AGHATA
P. UNO E DUE
Aghata a
maggio avrebbe compiuto quindici anni, ed era una bellezza mozzafiato. Tipica
di quel posto: capelli rossi e lunghi, occhi verdi, labbra perfette e un fisico
già sbocciato.
Viveva in
quel villaggio da sempre, così come io suoi genitori Arian e Goran. Tutti i
suoi avi erano nativi di quell’isola, a volte maledetta a volte benedetta. Il
clima piovoso rendeva quella terra benedetta dal verde e da pascoli immensi,
dove greggi di pecore e capre pascolavano passando le stagioni, a volte la
stessa pioggia la faceva diventare maledetta, perché marcivano campi interi
coltivati a patate, il loro principale sostentamento.
Vivere lì
era sempre una sorpresa e i tempi cambiavano a seconda di chi risiedeva nel
grande castello. C’erano stati padroni generosi e altri perfidi e senza cuore, come
quello che ci abitava ora, lord Aram e la sua famiglia.
In tutta
quella parte dell’isola gli abitanti avevano imparato a temerlo, sapevano
quanto poteva essere spietato, e aveva su di loro potere di vita e di morte.
Non era un
bel periodo quel 1650, ne avevano visti sicuramente di migliori.
Marzo stava
terminando il suo passare, e l’inverno, rigido più del solito cominciava a
lasciar andare un briciolo di freddo. Sarebbe arrivata la primavera di lì a
poco e tutto si sarebbe risvegliato. Le piccole casupole avrebbero riaperto la
porta e le finestre lasciando finalmente entrare aria pulita, le lenzuola
sarebbero state lavate e messe a sventolare nel vento profumato, ogni cosa
sarebbe stata ripulita, e ogni cattivo odore accumulato durante il freddo
inverno sarebbe sparito lasciando il posto a nuova vita.
Molte donne
si sarebbero ritrovate gravide, molti uomini avrebbero ripreso a frequentare
l’unico posto pubblico dove si beveva e fumava senza i rimproveri delle mogli.
Donne, uomini, bambini si sarebbero ritrovati dopo mesi passati praticamente
chiusi nelle loro casupole.
C’era il
villaggio che era un agglomerato di parecchie abitazioni, uno spaccio, un pub,
una chiesa e poco altro. Molte altre piccole case, fatte di terra, pietra e
paglia erano sparse nel grande territorio, ognuna aveva un ovile o una stalla,
un riparo per il foraggio, vari animali da cortile, una staccionata per
raggruppare le greggi nella bella stagione e dove tosarle ed iniziare il grande
lavoro che ne conseguiva.
La vita
seguiva inesorabilmente le stagioni, così come le nascite e le morti. Tutto
sembrava sempre uguale, gli anni scorrevano e la vita correva insieme agli
anni.
Aghata amava
la sua terra, amava i suoi genitori e loro la amavano in modo immenso, dopotutto
era la loro unica figlia ed era un evento raro, non erano più riusciti ad avere
altri figli, sembrava che il buon Dio avesse dato loro solo questa figlia
troppo speciale, non facile né da gestire né da proteggere. Fin’ora ci erano
riusciti ma si era fatta donna, una gran bella donna e molti ragazzi le
ronzavano intorno, anche se ancora nessuno si era avvicinato del tutto, la
temevano: le bastava alzare lo sguardo e la luce che emanavano i suoi splendidi
occhi verdi sembrava penetrare fin nel cuore di chi aveva di fronte. Si
sentivano spogliati, e questo li spaventava, nessuno di loro aveva mai sentito
la sua voce e si facevano molti pettegolezzi su di lei e sulla sua famiglia.
Fra quella
gente semplice e laboriosa c’era anche molta solidarietà, nessuno di loro si
sarebbe mai sognato di mettere in pericolo Aghata e la sua famiglia, con nessun
forestiero e men che meno col lord che abitava al castello. Non era la prima ad
essere diversa fra la loro gente, altre prima di lei ce n’erano state e di sicuro
molte altre ne sarebbero venute al mondo e loro le rispettavano, sapevano che
erano persone sulle quali si poteva contare, questo era più sicuro della chiesa
stessa.
Nonostante
il vento freddo, Aghata era seduta al suo posto preferito, una piccola rientranza
nella roccia della scogliera che la riparava un po’ dal vento. Guardava il
mare, le onde ancora alte e burrascose sbattevano contro la roccia con forza e
determinazione e lei si ritrovava in quelle onde ed aveva un desiderio che mai
a nessuno aveva confessato: voleva andarsene da lì. Non lo avrebbe mai detto a
nessuno. I suoi genitori sarebbero morti dal dispiacere, preferiva affliggersi
in silenzio e da sola piuttosto di vederli soffrire a causa sua. Come sempre
era in compagnia del suo cane, Book, un trovatello senza un occhio e con
un’orecchia mozzata, segni lasciati da passate scorribande che lo avevano
lasciato morente sul ciglio del sentiero dove Aghata lo aveva trovato e curato
come faceva spesso, ma Book non se ne era più andato ed era diventato la sua
guardia del corpo. Ringhiava a chiunque le si avvicinava e se lei non gli
faceva un cenno diventava aggressivo.
Seduta a
guardare il mare pensava alla sua vita, ai suoi quindici anni, a cosa sarebbe
arrivato quell’anno, sentiva che qualcosa sarebbe successo.
Il vento
soffiava freddo e i capelli di Aghata sfuggivano alla pesante sciarpa ma lei
non ci faceva caso. Guardava il mare e fantasticava su quello che c’era oltre
l’orizzonte, anelava a trovare l’amore, come ogni ragazza ma non voleva
rimanere lì anche se sapeva di non avere speranza. Sognare e fantasticare non
era proibito e la sua mente volava lontana insieme ai gabbiani che, con le loro
ali spiegate venivano cullati e dondolati dalle folate di vento.
I suoi
splendidi occhi lacrimavano per la polvere che si insinuava sotto le ciglia. Il
suo cuore batteva tenendo il ritmo delle onde. I suoi capelli volavano nel
vento come rami teneri di rovi. Alzò gli occhi e immerse il suo sguardo nel
cielo ancora grigio di piombo, dove grosse nuvole si stavano rincorrendo
annunciando pioggia imminente. Sospirò, amava anche la pioggia e rimase
immobile finchè i primi grossi goccioloni non le caddero sulla testa. Allora
sorrise. Anche i suoi sorrisi erano rari, sembrava che una profonda tristezza
la impregnasse sempre ed era il cruccio dei suoi genitori che avrebbero voluto
fosse come le altre ragazze che già erano pronte per il matrimonio.
Aspettò
mentre la pioggia cresceva di intensità e la voce di sua madre la richiamava.
Non l’ascoltò e rimase immobile dov’era, ancora a lungo a parlare col vento e
la pioggia e col mare che biancheggiante di onde alte spumose le cantava la sua
canzone.
Rientrò che
era completamente fradicia. Sua madre la portò vicino al fuoco e la spogliò
tenendola vicina alla fiamma viva del camino. L’asciugò con amore mentre le
parlava. Prima o poi ti ammalerai, non
puoi rimanere fuori con questa tormenta. Aghata sorrise a sua madre, prese
una scodella di brodo caldo e rimase a sorseggiarlo guardando le lingue di
fuoco.
Arian cosse
la testa, non sapeva più cosa fare con sua figlia, prima o poi le sarebbe
successo qualcosa, il cuore di madre sente queste cose e lei sapeva che non
poteva proteggerla per sempre.
Anche Goran
rientrò di corsa, bagnato fradicio, la pioggia lo aveva colto mentre tornava a
casa dal villaggio. Dopo essersi asciugato e messo vicino al fuoco accanto a
sua figlia si decise a guardare sua moglie, era andato a sentire le ultime
notizie e le riferì loro.
La barba
lunga non nascondeva le sue labbra tirate. Lord
Aram ha mandato il suo messaggero. Ogni famiglia deve consegnargli dieci capi di
pecore e cinque di montoni, tre sacchi di patate o due sacchi di farina.
Sospirò e continuò. Vuole 10 giovani
ragazze a lavorare al castello, ha bisogno di sguattere, cuoche e cameriere e
le vuole di bell’aspetto. Il suo sguardo furtivo si posò brevemente su sua
figlia che lo stava ascoltando.
Cadde il
silenzio. Soltanto le fiamme tenevano accesa l’atmosfera mentre fuori la
pioggia imperversava con raffiche di vento che facevano sbattere le finestre.
Arian guardò
suo marito. Resteremo con pochi capi di
bestiame e praticamente senza sostentamento una volta consegnato quello che
vuole il lord, ma ci possiamo arrangiare con la pesca e con le uova. Cercherò
di far durare la farina più a lungo possibile e nell’orto è rimasto qualche
cavolo. Gli occhi di Arian e Goran si puntarono su Aghata che alzò lo
sguardo in attesa.
Fu Arian a
riprendere il discorso. Non possiamo
mandare Aghata al castello, non possiamo! Dobbiamo chiedere a tutti gli altri
di mandare qualcun’altra al suo posto. Goran scosse la testa. Stai chiedendo ad un’altra famiglia di
rinunciare ad una figlia, tu lo faresti? Arian si passò la mano sulla
fronte, come a cercare un’altra soluzione, sapeva bene che nessuno avrebbe dato
niente più del necessario a quel lord.
Andrò io, mamma, non temere, tornerò
ogni sera a casa e tu potrai stare tranquilla. Farò in modo di comportarmi
bene, lo farò per voi. La donna abbracciò sua figlia e le baciò i capelli che erano ancora
bagnati, fragranti dell’odore dolce che sua figlia emanava e che solo loro
conoscevano, era il frutto del loro amore, una figlia speciale ed ora sarebbe
stata in pericolo. Non sei tu che mi
preoccupi, ma quel lupo cattivo che c’è al castello, e tutti quelli che sono ai
suoi ordini, sei una ingenua pecorella che non sa cosa ci sia di cattivo nel
bosco.
Goran e sua
moglie strinsero la figlia in un doloroso e amorevole abbraccio, presto ci
sarebbe stata la riunione del loro clan che avrebbe deciso chi mandare e loro
avrebbero dovuto obbedire. Ancora due settimane e poi avrebbero conosciuto la
decisione del clan.
Arian
avrebbe voluto mettere in guardia sua figlia, ma come dire che il mondo fuori
di lì era ben diverso e cattivo da come lo conosceva? Proprio non sapeva come
affrontare l’argomento e decise di parlare alle ragazze che sarebbero state
scelte per il lavoro al castello, era disperata e avrebbe preso volentieri il
posto di Aghata e lo avrebbe proposto alla riunione che ci sarebbe stata, ma
non aveva nessuna possibilità.
Intanto Aghata
e la sua famiglia avevano ancora due settimane per prepararsi all’evento, al
distacco, al dispiacere, al dolore della separazione. Che dio aiuti mia figlia. Pensò Arian.
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