martedì 8 ottobre 2019

KATRIN, la sua storia


KATRIN, la sua storia

parte dieci






Il cameriere bussò allo studio del lord e fece entrare la bambina richiudendo la porta.
L’uomo era davanti alla finestra e, come al solito guardava fuori con le mani intrecciate dietro la schiena. Katrin era immobile, aspettando di sapere cosa l’aspettava. Suo padre rimase alcuni secondi ad osservare fuori, sospirò e si voltò. Aveva il volto corrucciato e le sopracciglia aggrottate. Siediti. Ordinò alla piccola, prendendo anche lui posto sulla sua poltrona.
Cos’è questa storia? Cosa ti sei messa in testa? Le chiese senza alzare la voce ma con tono minaccioso. Lei rimase zitta. L’uomo aspettò che gli rispondesse ma la bambina rimaneva seduta con la mani allacciate sulle gambe e le labbra serrate. I suoi piccoli piedi non toccavano il pavimento, sembrava un uccellino pronto ad essere preda di un rapace.
La tua istitutrice mi ha riferito le tue gesta, cosa ti spinge a disubbidire in questo modo? La tua istruzione è importante, sei mia figlia e non tollero altro che la perfezione, per te e per questa casa. Voglio una spiegazione. Disse sempre nello stesso tono.
La piccola sollevò gli occhi e guardò quell’uomo, era suo padre ma lei non lo amava e sapeva che anche lui non provava niente per lei. Non voglio essere tua figlia. Le rispose sottovoce.
L’uomo credette di aver capito male. Cos’hai detto? Le chiese mentre il tono della sua voce diventava minaccioso. Ma la bambina non replicò.
Va bene, impertinente e screanzata che non sei altro. Tornerai nella tua stanza e avrai una bella sorpresa: visto che ti piace tanto guardare fuori dalla finestra te l’ho fatta oscurare con delle assi. Per una settimana starai da sola, al buio con solo pane e acqua e una candela. Ti servirà il cibo il mio cameriere e sostituirà il secchio dei tuoi bisogni corporali, dovrai arrangiarti ad accendere il fuoco nel camino e non vedrai o parlerai con nessuno. Avrai tutto il tempo per pensare a quello che ti aspetta se non ricomincerai ad obbedire a me e alle tue istitutrici. Sì, perché la prossima volta ti spedisco direttamente nella torre e non sarà così piacevole come la tua stanza. Che tu lo voglia o no, io sono tuo padre e mi devi obbedienza.
Suonò il campanello e il suo cameriere entrò aspettando istruzioni. Accompagnala nella sua stanza, tutto il resto lo sai già. Disse prima di tornare a guardare fuori dalla finestra.
Io non voglio essere tua figlia. Bisbigliò ancora prima di uscire.
Lord Semple tremava dalla rabbia. Se solo avesse potuto l’avrebbe presa a schiaffi ma non poteva rischiare di esagerare, non dopo aver ricevuto la lettera di suo suocero che volveva mandare qualcuno a sincerarsi della salute di sua nipote, visto che non le aveva più permesso di andare a trovarlo.
Impertinente, figlia di nessuno. Pensò. Non appena avrò quello che voglio anche tu avrai ciò che ti meriti, nemmeno io ti voglio come figlia. Disse fra sé e sé.
Il cameriere la fece entrare e chiuse la porta a chiave. Il buio era quasi totale, solo il fuoco del camino rischiarava la stanza e una candela ancora spenta era posata sul tavolo vicino ad un vassoio con mezza pagnotta di pane e una caraffa di acqua. Vicino al camino la cesta della legna. C’era molto silenzio e questo la devastava. Lei voleva essere come gli altri bambini, niente di più: voleva giocare, correre, cavalcare, imparare a duellare con la spada e tirare con l’arco, questo era quello che desiderava con tutta se stessa.
Prese un cuscino e si sistemò davanti al camino. Osservava le fiamme che danzavano e cambiavano forma scoppiettando come se fossero felici. Anche lei desiderava essere felice, ma da quando sua madre era morta e la sua nutrice l’aveva abbandonata aveva solo provato dolore e covato rabbia. Si sentiva prigioniera, e di fatto lo era, nemmeno suo nonno l’aveva più voluta vedere, amava solo Vento, il suo unico amico e avrebbe trovato il modo di salirgli in groppa e scappare.
La danza delle fiamme le catturarono gli occhi e la mente e non si accorse nemmeno delle lacrime che le cadevano in grembo. Si sdraiò e chiuse gli occhi. Sarebbero passati anche quei giorni, si disse ma era colma di tristezza e di rancore.
Passò del tempo e lei non sapeva più se fosse giorno o notte. Il cameriere di suo padre entrava silenzioso, svolgeva il suo lavoro e usciva richiudendo a chiave la porta.
Non sapeva come far passare il tempo, prese l’attizzatoio di metallo che serviva per la legna e cominciò a mimare uno scambio di lotta con un immaginario avversario. Si sfiancò dalla stanchezza e cadde esausta sul cuscino, non aveva più usato il letto.
Sentì dei rumori fuori dalla finestra e le assi furono tolte. Il chiarore le ferì gli occhi anche se il cielo era scuro e pioveva a catinelle.
Vide Alfred togliere l’ultimo pezzo di legno e le sorrise. Il suo volto amico le sciolse il grosso nodo che aveva in gola e si nascose a piangere.
Sentì la chiave girare ed entrò Sara.
Buon giorno, miss Katrin. Va tutto bene? Le chiese osservandola attentamente. La bambina aveva ancora gli occhi rossi ma la donna fece finta di non vederli.
Prepariamo un bel bagno caldo, poi le sistemo i capelli e le preparo il suo vestito che le piace tanto. Diceva alla bambina mentre procedeva ai lavori. Le ho fatto preparare il suo piatto preferito! Aggiunse sorridendo. Cercava di risollevarle il morale, ma diventava sempre più difficile aiutare quella bambina.
Katrin si sottopose a tutto senza dire una parola, il cuore di Sara si spezzava davanti a tanta desolazione.

immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

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