesso di un enorme patrimonio
senza nessun merito. E lui, lui che aveva sopportato quegli anni, che si era
comportato come si addice ad un lord, che aveva mantenuto una dignità
onorabile, ora si ritrovava allo stesso punto di partenza: non aveva ottenuto
niente, aveva perso anche i lingotti d’oro. Si alzò e maledisse di nuovo tutta
la famiglia Sheppard, compresa sua figlia.
Uscì come un
lampo dal suo studio, avrebbe voluto strangolare quella figlia di nessuno,
doveva trovare il modo di fargliela pagare a quei maledetti.
In cortile
Katrin si stava allenando alla lotta col coltello quando suo padre la chiamò
con tono imperioso.
La ragazza,
sudata e spettinata lo raggiunse. Guardò quel viso sconvolto e capì che doveva
essere successo qualcosa di grave. Cosa
c’è, padre? Gli chiese educatamente. I fumi dell’alcol non l’avevano ancora
abbandonato del tutto. Sguainò la spada e gliela puntò alla gola. Lei non si
aspettava un simile gesto e rimase immobile col pugnale in mano. Che tu sia maledetta. Le disse senza che
nessun altro sentisse.
Lei non si
scompose, gli afferrò il polso che impugnava l’arma e glielo torse con forza. Che ti prende, padre? Non riconosci più
nemmeno tua figlia? Gli sussurrò sarcasticamente. Sono lady Katrin Semple. Gli ribadì non staccandogli lo sguardo
dagli occhi.
Tu non sei mia figlia, tu non sei
nessuno. Le rispose
sottovoce. Era una minaccia e lei lo sapeva bene. lo guardò allontanarsi
barcollante mentre Robin la raggiungeva.
immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti
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