lunedì 10 dicembre 2018

AGHATA


AGHATA

P. OTTO






I lavori a palazzo non si fermavano mai. Le serve erano sempre troppo occupate ma trovavano comunque il tempo per spettegolare e amoreggiare con i loro compagni di fatica. Molte coppie si formavano e altrettante si disfavano, non c’era verso di fermare questa giostra di amori e amoreggiamenti.
Le ragazze tornavano raramente a casa, due volte al mese quando erano fortunate. Sarebbero rimaste per tre anni a servizio a palazzo, poi potevano scegliere se ritornare in famiglia o rimanere, ma quasi sempre se ne andavano da quel posto, chi per sposare l’amore che vi aveva trovato o per tornare dai genitori, per questo c’era sempre bisogno di braccia giovani. La speranza di quel popolo così laborioso e timorato di Dio era che nessuna richiesta venisse fatta per almeno due anni.
Aghata aveva sperato di poter lavorare all’aperto ma la sua richiesta, fino a quel momento era rimasta inascoltata. Rimaneva nel suo angolo a pulire e lustrare ogni genere di suppellettile e, se non fosse stato per le briciole di burro che riusciva a rubare e qualche scaglia di sapone le sue mani sarebbero state completamente rovinate.
Lavorava e guardava le altre ragazze intente a pulire verdure e piccoli animali. Spesso le invidiava, perché quando la cuoca non era presente potevano parlare fra di loro e spesso le vedeva ridere. Sofia si era fatta alcune amiche e la stavano trascinando nelle loro storie, avevano scoperto i ragazzi, ciò che a casa loro sarebbe stato proibito dai genitori. Pur nell’assurdo della situazione qui a palazzo si sentivano più libere e più grandi.
Aprile era trascorso e Aghata si trovava spesso a guardare il cielo dalla piccola finestra che aveva in alto di fronte al suo posto di lavoro. Pensava a quando era bella la natura che si stava risvegliando, agli uccelli che avrebbero ripreso il loro canto e ai loro piccoli coraggiosi che avrebbero imparato a volare. Alle marmotte che si sarebbero svegliate, agli scoiattoli che avrebbero animato il bosco con i loro saltelli. Le mancava tutto questo, le mancava il respiro del mare e le onde che bisbigliavano direttamente al suo cuore. Si ritrovò con le guance bagnate di lacrime, questa non era la sua vita, lei voleva respirare l’aria salmastra e non i vapori spesso nauseabondi di cibi e verdure in cottura. A forza di stare in cucina, circondata da ogni sorta di aromi e odori aveva perso l’appetito. Era dimagrita e il suo bel viso si era assottigliato, prendendo una colorazione malsana. Sofia, tutta presa dalle sue nuove amicizie e da un servo giovane e bello non si accorgeva di niente. Aghata rimaneva spesso sola, non parlava con nessuno e gli unici momenti liberi li trascorreva passeggiando in un angolo dell’immenso parco, l’unico dove erano ammessi i servi.
Sentì il capogiro che spesso ultimamente la coglieva arrivarle come un’onda che la fece barcollare, non si accorse nemmeno di cadere svenuta.
Si risvegliò nel lettuccio della sua stanza, era sola e non sapeva come ci fosse arrivata. Si ritrovò ad asciugarsi altre lacrime e non era da lei quel modo di comportarsi, ma le mancava troppo la sua libertà.
Sentì bussare ed entrò una serva con del cibo e un catino di acqua tiepida. Era una donna non più giovane che l’aiutò a mettersi seduta. Ho ordine tassativo di farti mangiare, non me ne andrò fino a quando non avrai terminato ogni cosa che c’è sul vassoio. Aghata non aveva assolutamente voglia di mangiare ma assaggiò quel cibo davvero delizioso e riuscì a inghiottire qualcosa. Lei è molto gentile. Disse alla donna che stava raccogliendo i resti per andarsene. Non deve ringraziare me ma sir Cortan, ha dato ordini tassativi per la sua ripresa. E’ esentata dai lavori per almeno una settimana e domani mattina verrò ad aiutarla, sono a sua disposizione per i prossimi giorni. Questi sono gli ordini che ho ricevuto. Uscì lasciando Aghata esterrefatta.
I giorni successivi, la donna, che si chiamava Ester li dedicò alla ragazza, la costringeva a nutrirsi, l’accompagnava in brevi passeggiate nel parco così che il colorito riprendeva a colorare le sue deliziose guance. Non parlavano molto fra di loro, Aghata avrebbe voluto chiedere notizie ma aveva capito che da quella donna non avrebbe ottenuto niente. Era l’ultimo giorno che avrebbero passato insieme, Aghata era pronta per riprendere il suo lavoro e cercava di farsi forza dicendosi che non sarebbe durato per sempre.
Ester e Aghata erano sedute, silenziose quando sentirono dei passi e sir Cortan le raggiunse. La cameriera si allontanò e li lasciò soli.
Vedo che si è ripresa, miss Aghata. Disse l’uomo.
 Devo ringraziare lei per il trattamento che ho ricevuto. Ora sono pronta per tornare al lavoro e per ripagare quello che mi ha elargito. Aghata non osava alzare lo sguardo. L’uomo le si sedette accanto ben attento a non sfiorarla. Rimasero alcuni minuti in silenzio, poi lui si decise a parlare. Miss Aghata, vorrei che lei capisse che questo posto non è adatto alle fanciulle come lei e, finchè sta in cucina è al sicuro, il palazzo è pericoloso. Ci fu rumore di passi e si girarono per vedere chi stava arrivando, pensavano fosse un servo visto che il luogo era loro adibito e furono stupiti quando videro una bellissima donna.
Sir Cortan scattò in piedi e salutò la nuova arrivata. Lady Lucy, buon pomeriggio. Aghata ne aveva solo sentito parlare in cucina ed ora che la vedeva di persona si accorse che era ancora più bella di quanto la descrivessero. Lo sguardo della nuova arrivata passava dall’uno all’altra in cerca di dettagli che le facessero capire cosa c’era fra quei due. Si avvicinò alla ragazza. Chi è questa deliziosa fanciulla, sir Cortan?  Lui esitò in cerca della risposta giusta. E’ la sguattera di cucina, è stata male e sono venuto a sincerarmi che domani riprenda il proprio lavoro.
Lady Lucy alzò un sopracciglio e le sue labbra tirarono un sorriso ambiguo. Portatela da me, voglio conoscerla meglio. E se ne andò.

illustrazione di Donatella Casiraghi - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

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