AGHATA
P. OTTO
I lavori a
palazzo non si fermavano mai. Le serve erano sempre troppo occupate ma
trovavano comunque il tempo per spettegolare e amoreggiare con i loro compagni
di fatica. Molte coppie si formavano e altrettante si disfavano, non c’era
verso di fermare questa giostra di amori e amoreggiamenti.
Le ragazze
tornavano raramente a casa, due volte al mese quando erano fortunate. Sarebbero
rimaste per tre anni a servizio a palazzo, poi potevano scegliere se ritornare
in famiglia o rimanere, ma quasi sempre se ne andavano da quel posto, chi per
sposare l’amore che vi aveva trovato o per tornare dai genitori, per questo
c’era sempre bisogno di braccia giovani. La speranza di quel popolo così
laborioso e timorato di Dio era che nessuna richiesta venisse fatta per almeno
due anni.
Aghata aveva
sperato di poter lavorare all’aperto ma la sua richiesta, fino a quel momento
era rimasta inascoltata. Rimaneva nel suo angolo a pulire e lustrare ogni
genere di suppellettile e, se non fosse stato per le briciole di burro che riusciva
a rubare e qualche scaglia di sapone le sue mani sarebbero state completamente
rovinate.
Lavorava e
guardava le altre ragazze intente a pulire verdure e piccoli animali. Spesso le
invidiava, perché quando la cuoca non era presente potevano parlare fra di loro
e spesso le vedeva ridere. Sofia si era fatta alcune amiche e la stavano
trascinando nelle loro storie, avevano scoperto i ragazzi, ciò che a casa loro
sarebbe stato proibito dai genitori. Pur nell’assurdo della situazione qui a
palazzo si sentivano più libere e più grandi.
Aprile era
trascorso e Aghata si trovava spesso a guardare il cielo dalla piccola finestra
che aveva in alto di fronte al suo posto di lavoro. Pensava a quando era bella
la natura che si stava risvegliando, agli uccelli che avrebbero ripreso il loro
canto e ai loro piccoli coraggiosi che avrebbero imparato a volare. Alle
marmotte che si sarebbero svegliate, agli scoiattoli che avrebbero animato il
bosco con i loro saltelli. Le mancava tutto questo, le mancava il respiro del mare
e le onde che bisbigliavano direttamente al suo cuore. Si ritrovò con le guance
bagnate di lacrime, questa non era la sua vita, lei voleva respirare l’aria
salmastra e non i vapori spesso nauseabondi di cibi e verdure in cottura. A
forza di stare in cucina, circondata da ogni sorta di aromi e odori aveva perso
l’appetito. Era dimagrita e il suo bel viso si era assottigliato, prendendo una
colorazione malsana. Sofia, tutta presa dalle sue nuove amicizie e da un servo
giovane e bello non si accorgeva di niente. Aghata rimaneva spesso sola, non
parlava con nessuno e gli unici momenti liberi li trascorreva passeggiando in
un angolo dell’immenso parco, l’unico dove erano ammessi i servi.
Sentì il
capogiro che spesso ultimamente la coglieva arrivarle come un’onda che la fece
barcollare, non si accorse nemmeno di cadere svenuta.
Si risvegliò
nel lettuccio della sua stanza, era sola e non sapeva come ci fosse arrivata.
Si ritrovò ad asciugarsi altre lacrime e non era da lei quel modo di
comportarsi, ma le mancava troppo la sua libertà.
Sentì
bussare ed entrò una serva con del cibo e un catino di acqua tiepida. Era una
donna non più giovane che l’aiutò a mettersi seduta. Ho ordine tassativo di farti mangiare, non me ne andrò fino a quando
non avrai terminato ogni cosa che c’è sul vassoio. Aghata non aveva
assolutamente voglia di mangiare ma assaggiò quel cibo davvero delizioso e
riuscì a inghiottire qualcosa. Lei è
molto gentile. Disse alla donna che stava raccogliendo i resti per
andarsene. Non deve ringraziare me ma sir
Cortan, ha dato ordini tassativi per la sua ripresa. E’ esentata dai lavori per
almeno una settimana e domani mattina verrò ad aiutarla, sono a sua
disposizione per i prossimi giorni. Questi sono gli ordini che ho ricevuto. Uscì
lasciando Aghata esterrefatta.
I giorni
successivi, la donna, che si chiamava Ester li dedicò alla ragazza, la
costringeva a nutrirsi, l’accompagnava in brevi passeggiate nel parco così che
il colorito riprendeva a colorare le sue deliziose guance. Non parlavano molto
fra di loro, Aghata avrebbe voluto chiedere notizie ma aveva capito che da
quella donna non avrebbe ottenuto niente. Era l’ultimo giorno che avrebbero
passato insieme, Aghata era pronta per riprendere il suo lavoro e cercava di
farsi forza dicendosi che non sarebbe durato per sempre.
Ester e
Aghata erano sedute, silenziose quando sentirono dei passi e sir Cortan le
raggiunse. La cameriera si allontanò e li lasciò soli.
Vedo che si è ripresa, miss Aghata. Disse l’uomo.
Devo
ringraziare lei per il trattamento che ho ricevuto. Ora sono pronta per tornare
al lavoro e per ripagare quello che mi ha elargito. Aghata non osava alzare
lo sguardo. L’uomo le si sedette accanto ben attento a non sfiorarla. Rimasero
alcuni minuti in silenzio, poi lui si decise a parlare. Miss Aghata, vorrei che lei capisse che questo posto non è adatto alle
fanciulle come lei e, finchè sta in cucina è al sicuro, il palazzo è
pericoloso. Ci fu rumore di passi e si girarono per vedere chi stava
arrivando, pensavano fosse un servo visto che il luogo era loro adibito e
furono stupiti quando videro una bellissima donna.
Sir Cortan
scattò in piedi e salutò la nuova arrivata. Lady
Lucy, buon pomeriggio. Aghata ne aveva solo sentito parlare in cucina ed
ora che la vedeva di persona si accorse che era ancora più bella di quanto la
descrivessero. Lo sguardo della nuova arrivata passava dall’uno all’altra in
cerca di dettagli che le facessero capire cosa c’era fra quei due. Si avvicinò
alla ragazza. Chi è questa deliziosa
fanciulla, sir Cortan? Lui esitò in
cerca della risposta giusta. E’ la
sguattera di cucina, è stata male e sono venuto a sincerarmi che domani
riprenda il proprio lavoro.
Lady Lucy
alzò un sopracciglio e le sue labbra tirarono un sorriso ambiguo. Portatela da me, voglio conoscerla meglio.
E se ne andò.
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