KATRIN, la sua storia
parte sedici
Sentì
scattare la serratura, rilasciò il fiato come se lo avesse trattenuto fino a
quel momento. Si guardò intorno, era una piccola cella circolare, una branda,
una sedia, un tavolino traballante, un secchio per i bisogni corporali, un
catino con la brocca e un asciugamani. L’unica luce entrava da una finestrella
sbarrata che era quasi attaccata al soffitto. Avrebbe dovuto passare un mese
intero in quel posto, era una punizione veramente grande, che non si aspettava.
Raggiunse la
branda e si sedette con la schiena appoggiata al muro, non si sarebbe sdraiata
in quel nido di pidocchi a costo di dormire sul pavimento, che non era comunque
molto pulito.
Cercò di
rilassare il respiro. Doveva imparare a trattenere le sue emozioni o sarebbe
impazzita. Quello che la sosteneva era il fatto che non l’avrebbe data vinta a
suo padre, ormai ridotto ad un ubriacone obeso e sempre astioso con tutti e
tutte.
Il
pomeriggio si trascinò lento mentre lei rimaneva immobile seduta sulla branda,
si era messa il cuscino dietro la schiena e raccolto le gambe vicino al corpo.
La porta della sua prigione non si aprì. Scese la sera e l’oscurità la avvolse
come un mantello gelido.
Uno spiffero
di aria fresca entrava dalla finestrella, lei ardeva dalla sete e lo stomaco
reclamava del cibo, poi, finalmente si addormentò.
Fu una lama
di luce che le colpì gli occhi a svegliarla. Un nuovo giorno, un altro giorno
da affrontare, le sembrava di impazzire ma si mantenne calma e in attesa di
quello che sarebbe successo.
Passarono
diverse ore, anche se non poteva capire lo scorrere del tempo. Dentro la cella
cominciava a fare molto caldo. Si tolse il vestito e si raccolse i capelli. Il
sudore le colava in mezzo ai seni e aveva la gola arsa.
Sentì dei
passi e, finalmente la chiave che girava nella serratura. Entrò Helen e mise
sul tavolino un vassoio con mezza pagnotta di pane e una caraffa di acqua.
Riempì anche la brocca vicino al catino, sostituì il secchio e uscì senza dire
una parola.
Katrin
aspettò di sentire gli scatti della serratura prima di alzarsi. Aveva le gambe
rigide tanto era rimasta immobile. Finalmente poteva bere e prese la brocca,
soltanto due dita di acqua sul fondo sporco. Si bagnò le dita e si inumidì le
labbra.
Maledetta Helen, e maledetto mio
padre! Disse fra i
denti mentre prendeva la brocca per sciacquarsi il viso. Versò l’acqua nel
catino e si accorse che c’era un fondo di sapone, non avrebbe potuto berla.
Maledisse di nuovo i suoi carcerieri.
Doveva
risparmiare le forze, cominciava a fare molto caldo e lei sudava abbondantemente,
aveva pochissima acqua da bere e aveva deciso che non avrebbe toccato nemmeno
un pezzo di pane, non si fidava.
Si rimise
seduta sulla branda cercando di smaltire la rabbia, il suo cuore batteva
all’impazzata e doveva calmarsi, era solo il primo giorno di prigionia, se
voleva sopravvivere doveva battere i suoi carcerieri, doveva trovare il modo.
Le ore
passavano scandite dalla luce che entrava dalle sbarre, luce che andava
affievolendosi.
Di nuovo
arrivò il buio e un po’ di frescura, e tutto fu uguale alla sera prima. Il suo
stomaco reclamava qualcosa di solido ma lei pensò a sua madre, cercò i momenti
felici della sua vita, mentre lacrime di dolore le bagnavano il seno. E
finalmente, si addormentò.
Lei non
poteva sapere che suo padre aveva predisposto ogni cosa per la sua prigionia.
Aveva parlato col capitano delle guardie per trovare i soldati adatti a stare
davanti alla porta, dalla quale poteva entrare solo miss Helen e il suo
cameriere.
Due guardie
montavano sempre la guardia e il cambio avveniva ogni dodici ore, Helen
provvedeva a tutto il resto.
Sara e
Alfred si erano incontrati e si erano confidati le loro preoccupazioni. Amavano
quella ragazzina e avrebbero fatto di tutto per alleviarne la permanenza alla
torre, ma non sapevano come fare. Il soldato si era offerto volontario per la
guardia ma il suo capitano non aveva accettato.
La prima
settimana passò sempre nello stesso modo. Katrin si era indebolita, la sete le
martoriava la gola e la lingua si era gonfiata, lo stomaco aveva smesso di chiedere
cibo e questo era un sollievo.
La serratura
scattò ed Helen entrò facendo quello che faceva ogni giorno. Guardò la
ragazzina seduta sulla branda, era sudata, sporca e puzzava. Come faceva ogni
volta che la sua aguzzina entrava teneva le palpebre socchiuse ma non la
lasciava con lo sguardo. L’istitutrice aveva finito le sue incombenze e le
lanciò uno sguardo beffardo prima di uscire. Con un gesto voluto fece cadere la
brocca e rovesciò la poca acqua che conteneva. Mi dispiace, miss Katrin, ma dovrà aspettare fino a domani per avere
acqua da bere. Le disse con voce mielosa.
Katrin con
un balzo si alzò dalla branda e prese per il collo la donna. Ora raccogli quell’acqua con la lingua, o
non esci viva da qui! Così dicendo l’aveva costretta ad inginocchiarsi e le
teneva il viso premuto sulla piccola pozza di acqua sporca. La donna ansimava
e, per la prima volta ebbe paura di Katrin. La ragazza le stringeva sempre di
più le mani intorno al collo e il viso premuto nell’acqua. Lecca quell’acqua! La donna cominciò a bere e leccare il pavimento
sporco.
La sollevò
di peso e si portò col viso davanti a quello spaventato dell’altra. Domani non esci viva! Le disse
lasciandola andare. Se non mi porti acqua
fresca e del cibo che prima farò assaggiare a te ti giuro che ti immergo la
faccia nel secchio dei miei escrementi. Ora fuori, prima che ti sbatta contro
il muro! Mollò la presa e quella uscì come un fulmine.
Era stanca
di subire, aveva fame, sete e ardeva dal desiderio di lavarsi. Ritornò sulla
branda, la gola era talmente arida che non aveva più nemmeno saliva da
inghiottire. Chiuse gli occhi cercando di calmare il battito del suo cuore.
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