giovedì 6 dicembre 2018

AGHATA


AGHATA

P.CINQUE





Le ragazze si sentivano spaesate in quell’ambiente. Abituate a piccole casupole ora si ritrovavano in un grande palazzo con stanze enormi e camini grandi come tutta la loro casa. C’era chi era addetta a portare la legna in ogni stanza, chi toglieva ogni giorno le lenzuola, chi lavava, chi cucinava, c’erano addette e addetti numerosi per ogni incombenza. Sofia aiutava la cuoca e Aghata svolgeva i lavori più umili: puliva grandi pentole e ogni tipo di accessorio, tutto doveva essere brillante e pulito in quanto la governante faceva spesso ispezioni a sorpresa. La cuoca veniva dalla città, come ogni responsabile di settore e dirigevano il loro piccolo pezzo di mondo con estrema severità dispensando punizioni anche corporali che facevano spesso piangere le fanciulle appena arrivate.
Il personale che serviva in quel posto già da un po’ di tempo aveva imparato a schivare punizioni e rimproveri, cosi che le colpe cadevano inesorabilmente sulle ultime arrivate. Anche la cuoca non era diversa, chiunque avesse un briciolo di potere lo esercitava sui sottoposti con estrema soddisfazione.
Sofia stava silenziosamente piangendo, aveva rovesciato un vaso di conserva e la cuoca l’aveva selvaggiamente picchiata col mestolo. Le sue povere mani sanguinavano e le aveva avvolte in una pezza per poter continuare il lavoro. Aghata osservava ogni cosa, ogni movimento e si teneva in disparte, ma non poteva lasciare che Sofia soffrisse così e da sola.
Posò quello che aveva in mano e si avvicinò alla sua amica. Erano lì da tre giorni e dormivano nella stessa stanzetta, avevano cominciato ad affezionarsi l’un l’altra. Aghata prese le mani di Sofia e tolse le bende. Erano incrostate di sangue secco e i tagli erano numerosi. Si guardò intorno e non vide la cuoca ma solo altre sguattere. Alzò su di loro il suo sguardo e quelle non guardarono più verso di loro. Aghata prese del burro e lo spalmò sulle ferite, strappò strisce di tela da un bianco grembiule e fasciò di nuovo le mani dell’amica. Vedrai che ora starai meglio e domani i tagli saranno rimarginati. Ripresero il loro lavoro.
Il burro mancante e il grembiule strappato non sfuggirono alla cuoca che chiamò tutte intorno a sé. Voglio delle spiegazioni. Disse agitando il tanto temuto mestolo di legno pesante. Nessuna osava né guardare né parlare, e quella ripetè loro la domanda. Ancora nessuna risposta. Ho capito, prenderò una a caso e la punirò! Sembrava che nessuna respirasse. Sofia tentò di lasciare la mano di Agata per farsi avanti ma la sua amica la trattenne e fece lei un passo avanti.
Si mise davanti alla cuoca senza parlare, mentre tutte le altre stavano in silenzio a guardare. Aghata alzò il suo sguardo sulla cuoca e le puntò gli occhi negli occhi. Sono stata io, punisca me.
La donna sentiva le viscere brontolare come quando mangiava troppo cavolo e una strana sensazione di malessere le trafisse il torace. Aghata era in piedi ed aspettava che quella si decidesse. Passarono secondi interminabili prima che la cuoca parlasse. Osservò le mani di Sofia ben sapendo che con quelle ferite non avrebbe potuto lavorare. Per stavolta passi, ma la cosa non dovrà ripetersi o avrai anche quello che oggi ti ho risparmiato. Ora ritornate tutte al lavoro o non avrete nemmeno gli avanzi per la vostra cena.
Non se lo fecero ripetere. Già, nonostante lavorassero nella grande cucina del castello era loro proibito perfino assaggiare il cibo e si nutrivano di quello che ritornava dalla grande sala da pranzo.
Intanto nel salone riservano al lord e ai suoi più fidati collaboratori si stava svolgendo una riunione. Boccali di vino e di birra, grossi pani con formaggi e carne su vassoi erano posati sul grande tavolo ed ognuno si serviva di quello che voleva. Avevano terminato la loro discussione ed erano passati ad argomenti più leggeri.
Dimmi Cortan, come sono le giovani pulzelle appena arrivate? Mi dicono che ce ne siano di davvero desiderabili! Disse il lord, e tutti risero sguaiatamente. Cortan non era uomo avvezzo a volgarità gratuite, lo sapevano tutti e lo avevano soprannominato il pudico, perché a differenza degli altri non prendeva nessuna femmina con la forza, a dire il vero mai nessuno lo aveva visto giacere con una donna. Sono giovani fanciulle, ancora impaurite, hanno bisogno di tempo per adattarsi al castello, ma sono certo che non deluderanno le aspettative di sua signoria. Prese del pane e lo masticò lentamente. E quando avremo l’onore di conoscere le più belle? Continuò il lord. Cortan sapeva dei vizi del suo lord e di quelli che lo circondavano. Troppe volte aveva dovuto porre rimedio alle malefatte di quella gente. Nessuno conosceva la sua storia personale, sapevano soltanto che si poteva sempre contare su di lui e che era assolutamente leale al suo lord. Al momento opportuno. Rispose chiudendo il discorso.
Lord Aram era un uomo sposato. Sua moglie Lucy era una donna bellissima dal carattere perfido e vendicativo. Conosceva i tradimenti di suo marito e ne soffriva, perché tutti ne erano a conoscenza, per questo si sfogava su chi le stava intorno e diventava sempre più difficile trovare dame e cameriere che durassero al suo servizio per più di poco tempo. Avevano due figli maschi e una femmina, la discendenza era assicurata, così la donna si rifiutava di dormire con suo marito fin dalla nascita del terzo figlio, ed erano passati già cinque anni. Aveva varie passioni, passava il tempo cavalcando, coltivando il suo giardino, dipingendo ma quello che le faceva più piacere era infliggere dolore alle belle ragazze che sapeva essere state con suo marito. Ne godeva e sapeva che nessuno l’avrebbe contrastata.


illustrazione di Donatella Casiraghi - Proprietà e diritti riservati di Milena Ziletti

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