KATRIN, la sua storia
parte dieci
Il cameriere
bussò allo studio del lord e fece entrare la bambina richiudendo la porta.
L’uomo era
davanti alla finestra e, come al solito guardava fuori con le mani intrecciate
dietro la schiena. Katrin era immobile, aspettando di sapere cosa l’aspettava.
Suo padre rimase alcuni secondi ad osservare fuori, sospirò e si voltò. Aveva
il volto corrucciato e le sopracciglia aggrottate. Siediti. Ordinò alla piccola, prendendo anche lui posto sulla sua
poltrona.
Cos’è questa storia? Cosa ti sei
messa in testa? Le
chiese senza alzare la voce ma con tono minaccioso. Lei rimase zitta. L’uomo
aspettò che gli rispondesse ma la bambina rimaneva seduta con la mani allacciate
sulle gambe e le labbra serrate. I suoi piccoli piedi non toccavano il
pavimento, sembrava un uccellino pronto ad essere preda di un rapace.
La tua istitutrice mi ha riferito le
tue gesta, cosa ti spinge a disubbidire in questo modo? La tua istruzione è
importante, sei mia figlia e non tollero altro che la perfezione, per te e per
questa casa. Voglio una spiegazione. Disse sempre nello stesso tono.
La piccola
sollevò gli occhi e guardò quell’uomo, era suo padre ma lei non lo amava e
sapeva che anche lui non provava niente per lei. Non voglio essere tua figlia. Le rispose sottovoce.
L’uomo
credette di aver capito male. Cos’hai
detto? Le chiese mentre il tono della sua voce diventava minaccioso. Ma la
bambina non replicò.
Va bene, impertinente e screanzata
che non sei altro. Tornerai nella tua stanza e avrai una bella sorpresa: visto
che ti piace tanto guardare fuori dalla finestra te l’ho fatta oscurare con
delle assi. Per una settimana starai da sola, al buio con solo pane e acqua e
una candela. Ti servirà il cibo il mio cameriere e sostituirà il secchio dei
tuoi bisogni corporali, dovrai arrangiarti ad accendere il fuoco nel camino e
non vedrai o parlerai con nessuno. Avrai tutto il tempo per pensare a quello
che ti aspetta se non ricomincerai ad obbedire a me e alle tue istitutrici. Sì,
perché la prossima volta ti spedisco direttamente nella torre e non sarà così
piacevole come la tua stanza. Che tu lo voglia o no, io sono tuo padre e mi devi
obbedienza.
Suonò il
campanello e il suo cameriere entrò aspettando istruzioni. Accompagnala nella sua stanza, tutto il resto lo sai già. Disse
prima di tornare a guardare fuori dalla finestra.
Io non voglio essere tua figlia. Bisbigliò ancora prima di uscire.
Lord Semple
tremava dalla rabbia. Se solo avesse potuto l’avrebbe presa a schiaffi ma non
poteva rischiare di esagerare, non dopo aver ricevuto la lettera di suo suocero
che volveva mandare qualcuno a sincerarsi della salute di sua nipote, visto che
non le aveva più permesso di andare a trovarlo.
Impertinente, figlia di nessuno. Pensò. Non appena avrò quello che voglio anche tu avrai ciò che ti meriti,
nemmeno io ti voglio come figlia. Disse fra sé e sé.
Il cameriere
la fece entrare e chiuse la porta a chiave. Il buio era quasi totale, solo il
fuoco del camino rischiarava la stanza e una candela ancora spenta era posata
sul tavolo vicino ad un vassoio con mezza pagnotta di pane e una caraffa di
acqua. Vicino al camino la cesta della legna. C’era molto silenzio e questo la
devastava. Lei voleva essere come gli altri bambini, niente di più: voleva
giocare, correre, cavalcare, imparare a duellare con la spada e tirare con
l’arco, questo era quello che desiderava con tutta se stessa.
Prese un
cuscino e si sistemò davanti al camino. Osservava le fiamme che danzavano e
cambiavano forma scoppiettando come se fossero felici. Anche lei desiderava
essere felice, ma da quando sua madre era morta e la sua nutrice l’aveva
abbandonata aveva solo provato dolore e covato rabbia. Si sentiva prigioniera,
e di fatto lo era, nemmeno suo nonno l’aveva più voluta vedere, amava solo
Vento, il suo unico amico e avrebbe trovato il modo di salirgli in groppa e
scappare.
La danza
delle fiamme le catturarono gli occhi e la mente e non si accorse nemmeno delle
lacrime che le cadevano in grembo. Si sdraiò e chiuse gli occhi. Sarebbero
passati anche quei giorni, si disse ma era colma di tristezza e di rancore.
Passò del
tempo e lei non sapeva più se fosse giorno o notte. Il cameriere di suo padre
entrava silenzioso, svolgeva il suo lavoro e usciva richiudendo a chiave la
porta.
Non sapeva
come far passare il tempo, prese l’attizzatoio di metallo che serviva per la
legna e cominciò a mimare uno scambio di lotta con un immaginario avversario.
Si sfiancò dalla stanchezza e cadde esausta sul cuscino, non aveva più usato il
letto.
Sentì dei
rumori fuori dalla finestra e le assi furono tolte. Il chiarore le ferì gli
occhi anche se il cielo era scuro e pioveva a catinelle.
Vide Alfred
togliere l’ultimo pezzo di legno e le sorrise. Il suo volto amico le sciolse il
grosso nodo che aveva in gola e si nascose a piangere.
Sentì la
chiave girare ed entrò Sara.
Buon giorno, miss Katrin. Va tutto
bene? Le chiese
osservandola attentamente. La bambina aveva ancora gli occhi rossi ma la donna
fece finta di non vederli.
Prepariamo un bel bagno caldo, poi le
sistemo i capelli e le preparo il suo vestito che le piace tanto. Diceva alla bambina mentre procedeva
ai lavori. Le ho fatto preparare il suo
piatto preferito! Aggiunse sorridendo. Cercava di risollevarle il morale,
ma diventava sempre più difficile aiutare quella bambina.
Katrin si
sottopose a tutto senza dire una parola, il cuore di Sara si spezzava davanti a
tanta desolazione.
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