KATRIN, la sua storia
parte sei
Era estate e
Katrin avrebbe preferito essere libera come lo erano gli altri bambini che
abitavano dentro e fuori le mura del castello.
Passava ogni
istante libero davanti alla finestra ad osservarli giocare e aveva dato un nome
ad ognuno di loro, le sembrava di conoscerli e parlava con loro come se fossero
suoi compagni e amici, senza mai farsi sentire da nessuno.
Miss Sara
era l’insegnante delle buone maniere e le dava lezioni di cucito, di ricamo, di
come si beve il tè e tante cose che lei trovava assolutamente noiose. Miss
Helen le insegnava a legger e scrivere, a disegnare, e tante altre cose. Poteva
uscire a cavallo due pomeriggi alla settimana accompagnata da una guardia. La
sua vita si era ridotta in questo modo: aveva tutto programmato dagli altri e
nessuna possibilità di uscire dalla routine.
Passò luglio
e agosto cercando di rispettare le regole e di comportarsi bene, ma era davvero
difficile sottoporsi a tutte quelle direttive. Per fortuna stava arrivando
settembre e, come ogni anno avrebbe trascorso il mese da suo nonno.
Aveva fatto
i preparativi per la partenza e aspettava di sapere quando sarebbero venuti a
prenderla. Miss Sara le disse che suo padre voleva parlarle e l’accompagnò da
lui. L’uomo era in piedi davanti alla finestra con le mani dietro la schiena,
rigido come se avesse un palo legato. Osservò sua figlia e fece cenno alla
donna di uscire.
Siediti, Katrin. Devo comunicarti che
non andrai da tuo nonno quest’anno, nessuno ha richiesto la tua visita.
Rimarrai a casa tua e continuerai le lezioni. Le tue istitutrici sono molto
soddisfatte dei risultati, e lo sono anch’io e, per premiare la tua costanza e
obbedienza ti autorizzo a uscire a cavallo una volta di più. Disse alla piccola.
La bambina non
si capacitava dell’abbandono da parte di suo nonno, un altro dolore si sommò a
quelli che già portava nel cuore. Strinse i pugni. Ti ringrazio, padre. E richiuse le labbra.
L’uomo la
osservava senza riuscire a capire quello che sua figlia provava. Non ci era mai
riuscito, non era mai entrato in sintonia con quella figlia di nessuno, ma poco
importava, le cose andavano secondo i suoi piani e questo gli bastava.
Puoi andare, ti ho fatto sellare il
cavallo. Le disse
come se fosse una grande concessione.
Katrin uscì
senza aggiungere una parola. Andò a cambiarsi e raggiunse le stalle, montò in
sella a Vento e non aspettò che la guardia fosse pronta ma partì a razzo come
se potesse lasciare dietro di sé tutte le delusioni che stava sommando.
Lacrime di
rabbia e di dolore volavano via mentre galoppava veloce, si diceva che erano
lacrime provocate dal vento, perché lei non voleva piangere. Aveva il fiato
corto e i capelli spettinati quando raggiunse lo stagno e fermò il cavallo. La
guardia la raggiunse e rimase in sella mentre la osservava. La conosceva da
sempre, era un uomo giovane e capiva che quel piccolo essere soffriva
atrocemente. Smontò da cavallo e la raggiunse mentre era ferma e tirava sassi
nell’acqua.
Va tutto bene, miss Katrin? Le chiese gentilmente. La piccola non
gli rispose. Conoscevo molto bene la sua
mamma, so quanto le manca, vuole parlare con me? aggiunse.
Non voglio parlare con nessuno! Non
ho più nessuno! Se ne sono andati tutti quelli che amavo, non voglio niente! Rispose con rabbia. L’uomo sospirò ma
non demorse. Io mi chiamo Alfred, e
quando avrà bisogno di un amico o di qualcosa di particolare, la prego miss
Katrin, venga da me. Ora dobbiamo tornare. La piccola lanciò un ultimo
sasso e risalì in groppa a Vento.
Fuori dalle
mura, in sella al suo cavallo si sentiva libera, si sentiva se stessa e non
avrebbe voluto tornare mai più in quel castello che le stava stretto come una
prigione. Nel suo piccolo cuore scoppiò qualcosa che le lacerò anima e
sentimenti: quella non era vita, non era la sua vita, non poteva sopportare a
lungo quel modo di vivere, lei aveva bisogno di libertà, di movimento non di
regole e costrizioni.
Alfred la
osservava e leggeva sul suo volto una miriade di emozioni che non riusciva a
nascondere. Le si avvicinò. Non tema,
miss Katrin, potrà sempre contare su di me.
Raggiunsero
le stalle e la piccola tornò nel suo alloggio. Il bagno era già preparato e vi
si sottopose con malcelata calma. Era ora di cena quando la cameriera ebbe
finito di sistemarle i lunghi capelli. Si sedette da sola al piccolo tavolo e
consumò il suo pasto solitario. Fuori le lucciole e i grilli davano un aspetto
quasi magico al buio che era sceso. Miss Sara era già venuta a controllare e
lei era in piedi davanti alla finestra. Ascoltava il gufo e la civetta,
chiudendo gli occhi si sentì trasformare in una lucciola libera e felice.
Abbassò il viso e, per la prima volta pianse veramente, pianse per se stessa,
per il destino che l’aspettava, per la mancanza di sua madre, per l’amore che
non aveva più. Pianse come non aveva mai fatto in tutta la sua breve vita, poi
si sdraiò e continuò a piangere fino a quando, col viso di sua madre davanti
agli occhi, finalmente si addormentò.
Il mattino,
al risveglio aveva ancora il cuscino bagnato di lacrime, occhi gonfi e rossi.
Si mise davanti allo specchio e osservò la sua piccola figura. Rimase a lungo
ad osservarsi, poi puntò il dito ammonitore verso la sua immagine riflessa e ad
alta voce disse sei una bambina cattiva!
Aspettò la
colazione e cominciò a pensare a quello che avrebbe fatto.
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