lunedì 3 dicembre 2018

AGHATA



AGHATA

P. UNO E DUE





Aghata a maggio avrebbe compiuto quindici anni, ed era una bellezza mozzafiato. Tipica di quel posto: capelli rossi e lunghi, occhi verdi, labbra perfette e un fisico già sbocciato.
Viveva in quel villaggio da sempre, così come io suoi genitori Arian e Goran. Tutti i suoi avi erano nativi di quell’isola, a volte maledetta a volte benedetta. Il clima piovoso rendeva quella terra benedetta dal verde e da pascoli immensi, dove greggi di pecore e capre pascolavano passando le stagioni, a volte la stessa pioggia la faceva diventare maledetta, perché marcivano campi interi coltivati a patate, il loro principale sostentamento.
Vivere lì era sempre una sorpresa e i tempi cambiavano a seconda di chi risiedeva nel grande castello. C’erano stati padroni generosi e altri perfidi e senza cuore, come quello che ci abitava ora, lord Aram e la sua famiglia.
In tutta quella parte dell’isola gli abitanti avevano imparato a temerlo, sapevano quanto poteva essere spietato, e aveva su di loro potere di vita e di morte.
Non era un bel periodo quel 1650, ne avevano visti sicuramente di migliori.
Marzo stava terminando il suo passare, e l’inverno, rigido più del solito cominciava a lasciar andare un briciolo di freddo. Sarebbe arrivata la primavera di lì a poco e tutto si sarebbe risvegliato. Le piccole casupole avrebbero riaperto la porta e le finestre lasciando finalmente entrare aria pulita, le lenzuola sarebbero state lavate e messe a sventolare nel vento profumato, ogni cosa sarebbe stata ripulita, e ogni cattivo odore accumulato durante il freddo inverno sarebbe sparito lasciando il posto a nuova vita.
Molte donne si sarebbero ritrovate gravide, molti uomini avrebbero ripreso a frequentare l’unico posto pubblico dove si beveva e fumava senza i rimproveri delle mogli. Donne, uomini, bambini si sarebbero ritrovati dopo mesi passati praticamente chiusi nelle loro casupole.
C’era il villaggio che era un agglomerato di parecchie abitazioni, uno spaccio, un pub, una chiesa e poco altro. Molte altre piccole case, fatte di terra, pietra e paglia erano sparse nel grande territorio, ognuna aveva un ovile o una stalla, un riparo per il foraggio, vari animali da cortile, una staccionata per raggruppare le greggi nella bella stagione e dove tosarle ed iniziare il grande lavoro che ne conseguiva.
La vita seguiva inesorabilmente le stagioni, così come le nascite e le morti. Tutto sembrava sempre uguale, gli anni scorrevano e la vita correva insieme agli anni.
Aghata amava la sua terra, amava i suoi genitori e loro la amavano in modo immenso, dopotutto era la loro unica figlia ed era un evento raro, non erano più riusciti ad avere altri figli, sembrava che il buon Dio avesse dato loro solo questa figlia troppo speciale, non facile né da gestire né da proteggere. Fin’ora ci erano riusciti ma si era fatta donna, una gran bella donna e molti ragazzi le ronzavano intorno, anche se ancora nessuno si era avvicinato del tutto, la temevano: le bastava alzare lo sguardo e la luce che emanavano i suoi splendidi occhi verdi sembrava penetrare fin nel cuore di chi aveva di fronte. Si sentivano spogliati, e questo li spaventava, nessuno di loro aveva mai sentito la sua voce e si facevano molti pettegolezzi su di lei e sulla sua famiglia.
Fra quella gente semplice e laboriosa c’era anche molta solidarietà, nessuno di loro si sarebbe mai sognato di mettere in pericolo Aghata e la sua famiglia, con nessun forestiero e men che meno col lord che abitava al castello. Non era la prima ad essere diversa fra la loro gente, altre prima di lei ce n’erano state e di sicuro molte altre ne sarebbero venute al mondo e loro le rispettavano, sapevano che erano persone sulle quali si poteva contare, questo era più sicuro della chiesa stessa.
Nonostante il vento freddo, Aghata era seduta al suo posto preferito, una piccola rientranza nella roccia della scogliera che la riparava un po’ dal vento. Guardava il mare, le onde ancora alte e burrascose sbattevano contro la roccia con forza e determinazione e lei si ritrovava in quelle onde ed aveva un desiderio che mai a nessuno aveva confessato: voleva andarsene da lì. Non lo avrebbe mai detto a nessuno. I suoi genitori sarebbero morti dal dispiacere, preferiva affliggersi in silenzio e da sola piuttosto di vederli soffrire a causa sua. Come sempre era in compagnia del suo cane, Book, un trovatello senza un occhio e con un’orecchia mozzata, segni lasciati da passate scorribande che lo avevano lasciato morente sul ciglio del sentiero dove Aghata lo aveva trovato e curato come faceva spesso, ma Book non se ne era più andato ed era diventato la sua guardia del corpo. Ringhiava a chiunque le si avvicinava e se lei non gli faceva un cenno diventava aggressivo.
Seduta a guardare il mare pensava alla sua vita, ai suoi quindici anni, a cosa sarebbe arrivato quell’anno, sentiva che qualcosa sarebbe successo.


Il vento soffiava freddo e i capelli di Aghata sfuggivano alla pesante sciarpa ma lei non ci faceva caso. Guardava il mare e fantasticava su quello che c’era oltre l’orizzonte, anelava a trovare l’amore, come ogni ragazza ma non voleva rimanere lì anche se sapeva di non avere speranza. Sognare e fantasticare non era proibito e la sua mente volava lontana insieme ai gabbiani che, con le loro ali spiegate venivano cullati e dondolati dalle folate di vento.
I suoi splendidi occhi lacrimavano per la polvere che si insinuava sotto le ciglia. Il suo cuore batteva tenendo il ritmo delle onde. I suoi capelli volavano nel vento come rami teneri di rovi. Alzò gli occhi e immerse il suo sguardo nel cielo ancora grigio di piombo, dove grosse nuvole si stavano rincorrendo annunciando pioggia imminente. Sospirò, amava anche la pioggia e rimase immobile finchè i primi grossi goccioloni non le caddero sulla testa. Allora sorrise. Anche i suoi sorrisi erano rari, sembrava che una profonda tristezza la impregnasse sempre ed era il cruccio dei suoi genitori che avrebbero voluto fosse come le altre ragazze che già erano pronte per il matrimonio.
Aspettò mentre la pioggia cresceva di intensità e la voce di sua madre la richiamava. Non l’ascoltò e rimase immobile dov’era, ancora a lungo a parlare col vento e la pioggia e col mare che biancheggiante di onde alte spumose le cantava la sua canzone.
Rientrò che era completamente fradicia. Sua madre la portò vicino al fuoco e la spogliò tenendola vicina alla fiamma viva del camino. L’asciugò con amore mentre le parlava. Prima o poi ti ammalerai, non puoi rimanere fuori con questa tormenta. Aghata sorrise a sua madre, prese una scodella di brodo caldo e rimase a sorseggiarlo guardando le lingue di fuoco.
Arian cosse la testa, non sapeva più cosa fare con sua figlia, prima o poi le sarebbe successo qualcosa, il cuore di madre sente queste cose e lei sapeva che non poteva proteggerla per sempre.
Anche Goran rientrò di corsa, bagnato fradicio, la pioggia lo aveva colto mentre tornava a casa dal villaggio. Dopo essersi asciugato e messo vicino al fuoco accanto a sua figlia si decise a guardare sua moglie, era andato a sentire le ultime notizie e le riferì loro.
La barba lunga non nascondeva le sue labbra tirate. Lord Aram ha mandato il suo messaggero. Ogni famiglia deve consegnargli dieci capi di pecore e cinque di montoni, tre sacchi di patate o due sacchi di farina. Sospirò e continuò. Vuole 10 giovani ragazze a lavorare al castello, ha bisogno di sguattere, cuoche e cameriere e le vuole di bell’aspetto. Il suo sguardo furtivo si posò brevemente su sua figlia che lo stava ascoltando.
Cadde il silenzio. Soltanto le fiamme tenevano accesa l’atmosfera mentre fuori la pioggia imperversava con raffiche di vento che facevano sbattere le finestre.
Arian guardò suo marito. Resteremo con pochi capi di bestiame e praticamente senza sostentamento una volta consegnato quello che vuole il lord, ma ci possiamo arrangiare con la pesca e con le uova. Cercherò di far durare la farina più a lungo possibile e nell’orto è rimasto qualche cavolo. Gli occhi di Arian e Goran si puntarono su Aghata che alzò lo sguardo in attesa.
Fu Arian a riprendere il discorso. Non possiamo mandare Aghata al castello, non possiamo! Dobbiamo chiedere a tutti gli altri di mandare qualcun’altra al suo posto. Goran scosse la testa. Stai chiedendo ad un’altra famiglia di rinunciare ad una figlia, tu lo faresti? Arian si passò la mano sulla fronte, come a cercare un’altra soluzione, sapeva bene che nessuno avrebbe dato niente più del necessario a quel lord.
Andrò io, mamma, non temere, tornerò ogni sera a casa e tu potrai stare tranquilla. Farò in modo di comportarmi bene, lo farò per voi. La donna abbracciò sua figlia e le baciò i capelli che erano ancora bagnati, fragranti dell’odore dolce che sua figlia emanava e che solo loro conoscevano, era il frutto del loro amore, una figlia speciale ed ora sarebbe stata in pericolo. Non sei tu che mi preoccupi, ma quel lupo cattivo che c’è al castello, e tutti quelli che sono ai suoi ordini, sei una ingenua pecorella che non sa cosa ci sia di cattivo nel bosco.
Goran e sua moglie strinsero la figlia in un doloroso e amorevole abbraccio, presto ci sarebbe stata la riunione del loro clan che avrebbe deciso chi mandare e loro avrebbero dovuto obbedire. Ancora due settimane e poi avrebbero conosciuto la decisione del clan.
Arian avrebbe voluto mettere in guardia sua figlia, ma come dire che il mondo fuori di lì era ben diverso e cattivo da come lo conosceva? Proprio non sapeva come affrontare l’argomento e decise di parlare alle ragazze che sarebbero state scelte per il lavoro al castello, era disperata e avrebbe preso volentieri il posto di Aghata e lo avrebbe proposto alla riunione che ci sarebbe stata, ma non aveva nessuna possibilità.
Intanto Aghata e la sua famiglia avevano ancora due settimane per prepararsi all’evento, al distacco, al dispiacere, al dolore della separazione. Che dio aiuti mia figlia. Pensò Arian.



Immagine di Donatella Casiraghi- diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

Nessun commento:

Posta un commento