AGHATA
P. DICIOTTO
Il freddo
intenso di quel sotterraneo entrava nelle ossa insieme alla grande umidità,
erano bastate poche ore perché il corpo di Aghata risentisse di quel gelo.
Ormai doveva essere giorno pieno e il sole doveva danzare fra le fronde tenere
degli alberi che avevano aspettato la primavera così a lungo.
Se ne stava
rannicchiata tenendo le ginocchia contro il corpo e si abbracciava per non
disperdere nemmeno una briciola di calore. Le gabbie non avevano pareti,
venivano così chiamate perché avevano solo sbarre. Non sapeva quante ce ne
fossero, ma si sentivano vari lamenti e sospiri, alcune imprecazioni e
percepiva tanta rabbia e dolore.
I suoi occhi
si erano abituati a quella oscurità. Si avvicinò alle sbarre della gabbia di
fianco alla sua, non sentiva nessun rumore provenire da lì, soltanto un respiro
faticoso. Osservò il corpo di una ragazza sdraiata sul pagliericcio. Chi sei? Le chiese dolcemente. Ma non
ottenne risposta. Ti prego, parla con me!
disse a voce un po’ più alta. Il rumore della paglia umida le fece capire che,
chiunque fosse quella ragazza, o donna si stava alzando. Era scalza, le vesti
stracciate ed aveva il viso sporco e tumefatto. Si mise davanti ad Aghata, la
osservava con occhi spiritati, sembrava non vedere niente, sembrava persa in un
altro mondo o forse era la sua mente che l’aveva abbandonata.
Aghata,
poggiando le mani sulle sue intorno alle sbarre le trasmise un po’ di calore.
La riconobbe, era la ragazza che aveva visto portare via quando lei si trovava
in giardino con lady Lucy. Poco alla volta la giovane riprese a respirare in
modo più normale. Chi sei? Le chiese
ancora una volta. Mi chiamo Eve. E tu chi
sei? Batteva i denti dal freddo. Aghata si tolse le scarpe e passò le calze
alla ragazza. Grazie, tu sei un angelo?
Sono già morta? Chiese mentre indossava le calze ancora calde. Mi
chiamo Aghata, sono appena stata messa in gabbia. Non ho commesso nessun reato,
ma credo che niente conti davanti alla parola del lord o della lady. Tu perché
sei qui? Volle sapere. Eve si
massaggiava le braccia nude e girava in tondo nella piccola cella. E’ stata la lady a farmi condurre qui. Il
vice capitano delle guardie mi ha vista uscire dalla stanza del lord, avevo
solo portato un secchio di acqua calda ma lui mi incolpò di essere stata nel
suo letto, se l’avevo fatto col lord potevo concedermi anche a lui. Mi ha
portato nella sua stanza ed ha abusato di me, poi mi ha consegnato alle guardie
di lady Lucy dicendole che mi aveva colta con suo marito. Ed ora sono qui.
Tremava dal freddo e dallo choc. Non doveva avere più di quindici anni. Una
tristezza infinita strinse il cuore di Aghata. Non si poteva sopportare tanto
dolore e tanta umiliazione, era solo una fanciulla e tante altre come loro
chissà cosa avevano sopportato a palazzo. Non era umano, non era tollerabile.
Si
rincantucciarono ognuna sul proprio giaciglio aspettando che venisse servito il
pasto. Come si poteva resistere in un posto come quello? L’odore era la cosa
peggiore che bisognava sopportare, e l’aria pulita era il desiderio maggiore,
ancora di più del cibo.
Aghata
riprese la sua posizione e chiuse gli occhi. Se voleva sopravvivere doveva
imparare a resistere, lei voleva tornare a casa e giurò che, in un modo o
nell’altro ci sarebbe riuscita. Cominciò ad immaginarsi sulla scogliera, ad ascoltare
le onde che si infrangevano e mandavano schiuma salta sul suo viso, cercò con
la mano il suo cane e lo accarezzò immaginando la lingua calda che le leccava
la mano. Guardò i gabbiani che volavano liberi, ricordò la voce di sua madre e
rimase immobile ad assaporare ogni sensazione, allontanandosi da quel lurido e
maleodorante posto.
A palazzo
nessuno sapeva quello che era successo ad Aghata. Sara, con discrezione la
cercava, erano passati due giorni e di lei non c’era traccia, così decise di
rivolgersi a Sofia. La raggiunse mentre era in pausa con le sue compagne. Buongiorno Sofia, sto cercando Aghata, tu
sai dov’è andata? La ragazza sbiancò e si allontanò dal gruppo. Io non so niente, se n’è andata senza dire
nulla a nessuno, tipico di una come lei comportarsi da primadonna! Le
rispose piccata. Sara non era una ingenua e conosceva meglio dell’altra gli
intrighi di palazzo, sapeva bene che nessuno si poteva allontanare, prese per
un braccio la ragazza e le si mise di fronte, la superava di una buona spanna,
e la costrinse ad alzare il viso. Tu sai
più di quanto dici! Se non mi rispondi metterò in giro dei pettegolezzi che ti
faranno finire nella gabbia! Sara era spaventata, pur sapendo che la lady
era dalla sua parte sapeva pure che il vento poteva cambiare in un attimo. Bhè, nella gabbia intanto ci è finita lei.
Con uno strattone si liberò e raggiunse le altre.
Era quello
che aveva temuto fin dall’inizio, fin dal suo tentato rapimento, era troppo
bella, troppo ingenua e troppo fiera per sopravvivere in quel posto senza
soffrire. Chissà cosa aveva passato in quei due giorni rinchiusa nei
sotterranei. Andò nella dispensa riservata ai lord e prese del cibo, lo nascose
e con l’aiuto di una guardia che ben conosceva si fece accompagnare alle
gabbie.
Scendeva i
gradini e quasi non riusciva a respirare per il fetore. Il guardiano li bloccò
ma la guardia gli passò qualcosa e li fece proseguire. Sara trovò Aghata
immobile sul pagliericcio con gli occhi chiusi. Aghata, sono Sara. La giovane pensava ancora di sognare e non si
mosse. Fu Eve ad avvicinarsi e a risvegliare Aghata. Si avvicinò alle sbarre,
sembrava irriconoscibile, i capelli sciolti e il viso sporco, era a piedi nudi
che affondavano in una melma scivolosa. Sara,
che ci fai qui? La ragazza aveva il viso bagnato di lacrime alla vista
della sua amica, ma cercò di riprendersi. Ti
ho portato qualcosa da mangiare e una coperta, ti ho cercata dappertutto, cosa
è successo? No, non parlare, prendi questa roba non posso rimanere oltre. Dio
come sei ridotta! Farò di tutto per aiutarti ma non ho molte possibilità. Cerca
di resistere. La salutò e ritornò velocemente ai suoi compiti, nessuno
doveva sapere che era scesa lì.
Aghata
chiamò Eve e divise con lei il cibo, le diede anche la coperta, aveva la
febbre, tremava e delirava, aveva bisogno di calore più di lei. Ora che la sua
amica l’aveva trovata aveva motivo di sperare. Si rimise nel suo angolo e tornò
alla sua scogliera.
illustrazione di Donatella Casiraghi - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti
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