KATRIN, LA SUA STORIA
parte cinquantaquattro
Era riuscita
a mantenersi calma, cercò di pensare ad una via d’uscita. Poteva fare finta di
accettare e poi cercare di fuggire, ma conosceva suo padre ed era sicura che
aveva pensato ad ogni cosa e, una volta sposata non avrebbe più avuto voce in
capitolo su niente, era il marito che prendeva in mano tutta la situazione e
non era facile liberarsi.
Swuisss. Una freccia passò con un lancio
perfetto fra le sbarre della finestra.
Swuisss.
Un’altra freccia cadde sul pavimento. Aveva una lunga corda legata. Avvolse la
corda e vide una borraccia di acqua, era piccola ma l’avrebbe fatta bastare.
Bevve avidamente e si sentì ristorata. Ributtò tutto di sotto.
Raccolse la
prima freccia e lesse il biglietto che vi era attaccato. Si faccia trovare pronta quando si sarà fatto buio. R.
Il suo cuore
cominciò a correre, ancora poche ore e poi avrebbe ritrovato la libertà. Era
debole ma ce l’avrebbe fatta. Non sapeva cosa spettarsi ma sarebbe stata pronta
per ogni evenienza. Si rimise seduta e aspettò, contando i minuti.
Il buio era
calato già da un po’ ma non era ancora successo niente. Aveva i nervi a fior di
pelle e i sensi in allerta. Sentì subito il rumore fuori vicino alla
finestrella.
Sono io, miss Katrin. La voce era bassa ma lei riconobbe
Robin. Il soldato penzolava legato ad una corda calata dall’alto. Spero sia abbastanza agile da arrivare fin
qui e sottile da passarci. Le disse mentre lavorava con un attrezzo alla
base delle sbarre. Sarà un lavoro lungo,
spero di farcela prima dell’alba o dovremo riprendere domani notte. Le
disse buttando all’interno un involucro con pane e formaggio e un’altra piccola
borraccia d’acqua.
Lei mangiò e
bevve avidamente. Doveva trattenersi o il suo stomaco avrebbe rigettato tutto.
Sentiva Robin lavorare. Prenda la sbarra
senza far rumore. Le disse lanciandole la prima che aveva divelto. Ce
n’erano sei e non era facile lavorare penzolando. Arrivò la seconda, poi mano a
mano le altre. Non era troppo difficile, non erano state progettate per
imprigionare, non era previsto che qualcuno avesse potuto arrivarci né
dall’interno né dall’esterno.
Ora la
piccola finestra era libera dalle sbarre. Robin lanciò la corda alla ragazza. Deve legarla come le ho insegnato, mi dica
quando è pronta e l’aiuterò a issarsi fin qui. Le ordinò. Ci vollero solo
pochi minuti. Sono pronta. Il soldato
tirò la fune, anche se Katrin era sottile aveva comunque le braccia stanche
dopo aver lavorato alle sbarre, ma non era il momento di desistere.
Katrin uscì
dalla finestra, per fortuna era buio o il baratro che aveva di sotto l’avrebbe
spaventata.
Ora la faccio salire, poi salirò io.
Vada tranquilla si può fidare, lassù c’è Alfred che l’aspetta. Le disse per tranquillizzarla.
Non fu
agevole raggiungere la sommità della torre e non c’era tempo da perdere, presto
sarebbe spuntata l’alba e loro avevano bisogno del buio.
Aspettarono
di riprendere fiato. Come scendiamo da
qui? Chiese loro. I due uomini si scambiarono uno sguardo. Dovrà avere fiducia in noi, scenderemo come
siamo saliti, ma sarà più agevole della dura salita. Le risposero.
Controllarono
i nodi delle corde e iniziarono a scendere appoggiati alla nuda parete della
torre. Katrin era fra loro, non si lamentò nemmeno quando sentì le mani
sanguinare o le braccia che non riuscivano quasi più a sostenerla. Era della sua
vita, della sua libertà che si trattava e non avrebbe mollato nemmeno di un
millimetro.
La discesa
sembrava non finire mai. Mancava poco all’alba quando, sfiniti si lasciarono
cadere sull’erba. Robin e Alfred si ripresero subito e si liberarono dalle corde,
lasciando qualche minuto in più alla ragazza.
Raggiunsero
i cavalli. Fu sorpresa di vedere solo due cavalli. Io non posso venire. Disse Robin. Ma la raggiungerò presto. Ora
andate. Aggiunse.
Non persero
altro tempo e si allontanarono dal castello. Ci vollero più di quattro ore
prima di arrivare da lord Sheppard. Raggiunsero le stalle e lasciarono i
cavalli. Katrin svenne fra le braccia di Alfred che la prese al volo prima che
cadesse a terra, sfinita.
La teneva
fra le braccia, leggera e bellissima nonostante fosse sporca da far spavento.
Quella giovane donna non aveva fatto un lamento, nemmeno dopo quello che aveva
passato. Aveva sempre provato affetto per quella ragazzina, ammirava il suo
coraggio, il suo carattere e non lo aveva mai deluso.
Raggiunse l’entrata
del castello e lei non si era ancora svegliata. Il soldato la portò nella
stanza che le era stata assegnata e la lasciò nelle mani amorevoli di Sara.
La sua amica
cominciò a lavarle il viso, le mani ferite e lacrime di dispiacere si
mescolavano a lacrime di felicità per riaverla lì con sé.
Katrin dormì
per tutto il pomeriggio e per tutta la notte, vegliata da Sara che non si era
staccata dal suo letto.
Fu alle
prime luci dell’alba che si svegliò. Aveva le mani fasciate e un panno fresco
sulla fronte. Spostò lo sguardo per capire dove fosse e vide Sara addormentata
sulla poltrona vicino al suo letto. Sorrise di piacere nel rivederla.
Si mosse
lentamente ma Sara si svegliò all’istante. Ben
arrivata, miss Katrin, sono felice di rivederla. Le disse con gli occhi
ludici.
Lo sono anch’io, Sara. Dove mi trovo?
Le chiese.
Qui è al sicuro, è a palazzo Sheppard
e suo nonno non vede l’ora di abbracciarla. Le rispose. Ora
facciamo colazione, un bel bagno e poi potrà andare da lui, la sta aspettando. Le
disse mentre preparava il piccolo tavolo.
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