KATRIN, la sua storia
parte diciassette
Era stanca
di subire le angherie di Helen e di suo padre. Cosa potevano farle più di
quello che le stavano facendo? Suo padre non l’avrebbe lasciata morire, era un
uomo incattivito, quasi sempre in preda ai fumi dell’alcol, ma lei sapeva che
suo nonno non gli avrebbe permesso di farle del male.
Si chiedeva
in continuazione il perché suo nonno non si facesse vivo più spesso. Ah se
avesse potuto fargli sapere quello che le stava capitando!
La serratura
scattò e lei si irrigidì. Dopo quello che era successo il giorno prima non
sapeva cosa aspettarsi. Intravide Alfred che faceva la guardia e si scambiarono
uno sguardo veloce. Helen tremava mentre sistemava la caraffa colma d’acqua e
la pagnotta sul tavolino. Mangia un pezzo
di quel pane. Le intimò Katrin. Quella ne strappò un boccone e lo masticò a
lungo prima di inghiottirlo. La ragazzina si alzò e Helen spalancò gli occhi
tremando. Fai bene ad avere paura, da
oggi in poi dovrai guardarti le spalle, ma forse non sarà abbastanza, so usare
molto bene arco e frecce e arrivo molto lontano. Ora vattene e guai a te se
dici qualcosa a mio padre. Helen uscì di corsa.
La serratura
non scattò e la porta si riaprì poco dopo. Alfred entrò facendole segno di non
parlare. Ho poco tempo, bisbigliò
l’uomo, ti ho portato questo, cerca di
non cedere, Sara ed io faremo di tutto per aiutarti ma non è facile, tuo padre
ha organizzato la tua prigionia con cura estrema. Rimase ancora un minuto
ad osservarla, sentendo una gran pena prima di uscire.
Katrin aprì
il fagotto e sorrise vedendo fichi secchi, uva passa, perfino un vasetto di
miele. Spezzò il pane e cominciò a mangiare con voracità, e finalmente potè
bere acqua pulita.
Cominciò a
seguire il tran tran delle giornate, cercava di lavarsi, di mangiare e
aspettava il cibo che Alfred le faceva arrivare. Era stanca e i muscoli le
dolevano, girava in tondo per ore e ore cercando di sgranchirsi i muscoli.
Era il
giorno del suo compleanno, il suo quattordicesimo compleanno e doveva restare
nella torre ancora per una settimana. I capelli erano un groviglio di nodi e di
sudiciume, i vestiti puzzavano come lei e non riusciva più a dormire.
Guardava
fuori dalla finestrella sperando in un temporale che portasse un po’ di
frescura. Quei giorni, quegli interminabili giorni avevano lasciato il segno,
si sentiva fuori posto in quel castello, odiava suo padre e cercava il modo per
vendicarsi di quello che le faceva subire. Io
non voglio essere tua figlia. Non ti voglio come padre. Ripeteva spesso ad
alta voce, e decise che si sarebbe vendicata.
Si sedette
al solito posto e chiuse gli occhi. Quanto
mi manchi, mamma. Pensò mentre lacrime amare le bagnavano il viso.
Sulla ghiaia
si sentirono le ruote di una carrozza. Lord Semple l’aspettava. Sentì bussare e
il suo cameriere fece entrare l’ospite.
L’incaricato
di lord Sheppard entrò nello studio. Il padrone era seduto sulla sua poltrona e
aveva davanti un vassoio con vino e bicchieri.
Posso offrirle da bere? Chiese il padrone di casa, ma quello
rifiutò. Consegnò un bauletto e un foglio da firmare. Lord Semple firmò e
chiamò il suo cameriere per accompagnare fuori l’ospite.
Quello si
alzò e rimase qualche attimo in silenzio. Lord
Sheppard vuole sapere come sta sua nipote, ho un regalo per il suo compleanno
da consegnarle. Gli disse.
Mia figlia è indisposta, dica a suo
nonno che le farò avere il suo regalo. Ora può andare. E lo accompagnò lui stesso alla
porta.
Mentre la
carrozza si allontanava lui aprì il cofanetto ed estrasse i dieci lingotti
d’oro. Avrebbe dovuto essere felice della sua ricchezza che aumentava sempre di
più, ma la sua mente sempre più annebbiata dall’alcol e dal risentimento non
riusciva ad accettare che quella figlia di nessuno lo avrebbe privato della
maggior parte dell’eredità. Ripose l’oro in cassaforte e bevve altro vino.
Russava ubriaco
nel suo studio, succedeva molto spesso. Entrò il capitano delle guardie e
rimase qualche istante ad osservare il suo padrone. Non era compito suo fare
rimostranze ma cominciava ad avere meno rispetto per quell’uomo, ricco e
potente che ogni giorno si lasciava andare sempre di più. Aveva ricevuto il
rapporto delle guardie, e soprattutto di Alfred così aveva deciso di
intervenire, approfittando proprio della semi incoscienza del suo padrone.
Lord Semple! Chiamò il capitano. Dovette ripete il
nome per ben tre volte prima che quello aprisse gli occhi e capisse chi aveva
di fronte.
Cosa c’è? Biascicò mentre si puliva la bocca
dalla saliva che gli colava.
Lord Semple, è ora di far uscire miss
Katrin. Gli disse.
E’ già passato un mese? Si stava rischiarando le idee.
No signore, ma ho paura che un’altra
settimana in quel posto possa essere pericolosa, e non credo che lei la voglia
malata o morta. Gli
riferì rimanendo rigido.
Lord Semple
cercò di schiarirsi le idee, il suo capitano aveva ragione e la punizione era
già stata molto grave. Le do il permesso
di farla uscire, ma non la voglio vedere. Gli rispose.
Il capitano
salutò e uscì. Fuori c’era Alfred ad aspettarlo e gli fece un cenno con la
testa. Salirono insieme alla torre, finalmente la prigionia era finita.
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