MALLY
PAGINA VENTOTTO
Più il tempo
passava, più mi innamoravo di Nivaria. Mi spaventava il vulcano ma pregavo ogni
giorno che rimanesse a dormire mentre noi facevamo di quel magnifico pezzo di
isola un paradiso in cui vivere e prosperare.
Cominciarono
a giungere famiglie intere accompagnate da Liana e fummo ben felici di avere
tutte quelle persone, che conoscevano bene il posto ad aiutarci nei lavori.
Arrivò
dicembre e il tempo cambiò. In lontananza, ma nemmeno troppo la cima del Teide
si ricoprì di neve, il mare da azzurro si era fatto color piombo ma io passavo
sulla spiaggia molto del mio tempo. Volevo che il mio bambino sentisse il canto
delle onde, le grida dei gabbiani, il sapore della salsedine, volevo che amasse
Nivaria ancora prima di nascere.
Le giornate
si erano accorciate e le ore di luce venivano sfruttate per i lavori che
c’erano sempre da fare, avevamo parecchi animali ora, capre, pecore, asini,
mucche, animali da cortile, e una quantità di altri volatili che non conoscevo.
Ora non mancava più il cibo e Tomas si lamentava soltanto perché aveva troppo
da fare.
Il santuario
era stato costruito in men che non si dica, era ancora spoglio, Liana ancora
non mi aveva istruita su cosa fare. Cominciai a sentire freddo e rientrai.
Mi sdraiai
sul rudimentale letto, mancavano circa due mesi al parto e cominciavo a
stancarmi facilmente. Il tempore della stanza mi accompagnò dolcemente nel
sonno, e sognai. Sognai la mia vecchia casa, la mia famiglia e tempeste, guerre
e pestilenze. Mi svegliai in un bagno di sudore e sentii il mio bambino
scalciare, come se anche lui si fosse spaventato. Cercai di calmarmi e come
facevo spesso canticchiai per lui.
I mesi che
mi separavano dal parto passarono senza novità particolari. Ogni giorno Anna
veniva a trovarmi e parlavamo delle storie passate dell’isola. Ora capivo molto
bene la lingua e mi esprimevo in modo appropriato. Il tempo del parto era
vicino ed io, lo confesso ero un po’ spaventata.
Era la fine
di febbraio e da alcuni giorni non mi alzavo dal letto. Arrivò Liana e il suo
sorriso mi risollevò il morale. Sono
felice di vederti. Le dissi, era da alcuni giorni che non la vedevo. Il tuo bambino mi ha chiamata ed io sono
arrivata, entro domani stringerai fra le braccia il tuo primogenito. Non
terminò la frase che cominciarono le doglie così all’improvviso che lanciai un
urlo.Ci vollero parecchie ore di vero dolore prima che Daniel nascesse. Ero
stremata quando Liana me lo sistemò fra le braccia già lavato e pronto per la
poppata. Accanto a me, Robert ci guardava con gli occhi lucidi dalla
commozione. Non ho mai visto niente di
più bello di voi due, mia moglie e mio figlio, la mia corsara coraggiosa. Ero
felice che fosse tutto finito, avevo bisogno di riprendermi, non volevo
rimanere a letto nemmeno un minuto più del necessario. Li senti i nostri uomini? Stanno facendo baldoria in vostro onore, è da
parecchio che stanno festeggiando e bevendo, non vedono l’ora di conoscere il
loro piccolo capitano, ma sarai tu a mostrarlo a loro. Ora riposa, io sono qui
vicino a te.
Liana ci
guardava con uno sguardo attento, quella donna sembrava che prima di esprimere
qualsiasi parola volesse leggere l’anima di chi aveva di fronte. Io stavo
allattando il mio piccolo capitano e lei si avvicinò. E’ un bambino sano, appena ti sarai ripresa andremo al santuario e lo
presenteremo agli spiriti buoni. Ora riposa.
Credo che
come ogni madre vede il proprio figlio, io vedevo Daniel e mi sembrava il più
bello del mondo. Mangiava, dormiva, era una felicità tenerlo fra le braccia. El ciquillo, affettuosamente Chiki (piccolino) compiva un mese e
fuori c’era una vera tormenta di vento gelido che arrivava dal vulcano. Tutti
gli uomini avevano ridotto le attività all’aperto ma non avevano smesso di
lavorare, c’erano tanti lavori da fare anche all’interno sia della grande casa,
che di tutte le altre. Le cisterne per la raccolta dell’acqua dovevano essere
controllate, gli animali accuditi e nella casa
dei formaggi stavano maturando parecchie forme di formaggi vari. Antonio
era un vero maestro in questo settore e col suo lavoro e quello di molti altri,
quelle squisitezze non mancavano sulle tavole di nessuno.
Mi sorpresi
di vedere entrare Liana. Si avvicinò alla culla e guardò il viso addormentato
di Daniel. La sentii bisbigliare qualcosa mentre lo accarezzava e lo prendeva
in braccio. Vestiti, Mally, dobbiamo
andare al santuario con Daniel. Avrei voluto protestare, fuori faceva molto
freddo e il bambino era piccolo ma capii che dovevo seguirla. Ci coprimmo ben
bene e, accompagnati da Alec ed Anna che avevano provveduto a pulire
sommariamente il sentiero dalle foglie cadute andammo al piccolo santuario.
Era piccolo,
poteva contenere al massimo una decina di persone quando era vuoto, ma ora
vuoto non lo era più. Al centro c’era un cerchio perfetto fatto con le pietre
di lava del vulcano, avevo imparato a riconoscerle. Altri sette piccoli cerchi
sempre di pietra nera erano collocati in modo da formare un disegno. Molte
candele erano accese e le aperture alle pareti erano state ricoperte con pelli
di animali e coperte di lana. Ero a bocca aperta. Doveva aver lavorato
parecchio per preparare tutto questo.
Prese Daniel
dalle mie braccia.
Alla
prossima, amiche mie, e scoprirete cosa successe.
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