AGHATA
P. SEI
La prima
settimana era passata e non era stata piacevole per nessuna delle ragazze.
Alcune di loro avevano le mani rovinate dai lavori che dovevano eseguire, altre
avevano i segni del bastone sulla schiena. Sul carro che le riportava a casa
per quel giorno soltanto, erano tutte in silenzio. Sofia aveva le mani quasi
guarite e Aghata si era strofinata le unghie per togliere tutto lo sporco che
vi si annidava, non sopportava il sudiciume.
Il carro era
scortato da due guardie e, cosa alquanto inusuale anche da sir Cortan.
La piazza
del villaggio era gremita da genitori che aspettavano le figlie che, appena
scese dal carro volarono fra le loro braccia. Sofia e Aghata si salutarono.
Dovrete essere pronte a ripartire
alle cinque esatte. Disse
sir Cortan lasciando gli ordini anche alle due guardie e al cocchiere. Lanciò
un ultimo sguardo alla folla poi girò il cavallo e se ne andò da solo.
Arian e
Goran guardavano trepidanti la loro figlia e, non riscontrando niente di anomalo
almeno all’apparenza, tirarono un sospiro di sollievo e si avviarono verso casa
mentre Book saltava abbaiando sul carro in braccio alla sua padroncina. E’ andato tutto bene, non datevi pensiero.
Disse loro Aghata e si godettero quel giorno che sapevano sarebbe passato
troppo velocemente.
Sir Cortan
cavalcava tranquillo verso il castello mentre i suoi pensieri andavano lontani
nel tempo. Al ruscello fermò il cavallo e scese legando l’animale ad un vecchio
albero spoglio. Guardava l’acqua che scorreva, era ancora un rigagnolo ma
presto sarebbe diventata più irruente. Si appoggiò all’albero cercando di
scacciare i pensieri che aveva nella mente, ma non ci riuscì.
Qualcosa gli
era scattato nell’intimo quando aveva osservato Aghata. Non poteva mentire a se
stesso, quella ragazza gli aveva trasmesso qualcosa e gli erano riaffiorati
alla mente i ricordi di tutta una vita.
Aveva cinque
anni quando dei malviventi erano arrivati di notte per rubare i loro pochi beni
e non avevano esitato a uccidere senza pietà sua madre e suo padre. Lui
piangeva e urlava davanti a quello scempio mentre gli uomini ridevano e
mettevano tutto sottosopra. Lo lasciarono piangente vicino al corpo dei suoi
genitori quando se ne andarono. Rimase così per due giorni prima che qualcuno
arrivasse e lo trovasse addormentato fra le braccia di sua madre morta. Fu
portato da una famiglia di pastori che lo allevarono insieme alla loro unica
figlia. Faticosamente si riprese e l’affetto di quella gente guarì almeno in
parte il suo dolore.
Cercò di scacciare i pensieri e il dolore che con
essi lo trafiggeva ogni volta ma non ci fu verso di riuscirci.
Aveva tredici anni quando successe. Era al
pascolo con la sorella (così la considerava). Avevano la stessa età ed erano
molto uniti. Arrivarono tre uomini a cavallo con le insegne del lord e quando
videro la ragazzina si fermarono. Tutto accadde in fretta mentre Cortan si era
allontanato in cerca di due agnelli che si erano persi. Sentì le urla di sua
sorella e corse con quanto fiato aveva in gola ma, alla vista di quello che
stava succedendo si bloccò. I tre uomini stavano abusando di lei e lui non
riusciva a muovere un passo. La ragazzina piangeva, aveva smesso di urlare e
sembrava non sentire più niente. Ci volle un po’ prima che quei bruti se ne
andassero lasciandola ferita nel corpo e nell’anima e coi vestiti strappati.
Gli occhi del ragazzo erano pieni di lacrime e solo quando la vide rialzarsi
trovò la forza di raggiungerla. L’abbracciò forte e fu lei a consolarlo. Il
ragazzo l’accompagnò al ruscello e l’aiutò a ripulirsi, a rifarsi la treccia.
Si guardarono in viso e si scoprirono diversi da come si erano alzati quella
mattina. Lui non si perdonò mai di non essere intervenuto in sua difesa anche
se lei continuava a ripetergli che avrebbe messo a rischio la sua vita se lo
avesse fatto, che aveva agito bene.
Passò un
anno ma la sua vita era cambiata. Non riusciva a guardare sua sorella senza
sentirsi un verme, così decise di andarsene. Aveva quattordici anni quando si
presentò al castello, esattamente quindici anni prima, e chiese del capitano
delle guardie. Fu sconvolto quando scoprì che era proprio uno di quelli che
avevano abusato di sua sorella. Riuscì a mantenersi calmo e chiese di entrare a
far parte del corpo delle guardie. Quello si mise a ridere davanti ad un
ragazzino magro da sembrare un ramo secco e chiamò i suoi sottoposti per
umiliarlo ancora di più. Ridevano di lui quegli uomini ma lui non demordeva e
uno di loro, ridendo disse al suo capitano che lo avrebbero rosolato per bene,
che lo avrebbero fatto diventare un uomo o lo avrebbero usato come una
servetta.
Fu così che
riuscì ad entrare in un contesto precluso ai contadini e ai pastori del luogo.
Si impegnò e
lavorò duro per un anno intero mentre il suo corpo cambiava e si temprava dal
duro allenamento e dal cibo buono che riusciva a rubare. Un altro anno gli
servì per imparare a maneggiare la spada, l’arco con le frecce, il coltello e i
pugni. Aveva molte ferite sia fisiche che nell’Anima, aveva sopportato di tutto
ma non aveva permesso mai a nessuno di sfiorarlo nemmeno con un dito.
Erano
passati due anni e non erano passati invano, era giunto il momento di reagire.
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