venerdì 7 dicembre 2018

AGHATA


AGHATA

P. SEI





La prima settimana era passata e non era stata piacevole per nessuna delle ragazze. Alcune di loro avevano le mani rovinate dai lavori che dovevano eseguire, altre avevano i segni del bastone sulla schiena. Sul carro che le riportava a casa per quel giorno soltanto, erano tutte in silenzio. Sofia aveva le mani quasi guarite e Aghata si era strofinata le unghie per togliere tutto lo sporco che vi si annidava, non sopportava il sudiciume.
Il carro era scortato da due guardie e, cosa alquanto inusuale anche da sir Cortan.
La piazza del villaggio era gremita da genitori che aspettavano le figlie che, appena scese dal carro volarono fra le loro braccia. Sofia e Aghata si salutarono.
Dovrete essere pronte a ripartire alle cinque esatte. Disse sir Cortan lasciando gli ordini anche alle due guardie e al cocchiere. Lanciò un ultimo sguardo alla folla poi girò il cavallo e se ne andò da solo.
Arian e Goran guardavano trepidanti la loro figlia e, non riscontrando niente di anomalo almeno all’apparenza, tirarono un sospiro di sollievo e si avviarono verso casa mentre Book saltava abbaiando sul carro in braccio alla sua padroncina. E’ andato tutto bene, non datevi pensiero. Disse loro Aghata e si godettero quel giorno che sapevano sarebbe passato troppo velocemente.
Sir Cortan cavalcava tranquillo verso il castello mentre i suoi pensieri andavano lontani nel tempo. Al ruscello fermò il cavallo e scese legando l’animale ad un vecchio albero spoglio. Guardava l’acqua che scorreva, era ancora un rigagnolo ma presto sarebbe diventata più irruente. Si appoggiò all’albero cercando di scacciare i pensieri che aveva nella mente, ma non ci riuscì.
Qualcosa gli era scattato nell’intimo quando aveva osservato Aghata. Non poteva mentire a se stesso, quella ragazza gli aveva trasmesso qualcosa e gli erano riaffiorati alla mente i ricordi di tutta una vita.
Aveva cinque anni quando dei malviventi erano arrivati di notte per rubare i loro pochi beni e non avevano esitato a uccidere senza pietà sua madre e suo padre. Lui piangeva e urlava davanti a quello scempio mentre gli uomini ridevano e mettevano tutto sottosopra. Lo lasciarono piangente vicino al corpo dei suoi genitori quando se ne andarono. Rimase così per due giorni prima che qualcuno arrivasse e lo trovasse addormentato fra le braccia di sua madre morta. Fu portato da una famiglia di pastori che lo allevarono insieme alla loro unica figlia. Faticosamente si riprese e l’affetto di quella gente guarì almeno in parte il suo dolore.
 Cercò di scacciare i pensieri e il dolore che con essi lo trafiggeva ogni volta ma non ci fu verso di riuscirci.
 Aveva tredici anni quando successe. Era al pascolo con la sorella (così la considerava). Avevano la stessa età ed erano molto uniti. Arrivarono tre uomini a cavallo con le insegne del lord e quando videro la ragazzina si fermarono. Tutto accadde in fretta mentre Cortan si era allontanato in cerca di due agnelli che si erano persi. Sentì le urla di sua sorella e corse con quanto fiato aveva in gola ma, alla vista di quello che stava succedendo si bloccò. I tre uomini stavano abusando di lei e lui non riusciva a muovere un passo. La ragazzina piangeva, aveva smesso di urlare e sembrava non sentire più niente. Ci volle un po’ prima che quei bruti se ne andassero lasciandola ferita nel corpo e nell’anima e coi vestiti strappati. Gli occhi del ragazzo erano pieni di lacrime e solo quando la vide rialzarsi trovò la forza di raggiungerla. L’abbracciò forte e fu lei a consolarlo. Il ragazzo l’accompagnò al ruscello e l’aiutò a ripulirsi, a rifarsi la treccia. Si guardarono in viso e si scoprirono diversi da come si erano alzati quella mattina. Lui non si perdonò mai di non essere intervenuto in sua difesa anche se lei continuava a ripetergli che avrebbe messo a rischio la sua vita se lo avesse fatto, che aveva agito bene.
Passò un anno ma la sua vita era cambiata. Non riusciva a guardare sua sorella senza sentirsi un verme, così decise di andarsene. Aveva quattordici anni quando si presentò al castello, esattamente quindici anni prima, e chiese del capitano delle guardie. Fu sconvolto quando scoprì che era proprio uno di quelli che avevano abusato di sua sorella. Riuscì a mantenersi calmo e chiese di entrare a far parte del corpo delle guardie. Quello si mise a ridere davanti ad un ragazzino magro da sembrare un ramo secco e chiamò i suoi sottoposti per umiliarlo ancora di più. Ridevano di lui quegli uomini ma lui non demordeva e uno di loro, ridendo disse al suo capitano che lo avrebbero rosolato per bene, che lo avrebbero fatto diventare un uomo o lo avrebbero usato come una servetta.
Fu così che riuscì ad entrare in un contesto precluso ai contadini e ai pastori del luogo.
Si impegnò e lavorò duro per un anno intero mentre il suo corpo cambiava e si temprava dal duro allenamento e dal cibo buono che riusciva a rubare. Un altro anno gli servì per imparare a maneggiare la spada, l’arco con le frecce, il coltello e i pugni. Aveva molte ferite sia fisiche che nell’Anima, aveva sopportato di tutto ma non aveva permesso mai a nessuno di sfiorarlo nemmeno con un dito.
Erano passati due anni e non erano passati invano, era giunto il momento di reagire.

illustrazione di Donatella Casiraghi - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

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