giovedì 3 ottobre 2019

KATRIN, la sua storia


KATRIN, la sua storia

parte sei






Era estate e Katrin avrebbe preferito essere libera come lo erano gli altri bambini che abitavano dentro e fuori le mura del castello.
Passava ogni istante libero davanti alla finestra ad osservarli giocare e aveva dato un nome ad ognuno di loro, le sembrava di conoscerli e parlava con loro come se fossero suoi compagni e amici, senza mai farsi sentire da nessuno.
Miss Sara era l’insegnante delle buone maniere e le dava lezioni di cucito, di ricamo, di come si beve il tè e tante cose che lei trovava assolutamente noiose. Miss Helen le insegnava a legger e scrivere, a disegnare, e tante altre cose. Poteva uscire a cavallo due pomeriggi alla settimana accompagnata da una guardia. La sua vita si era ridotta in questo modo: aveva tutto programmato dagli altri e nessuna possibilità di uscire dalla routine.
Passò luglio e agosto cercando di rispettare le regole e di comportarsi bene, ma era davvero difficile sottoporsi a tutte quelle direttive. Per fortuna stava arrivando settembre e, come ogni anno avrebbe trascorso il mese da suo nonno.
Aveva fatto i preparativi per la partenza e aspettava di sapere quando sarebbero venuti a prenderla. Miss Sara le disse che suo padre voleva parlarle e l’accompagnò da lui. L’uomo era in piedi davanti alla finestra con le mani dietro la schiena, rigido come se avesse un palo legato. Osservò sua figlia e fece cenno alla donna di uscire.
Siediti, Katrin. Devo comunicarti che non andrai da tuo nonno quest’anno, nessuno ha richiesto la tua visita. Rimarrai a casa tua e continuerai le lezioni. Le tue istitutrici sono molto soddisfatte dei risultati, e lo sono anch’io e, per premiare la tua costanza e obbedienza ti autorizzo a uscire a cavallo una volta di più. Disse alla piccola.
La bambina non si capacitava dell’abbandono da parte di suo nonno, un altro dolore si sommò a quelli che già portava nel cuore. Strinse i pugni. Ti ringrazio, padre. E richiuse le labbra.
L’uomo la osservava senza riuscire a capire quello che sua figlia provava. Non ci era mai riuscito, non era mai entrato in sintonia con quella figlia di nessuno, ma poco importava, le cose andavano secondo i suoi piani e questo gli bastava.
Puoi andare, ti ho fatto sellare il cavallo. Le disse come se fosse una grande concessione.
Katrin uscì senza aggiungere una parola. Andò a cambiarsi e raggiunse le stalle, montò in sella a Vento e non aspettò che la guardia fosse pronta ma partì a razzo come se potesse lasciare dietro di sé tutte le delusioni che stava sommando.
Lacrime di rabbia e di dolore volavano via mentre galoppava veloce, si diceva che erano lacrime provocate dal vento, perché lei non voleva piangere. Aveva il fiato corto e i capelli spettinati quando raggiunse lo stagno e fermò il cavallo. La guardia la raggiunse e rimase in sella mentre la osservava. La conosceva da sempre, era un uomo giovane e capiva che quel piccolo essere soffriva atrocemente. Smontò da cavallo e la raggiunse mentre era ferma e tirava sassi nell’acqua.
Va tutto bene, miss Katrin? Le chiese gentilmente. La piccola non gli rispose. Conoscevo molto bene la sua mamma, so quanto le manca, vuole parlare con me? aggiunse.
Non voglio parlare con nessuno! Non ho più nessuno! Se ne sono andati tutti quelli che amavo, non voglio niente! Rispose con rabbia. L’uomo sospirò ma non demorse. Io mi chiamo Alfred, e quando avrà bisogno di un amico o di qualcosa di particolare, la prego miss Katrin, venga da me. Ora dobbiamo tornare. La piccola lanciò un ultimo sasso e risalì in groppa a Vento.
Fuori dalle mura, in sella al suo cavallo si sentiva libera, si sentiva se stessa e non avrebbe voluto tornare mai più in quel castello che le stava stretto come una prigione. Nel suo piccolo cuore scoppiò qualcosa che le lacerò anima e sentimenti: quella non era vita, non era la sua vita, non poteva sopportare a lungo quel modo di vivere, lei aveva bisogno di libertà, di movimento non di regole e costrizioni.
Alfred la osservava e leggeva sul suo volto una miriade di emozioni che non riusciva a nascondere. Le si avvicinò. Non tema, miss Katrin, potrà sempre contare su di me.
Raggiunsero le stalle e la piccola tornò nel suo alloggio. Il bagno era già preparato e vi si sottopose con malcelata calma. Era ora di cena quando la cameriera ebbe finito di sistemarle i lunghi capelli. Si sedette da sola al piccolo tavolo e consumò il suo pasto solitario. Fuori le lucciole e i grilli davano un aspetto quasi magico al buio che era sceso. Miss Sara era già venuta a controllare e lei era in piedi davanti alla finestra. Ascoltava il gufo e la civetta, chiudendo gli occhi si sentì trasformare in una lucciola libera e felice. Abbassò il viso e, per la prima volta pianse veramente, pianse per se stessa, per il destino che l’aspettava, per la mancanza di sua madre, per l’amore che non aveva più. Pianse come non aveva mai fatto in tutta la sua breve vita, poi si sdraiò e continuò a piangere fino a quando, col viso di sua madre davanti agli occhi, finalmente si addormentò.
Il mattino, al risveglio aveva ancora il cuscino bagnato di lacrime, occhi gonfi e rossi. Si mise davanti allo specchio e osservò la sua piccola figura. Rimase a lungo ad osservarsi, poi puntò il dito ammonitore verso la sua immagine riflessa e ad alta voce disse sei una bambina cattiva!
Aspettò la colazione e cominciò a pensare a quello che avrebbe fatto.


immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

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