AGHATA
P. TRENTATRE
Il mese di
agosto iniziò con grandi temporali. Nel villaggio erano tutti impegnati a
raccogliere le patate e distillare birra. Soltanto sir Cortan non partecipava
ai lavori, il suo compito era di rimettersi in forma e Arthur era stato molto
categorico. Si chiedeva spesso l’ex capitano cosa ci fosse scritto nel
messaggio che gli aveva consegnato ma non aveva ancora avuto modo di
chiederglielo.
L’acquazzone
si era dissolto in leggera pioggia. Le nuvole rendevano il cielo grigio e
Aghata decise di uscire con sir Cortan e togliere la benda, voleva che
passeggiasse ad occhi aperti. Andiamo,
sir Cortan c’è la luce adatta per i suoi occhi.
Si alzarono
il cappuccio e uscirono. Si tenevano per mano ed Ester li osservava sorridendo,
quei due avevano bisogno di stare da soli o non avrebbero mai capito quanto già
si amassero. Il suo padrone doveva sciogliere quel macigno che aveva sul cuore,
il rimorso per quello che era accaduto in passato, e la ragazza…la ragazza… non
trovava le parole per descriverla. Decise di raggiungere la casa vicina e di
passare lì la notte, la donna aveva bisogno di compagnia e lei di allontanarsi
da quei due.
Aghata e sir
Cortan raggiunsero un sentiero che si inoltrava verso l’interno, alberi
rigogliosi delimitavano il passaggio. Le foglie grondanti di pioggia lasciavano
cadere grossi goccioloni che sembravano battute di tamburo. La ragazza
sorrideva e alzava il viso verso il cielo, immaginando gabbiani e scogliere,
dio come desiderava di rivedere la sua famiglia. Scacciò il pensiero. Si
accorse che il suo compagno la stava guardando, le sue pupille erano ancora
troppo dilatate ma lei si accorse del lieve miglioramento, ancora un po’ di
tempo e la sua vista sarebbe tornata quasi come prima, era certa che non
avrebbe più visto come prima dell’avvelenamento ma non glielo avrebbe detto.
Era la prima
volta che si trovavano da soli e questo li rendeva nervosi, soprattutto l’uomo
aveva la mano sudata mentre teneva quella della fanciulla. Raggiunsero un masso
poco lontano, Aghata lo liberò dalla pioggia che si era fermata nell’incavo e
si sedette. Sir Cortan era di fronte a lei e soltanto il volo degli uccelli e
il fruscio delle fronde degli alberi avvolgeva i due compagni.
Noi dobbiamo parlare. Disse la ragazza. La mano dell’uomo
si irrigidì e sul suo viso comparve una smorfia. Aghata si alzò e gli si mise
di fronte, gli prese le mani nelle sue, dovette alzare di parecchio il viso per
guardarlo in faccia. Mi guardi, sir
Cortan. L’uomo puntò lo sguardo in quell’abisso verde. Un turbine di
emozioni, di sentimenti, di dolore e di rimorso gli attraversò tutto il corpo.
La ragazza continuava a tenerlo nella sua dolce morsa, con le mani gli
trasmetteva il suo calore e con lo sguardo lo sondava e si faceva scoprire. I
loro cuori si scambiarono. Non ci furono parole fra di loro, tutto quello che
provavano l’uno per l’altra era stato scambiato nei loro cuori. Che follia era
mai questa? Si chiese l’uomo, ma che dolce follia era.
Io non sono degno di lei, miss
Aghata, non so neppure se sono un vero uomo. Le disse a voce bassa. La ragazza sorrise. Io so tutto di lei, niente mi sfugge di
quello che ha nel cuore e nella mente. Anche se non se ne è mai accorto i
nostri cuori sono incatenati da tempo. Gli prese la mano e la portò sul suo
cuore e altrettanto fece lei con lui. Rimasero così per alcuni minuti,
ascoltando i loro battiti. I nostri
destini dovevano incrociarsi, siamo nati per questo e per molto altro, siamo un
unico cuore e un unico corpo.
La pioggia
aveva smesso di cadere e il sole spuntava solo per tramontare di lì a poco. Le
nuvole riflettevano gli ultimi raggi della giornata tingendo di rosso e giallo
tutto il paesaggio. E’ venuto il momento,
sir Cortan. L’uomo la guardava incerto, ancora non aveva afferrato quello
che era successo e quello che la fanciulla gli aveva appena detto, ancora non
aveva la forza e il coraggio per prendere l’iniziativa, fosse stato su un campo
di battaglia non avrebbe avuto timore di niente, ma lì con quella fanciulla
aveva le gambe molli e un miscuglio di sentimenti che ancora stentava a capire.
Raggiunsero
la loro casupola. Sul tavolo apparecchiato per due c’era la candela accesa.
Chiusero la porta e rimasero lì, a fissarsi, timidi come due ragazzini.
Aghata iniziò
a spogliarsi mentre l’uomo sembrava una statua di marmo. Rimase nuda davanti a
lui, con i lunghi e soffici capelli rossi sciolti sulle spalle. Gli si avvicinò
e cominciò a spogliarlo. E’ venuto il
momento, sir Cortan. Gli disse di nuovo. L’uomo si ridestò dal suo torpore.
Erano entrambi nudi. Aghata era bellissima, il suo corpo era perfetto, gli
occhi dell’uomo la osservavano senza tralasciare niente mentre lei rimaneva
immobile aspettando che l’uomo prendesse l’iniziativa, ora toccava a lui.
Sir Cortan
la prese in braccio e con estrema delicatezza la portò sul suo letto, le si
sdraiò al fianco. Le sue mani sembravano avere vita propria e cominciò ad
accarezzare quella pelle così chiara, sfiorò di baci la sua bocca e si
incatenarono gli sguardi. Fu il loro primo bacio, quello che scatenò la
passione, pura passione dettata da un grande amore vero e non si resero conto
quanto durò quella notte, quanto ardore passò nei loro corpi. Si ritrovarono
abbracciati dopo alcune ore, la candela non si era ancora consumata del tutto. Io ti amo, sir Cortan. Io ti amo miss
Aghata. Non era stato così difficile, pensò l’uomo, doveva solo trovare la
ragazza giusta per lui ed il suo cuore lo aveva capito ancora prima della sua
mente, oppure quella ragazza gli aveva fatto un sortilegio, ma non gli
importava. Era la donna della sua vita e l’avrebbe protetta, l’avrebbe amata,
sì l’avrebbe sposata e avrebbero avuto dei figli. Non voleva pensare ad altro,
era giusto godere finalmente di questa felicità senza pensare al futuro. Si abbracciarono
e dormirono così, nudi, avvolti solo dal loro amore.
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