KATRIN, la sua storia
parte diciannove
Katrin aveva
compiuto quattordici anni. Non era più una bambina e non era ancora una donna.
Si trovava nel mezzo di un’età in cui una madre fa sempre la differenza, ma lei
era sola e se si guardava intorno non vedeva proprio nessuno che l’amasse.
Aveva un
peso sul cuore che non sarebbe stato facile sollevare: rabbia, risentimento e
perfino odio che indirizzava verso suo padre e contro il destino che era stato
così ingeneroso con lei.
Non era una
stupida ragazzina, aveva messo a frutto gli studi e sapeva difendersi come un
maschio. Cosa voleva da lei la vita? E soprattutto cosa voleva lei stessa dalla
propria vita?
Raggiunse la
sua stanza, la colazione era sul tavolo e cominciò a mangiare, le era mancato
molto il cibo e soprattutto l’acqua, ne era consapevole. Prese un pezzo di pane
e si rese conto di quello che veramente era: una ragazzina sola, senza amici,
senza genitori, senza nessuno che l’amasse.
Un groppo le
chiuse la gola e rimise il pane nel piatto. Perché le era toccato tutto questo?
Una sola persona l’aveva veramente amata e se ne era andata così in fretta.
Finalmente cominciò a singhiozzare e una cascata di lacrime sembrava non
avessero freno. Il petto era squassato dai singhiozzi, il ricordo di sua madre
la faceva così tanto soffrire! Dio come sarebbe stato tutto diverso se lei
fosse vissuta! Poco alla volta si calmò, se voleva sopravvivere
sufficientemente per lasciare quel maledetto castello doveva essere forte, e
prese la decisione: avrebbe lottato con tutte le sue forze, contro tutto e contro
tutti fino ad arrivare alla maggiore età ed essere libera di andarsene. Era
consapevole che suo padre aveva molto potere su di lei, ma lei non era più
disposta a lasciarsi sopraffare. Con un gesto stizzito si asciugò le ultime
lacrime e sentì bussare. La voce di Helen chiedeva il permesso di entrare. Torna fra un’ora. Le disse, e quella se
ne andò.
Riprese a
mangiare, nonostante il groppo che le chiudeva la gola, doveva riprendere peso
e forze, doveva tornare ad allenarsi. Ripensò al volto dolce e gentile di
Alfred, ecco, lui e Sara forse le erano affezionati, e lei si sarebbe
accontentata di questo.
Aveva
ripreso il controllo e terminato di mangiare quando Helen tornò, e lei la fece
entrare.
L’istitutrice
sembrava invecchiata di dieci anni. Katrin la osservava mettendola apposta a
disagio. Cosa facciamo, oggi. Le
chiese a ragazza. La donna alzò lo sguardo e si rese immediatamente conto di
come fosse cambiata quella ragazzina in così poco tempo. Sono venuta a dirle che me ne vado, con lei ho finito il mio compito.
Ho già dato la lettera a suo padre e domani parto. Sono venuta solo per
comunicarglielo personalmente. Le disse tutto d’u fiato.
Finalmente una bella notizia, un bel
regalo di compleanno. Ora può andare, miss Helen. Finì la frase con disprezzo, e quella
girò sui tacchi e uscì di corsa.
Katrin
rimase alcuni minuti davanti alla finestra, non era abituata a stare senza far
niente e le tre settimane di prigionia le avevano messo nel sangue una voglia
di muoversi e di correre che non aveva mai conosciuto.
Andò dal
capitano delle guardie e gli chiese una scorta per uscire dal castello, una
passeggiata era tutto quello che poteva permettersi, le forze erano poche, il
dolore ai muscoli e alle piaghe non le davano tregua ma lei non si sarebbe
fermata.
Per più di
una settimana uscì scortata dalle mura del castello e, colorito e forze stavano
tornando, aveva cominciato a mangiare di più e Sara l’aiutava e le faceva
compagnia quando era nella sua stanza.
Domani riprendo ad allenarmi. Non
vedo l’ora. Disse a
Sara. Si sorrisero, un sentimento di affetto era sbocciato fra tutte e due e
questo aveva calmato l’ansia della ragazzina.
Luglio era
appena iniziato e il caldo era soffocante. Nel cortile Katrin e Alfred erano
impegnati con la lezione di scherma. Il cameriere personale di lord Semple li
raggiunse e chiese alla ragazza di seguirlo.
Lei
rinfoderò la spada, seguì l’uomo che l’accompagnò nello studio di suo padre.
Lord Semple
l’accolse seduto dietro la scrivania. Spalancò gli occhi quando la vide
entrare: i corti capelli spettinati, il viso sudato e la divisa bagnata
appiccicata alla pelle disegnava il corpo non più acerbo di quella figlia di
nessuno. Ogni volta che l’aveva davanti non riusciva a non pensare a tutta la
faccenda e ogni volta si alterava sempre di più. L’alcol gli aveva appannato i
sensi ma in quel momento era piuttosto sobrio.
Sembri una selvaggia. Le disse. Non c’è stato tempo per rendermi presentabile ai tuoi occhi, anche se
credo che non avrebbe cambiato niente. Gli rispose. L’uomo si alzò di scatto,
quell’impertinente osava ribattere.
Vuoi tornare nella torre? Grugnì alzandosi in piedi. Anche lei
si alzò. Io non andrò più nella torre,
padre! E calcò sulla parola padre.
Davvero? E chi me lo può impedire? Le rispose beffardo.
Katrin gli
piantò gli occhi negli occhi, a poca distanza, come l’ultima volta che si erano
scontrati e che l’aveva mandata nella torre.
Lentamente,
molto lentamente sguainò la spada e la tenne abbassata al suo fianco. Aveva lo
sguardo infuocato, di fronte all’uomo che odiava più di tutto al mondo faticava
a trattenersi. Devi solo provarci per
scoprirlo. Gli rispose riprendendo posto sulla poltrona.
All’uomo
servirono alcuni istanti per riprendersi e sedersi a sua volta.
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