AGHATA
P. TRE
Aprile
arrivò con venti più tiepidi. Aghata passava molto tempo sulla scogliera a
guardare il mare. Sua madre, sull’uscio di casa la sorvegliava spesso, avrebbe
voluto chiamarla, spiegarle, poi sospirando rientrava e piangeva in silenzio.
Aghata
conosceva il dolore che i suoi genitori stavano provando, conosceva troppe cose
e altrettante ne vedeva, la sua mente sembrava un’immensa voragine dove entrava
e usciva di tutto e questo, spesso la faceva soffrire.
I suoi occhi
erano come fari, ogni volta che si soffermavano su qualcuno trasmettevano a lei
e a chi aveva di fronte sensazioni reciproche. Conosceva da sempre questa percezione,
per questo desiderava tanto andarsene dove nessuno la conosceva, anche se
sapeva che tutto questo non l’avrebbe mai abbandonata.
Erano
giornate soleggiate, così rare in quel periodo e le donne avevano iniziato i
grandi lavori di pulizia mentre gli uomini erano nei campi a raccogliere le
ultime patate rimaste, ormai quasi immangiabili.
Book le
stava al fianco e non l’abbandonava mai. Aghata si abbassò e lo guardò negli
occhi. Il cane guaì, aveva capito che presto, la sua adorata padroncina lo
avrebbe abbandonato.
Era la sera
della riunione del clan. Tutto il villaggio si era radunato nella grande sala
del pub. Il vecchio David, il loro capo indiscusso fece cenno a tutti di fare
silenzio.
Vedo che avete consegnato la merce e
i capi di bestiame che il lord ci ha chiesto. (Il nome di quel tiranno veniva
espresso il meno possibile). Ora dobbiamo
scegliere le dieci ragazze da inviare al castello, l’incaricato del lord
passerà a controllarle una per una, come sempre. Ci fu un mormorio animato
che l’uomo placò con un gesto. Sapete
bene che non possiamo ribellarci. Farò in modo di scegliere fanciulle di
famiglie che ancora non hanno inviato nessuna figlia, ma so che sarà
impossibile.
Alcune donne
avevano gli occhi lucidi di lacrime e tanta rabbia nel cuore sapendo di non
poter evitare quell’obbligo.
Il capo clan
riprese la parola e scandì i nomi delle dieci ragazze, compreso quello di
Aghata. Voi fanciulle, domani vi
presenterete qui nel vostro miglior assetto possibile. Io sarò al vostro fianco
mentre il delegato del lord farà la sua valutazione. Non voglio storie, questa
è la regola. Nel numero delle dieci ragazze c’era anche sua figlia, Sofia,
la sua unica figlia femmina, e anche il suo cuore si stava lacerando dal dolore
del distacco. Davanti al suo esempio, nessuna delle famiglie coinvolte ebbe il
coraggio di protestare.
La stanza,
piena di gente e di fumo era stranamente silenziosa. Ognuno aveva nel proprio
cuore il dolore e la rabbia di non potersi ribellare. Le loro figlie, una volta
inviate al castello, non sempre ritornavano e molto spesso subivano soprusi e
angherie che non avevano il coraggio di raccontare. Anche molti ragazzi venivano
inviati per umili lavori, si aspettavano anche questa richiesta che,
stranamente non era arrivata. Certo sapevano che i lavori più importanti
venivano svolti da persone mandate dall’alto, nessuno del posto ricopriva posti
di rilievo, erano considerati semplicemente manovalanza di bassa lega e come
tali venivano trattati.
Si alzò in
piedi il vecchio Hugo e si rivolse al capo clan. Perché dobbiamo sottostare a tutto quello che ci viene imposto dal
castello? Stava continuando il discorso ma David si alzò immediatamente in
piedi. Taci! Non dire un’altra parola!
Il vecchio Hugo si sedette ma continuò a borbottare. Lo avrebbero trovato
cadavere due giorni dopo sul ghiaccio scivoloso di un ruscello.
Sì,
nonostante la lealtà e la fratellanza di quel clan c’erano anche alcuni
delatori che per soldi o per altro si erano abbassati ad essere delle spie al
soldo del lord.
Aghata
guardò il vecchio Hugo seduto e imbronciato, avrebbe voluto avvicinarsi ma sua
madre la trattenne con la forza. Allora la ragazza alzò lo sguardo e i suoi
splendidi occhi verdi spaziarono in quel salone e si piantarono nel viso di un
uomo, di uno di loro e capì che era la spia. Anche l’uomo percepì un certo
disagio ma non fece una mossa e nessun altro si accorse di niente.
La riunione
era terminata e venne servita della birra. Arian si avvicinò a David e chiese
se poteva parlargli. L’uomo la fece sedere al suo tavolo allontanando gli
altri, era costume ascoltare in privato chi chiedeva udienza al capo clan.
Ho visto che anche tua figlia Sofia
verrà inviata al castello. L’uomo fece un cenno col capo. Tu
sai che mia figlia non è come le altre e ti chiedevo se tua figlia la potesse
tenere vicino a sé, che l’aiutasse ad ambientarsi, che le insegnasse come
comportarsi. Ho davvero paura di quello che le può succedere! Il capo David
già sapeva ogni cosa e le assicurò che avrebbe parlato con Sofia e avrebbe
fatto in modo che potessero lavorare vicine.
Sollevata,
ma sempre troppo preoccupata, Arian lasciò il posto ad altri. Tornò da suo
marito e da sua figlia e, nel buio e freddo di quella notte stellata
ritornarono a casa.
Sapevano
tutti e tre che non c’era bisogno di parlare, Aghata aveva già capito. Dormi bene, figlia mia, domani dovrai essere
presentata al delegato del lord.
Si spensero
le candele e il silenzio accompagnò quella notte insonne perfino per Book.
Illustrazione di Donatella Casiraghi. Diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti
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