venerdì 21 dicembre 2018

AGHATA


AGHATA

P. DICIOTTO







Il freddo intenso di quel sotterraneo entrava nelle ossa insieme alla grande umidità, erano bastate poche ore perché il corpo di Aghata risentisse di quel gelo. Ormai doveva essere giorno pieno e il sole doveva danzare fra le fronde tenere degli alberi che avevano aspettato la primavera così a lungo.
Se ne stava rannicchiata tenendo le ginocchia contro il corpo e si abbracciava per non disperdere nemmeno una briciola di calore. Le gabbie non avevano pareti, venivano così chiamate perché avevano solo sbarre. Non sapeva quante ce ne fossero, ma si sentivano vari lamenti e sospiri, alcune imprecazioni e percepiva tanta rabbia e dolore.
I suoi occhi si erano abituati a quella oscurità. Si avvicinò alle sbarre della gabbia di fianco alla sua, non sentiva nessun rumore provenire da lì, soltanto un respiro faticoso. Osservò il corpo di una ragazza sdraiata sul pagliericcio. Chi sei? Le chiese dolcemente. Ma non ottenne risposta. Ti prego, parla con me! disse a voce un po’ più alta. Il rumore della paglia umida le fece capire che, chiunque fosse quella ragazza, o donna si stava alzando. Era scalza, le vesti stracciate ed aveva il viso sporco e tumefatto. Si mise davanti ad Aghata, la osservava con occhi spiritati, sembrava non vedere niente, sembrava persa in un altro mondo o forse era la sua mente che l’aveva abbandonata.
Aghata, poggiando le mani sulle sue intorno alle sbarre le trasmise un po’ di calore. La riconobbe, era la ragazza che aveva visto portare via quando lei si trovava in giardino con lady Lucy. Poco alla volta la giovane riprese a respirare in modo più normale. Chi sei? Le chiese ancora una volta. Mi chiamo Eve. E tu chi sei? Batteva i denti dal freddo. Aghata si tolse le scarpe e passò le calze alla ragazza. Grazie, tu sei un angelo? Sono già morta? Chiese mentre indossava le calze ancora calde.  Mi chiamo Aghata, sono appena stata messa in gabbia. Non ho commesso nessun reato, ma credo che niente conti davanti alla parola del lord o della lady. Tu perché sei qui? Volle sapere. Eve si massaggiava le braccia nude e girava in tondo nella piccola cella. E’ stata la lady a farmi condurre qui. Il vice capitano delle guardie mi ha vista uscire dalla stanza del lord, avevo solo portato un secchio di acqua calda ma lui mi incolpò di essere stata nel suo letto, se l’avevo fatto col lord potevo concedermi anche a lui. Mi ha portato nella sua stanza ed ha abusato di me, poi mi ha consegnato alle guardie di lady Lucy dicendole che mi aveva colta con suo marito. Ed ora sono qui. Tremava dal freddo e dallo choc. Non doveva avere più di quindici anni. Una tristezza infinita strinse il cuore di Aghata. Non si poteva sopportare tanto dolore e tanta umiliazione, era solo una fanciulla e tante altre come loro chissà cosa avevano sopportato a palazzo. Non era umano, non era tollerabile.
Si rincantucciarono ognuna sul proprio giaciglio aspettando che venisse servito il pasto. Come si poteva resistere in un posto come quello? L’odore era la cosa peggiore che bisognava sopportare, e l’aria pulita era il desiderio maggiore, ancora di più del cibo.
Aghata riprese la sua posizione e chiuse gli occhi. Se voleva sopravvivere doveva imparare a resistere, lei voleva tornare a casa e giurò che, in un modo o nell’altro ci sarebbe riuscita. Cominciò ad immaginarsi sulla scogliera, ad ascoltare le onde che si infrangevano e mandavano schiuma salta sul suo viso, cercò con la mano il suo cane e lo accarezzò immaginando la lingua calda che le leccava la mano. Guardò i gabbiani che volavano liberi, ricordò la voce di sua madre e rimase immobile ad assaporare ogni sensazione, allontanandosi da quel lurido e maleodorante posto.
A palazzo nessuno sapeva quello che era successo ad Aghata. Sara, con discrezione la cercava, erano passati due giorni e di lei non c’era traccia, così decise di rivolgersi a Sofia. La raggiunse mentre era in pausa con le sue compagne. Buongiorno Sofia, sto cercando Aghata, tu sai dov’è andata? La ragazza sbiancò e si allontanò dal gruppo. Io non so niente, se n’è andata senza dire nulla a nessuno, tipico di una come lei comportarsi da primadonna! Le rispose piccata. Sara non era una ingenua e conosceva meglio dell’altra gli intrighi di palazzo, sapeva bene che nessuno si poteva allontanare, prese per un braccio la ragazza e le si mise di fronte, la superava di una buona spanna, e la costrinse ad alzare il viso. Tu sai più di quanto dici! Se non mi rispondi metterò in giro dei pettegolezzi che ti faranno finire nella gabbia! Sara era spaventata, pur sapendo che la lady era dalla sua parte sapeva pure che il vento poteva cambiare in un attimo. Bhè, nella gabbia intanto ci è finita lei. Con uno strattone si liberò e raggiunse le altre.
Era quello che aveva temuto fin dall’inizio, fin dal suo tentato rapimento, era troppo bella, troppo ingenua e troppo fiera per sopravvivere in quel posto senza soffrire. Chissà cosa aveva passato in quei due giorni rinchiusa nei sotterranei. Andò nella dispensa riservata ai lord e prese del cibo, lo nascose e con l’aiuto di una guardia che ben conosceva si fece accompagnare alle gabbie.
Scendeva i gradini e quasi non riusciva a respirare per il fetore. Il guardiano li bloccò ma la guardia gli passò qualcosa e li fece proseguire. Sara trovò Aghata immobile sul pagliericcio con gli occhi chiusi. Aghata, sono Sara. La giovane pensava ancora di sognare e non si mosse. Fu Eve ad avvicinarsi e a risvegliare Aghata. Si avvicinò alle sbarre, sembrava irriconoscibile, i capelli sciolti e il viso sporco, era a piedi nudi che affondavano in una melma scivolosa. Sara, che ci fai qui? La ragazza aveva il viso bagnato di lacrime alla vista della sua amica, ma cercò di riprendersi. Ti ho portato qualcosa da mangiare e una coperta, ti ho cercata dappertutto, cosa è successo? No, non parlare, prendi questa roba non posso rimanere oltre. Dio come sei ridotta! Farò di tutto per aiutarti ma non ho molte possibilità. Cerca di resistere. La salutò e ritornò velocemente ai suoi compiti, nessuno doveva sapere che era scesa lì.
Aghata chiamò Eve e divise con lei il cibo, le diede anche la coperta, aveva la febbre, tremava e delirava, aveva bisogno di calore più di lei. Ora che la sua amica l’aveva trovata aveva motivo di sperare. Si rimise nel suo angolo e tornò alla sua scogliera.



illustrazione di Donatella Casiraghi - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

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