martedì 22 ottobre 2019

KATRIN, la sua storia


KATRIN, la sua storia

parte diciannove






Katrin aveva compiuto quattordici anni. Non era più una bambina e non era ancora una donna. Si trovava nel mezzo di un’età in cui una madre fa sempre la differenza, ma lei era sola e se si guardava intorno non vedeva proprio nessuno che l’amasse.
Aveva un peso sul cuore che non sarebbe stato facile sollevare: rabbia, risentimento e perfino odio che indirizzava verso suo padre e contro il destino che era stato così ingeneroso con lei.
Non era una stupida ragazzina, aveva messo a frutto gli studi e sapeva difendersi come un maschio. Cosa voleva da lei la vita? E soprattutto cosa voleva lei stessa dalla propria vita?
Raggiunse la sua stanza, la colazione era sul tavolo e cominciò a mangiare, le era mancato molto il cibo e soprattutto l’acqua, ne era consapevole. Prese un pezzo di pane e si rese conto di quello che veramente era: una ragazzina sola, senza amici, senza genitori, senza nessuno che l’amasse.
Un groppo le chiuse la gola e rimise il pane nel piatto. Perché le era toccato tutto questo? Una sola persona l’aveva veramente amata e se ne era andata così in fretta. Finalmente cominciò a singhiozzare e una cascata di lacrime sembrava non avessero freno. Il petto era squassato dai singhiozzi, il ricordo di sua madre la faceva così tanto soffrire! Dio come sarebbe stato tutto diverso se lei fosse vissuta! Poco alla volta si calmò, se voleva sopravvivere sufficientemente per lasciare quel maledetto castello doveva essere forte, e prese la decisione: avrebbe lottato con tutte le sue forze, contro tutto e contro tutti fino ad arrivare alla maggiore età ed essere libera di andarsene. Era consapevole che suo padre aveva molto potere su di lei, ma lei non era più disposta a lasciarsi sopraffare. Con un gesto stizzito si asciugò le ultime lacrime e sentì bussare. La voce di Helen chiedeva il permesso di entrare. Torna fra un’ora. Le disse, e quella se ne andò.
Riprese a mangiare, nonostante il groppo che le chiudeva la gola, doveva riprendere peso e forze, doveva tornare ad allenarsi. Ripensò al volto dolce e gentile di Alfred, ecco, lui e Sara forse le erano affezionati, e lei si sarebbe accontentata di questo.
Aveva ripreso il controllo e terminato di mangiare quando Helen tornò, e lei la fece entrare.
L’istitutrice sembrava invecchiata di dieci anni. Katrin la osservava mettendola apposta a disagio. Cosa facciamo, oggi. Le chiese a ragazza. La donna alzò lo sguardo e si rese immediatamente conto di come fosse cambiata quella ragazzina in così poco tempo. Sono venuta a dirle che me ne vado, con lei ho finito il mio compito. Ho già dato la lettera a suo padre e domani parto. Sono venuta solo per comunicarglielo personalmente. Le disse tutto d’u fiato.
Finalmente una bella notizia, un bel regalo di compleanno. Ora può andare, miss Helen. Finì la frase con disprezzo, e quella girò sui tacchi e uscì di corsa.
Katrin rimase alcuni minuti davanti alla finestra, non era abituata a stare senza far niente e le tre settimane di prigionia le avevano messo nel sangue una voglia di muoversi e di correre che non aveva mai conosciuto.
Andò dal capitano delle guardie e gli chiese una scorta per uscire dal castello, una passeggiata era tutto quello che poteva permettersi, le forze erano poche, il dolore ai muscoli e alle piaghe non le davano tregua ma lei non si sarebbe fermata.
Per più di una settimana uscì scortata dalle mura del castello e, colorito e forze stavano tornando, aveva cominciato a mangiare di più e Sara l’aiutava e le faceva compagnia quando era nella sua stanza.
Domani riprendo ad allenarmi. Non vedo l’ora. Disse a Sara. Si sorrisero, un sentimento di affetto era sbocciato fra tutte e due e questo aveva calmato l’ansia della ragazzina.
Luglio era appena iniziato e il caldo era soffocante. Nel cortile Katrin e Alfred erano impegnati con la lezione di scherma. Il cameriere personale di lord Semple li raggiunse e chiese alla ragazza di seguirlo.
Lei rinfoderò la spada, seguì l’uomo che l’accompagnò nello studio di suo padre.
Lord Semple l’accolse seduto dietro la scrivania. Spalancò gli occhi quando la vide entrare: i corti capelli spettinati, il viso sudato e la divisa bagnata appiccicata alla pelle disegnava il corpo non più acerbo di quella figlia di nessuno. Ogni volta che l’aveva davanti non riusciva a non pensare a tutta la faccenda e ogni volta si alterava sempre di più. L’alcol gli aveva appannato i sensi ma in quel momento era piuttosto sobrio.
Sembri una selvaggia. Le disse. Non c’è stato tempo per rendermi presentabile ai tuoi occhi, anche se credo che non avrebbe cambiato niente. Gli rispose. L’uomo si alzò di scatto, quell’impertinente osava ribattere.
Vuoi tornare nella torre? Grugnì alzandosi in piedi. Anche lei si alzò. Io non andrò più nella torre, padre! E calcò sulla parola padre.
Davvero? E chi me lo può impedire? Le rispose beffardo.
Katrin gli piantò gli occhi negli occhi, a poca distanza, come l’ultima volta che si erano scontrati e che l’aveva mandata nella torre.
Lentamente, molto lentamente sguainò la spada e la tenne abbassata al suo fianco. Aveva lo sguardo infuocato, di fronte all’uomo che odiava più di tutto al mondo faticava a trattenersi. Devi solo provarci per scoprirlo. Gli rispose riprendendo posto sulla poltrona.
All’uomo servirono alcuni istanti per riprendersi e sedersi a sua volta.

immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

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