ESTERINA
P. QUATTORDICI
I raccolti sono mietuti anche quest’anno. L’uva
presto verrà vendemmiata e alcuni animali saranno macellati. Ancora una volta
ci prepariamo per l’inverno e, ancora la guerra non è finita. Il 1917 è stato
pieno di sorprese per me, la lettera di Alberto, quella di mio padre, e mi devo
accontentare. Sono stata più fortunata di molti altri. Il “dannato dispaccio”
non è arrivato e Albina comincia a nutrire speranza nel cuore. Nel mio non è
mai cessata: la speranza e la certezza che prima o poi questo pazzo mondo dovrà
tornare alla normalità. La convivenza con mia madre per ora continua senza
sorprese, ma so che mi guarda spesso cercando di carpirmi i pensieri. Ho deciso
che la prossima primavera troverò il modo di recarmi dal notaio. Per ora
continuo la mia solita vita.
Ogni famiglia si sta preparando ad un altro
inverno freddo e insidioso. La legna è pronta in ogni casa, i ragazzi hanno
raccolto anche i più piccoli ramoscelli, niente viene scartato o buttato. Siamo
ancora qui, sempre più tristi, sempre più vecchi e più malati aspettando la
fine della guerra per avere un nuovo inizio.
01
dicembre 1917. Caro Diario. Oggi è stata una giornata tremenda. Alcuni ragazzi
sono tornati. Uno senza un braccio, uno senza una gamba, uno senza gli occhi,
altri talmente magri e debilitati da dover essere accompagnati da altri amici.
Io non ho mai visto niente di simile! Le loro povere famiglie li hanno accolti
solo piangendo. Ora dovranno essere curati, ma da chi? Manca tutto, non ci sono
medicine, non c’è un dottore, tutto è sulle spalle delle loro famiglie. Ma,
nonostante tutto questo, sono felici di essere tornati a casa. Ancora una volta
maledico questa guerra e tutti quelli che l’hanno voluta!
Il freddo e la neve accoglie anche questo Natale
che passa senza festeggiamenti e senza fronzoli. Almeno i più piccoli avrebbero
diritto ad un po’ di gioia, ma nessuno riesce ad averne.
Arrivano notizie che anche il nostro re stia pensando
di ritirarsi dalla guerra, ma nessuno sa se c’è qualcosa di vero in queste
dicerie. C’è soltanto molta voglia che tutto questo finisca e questo fa nascere
discorsi più dettati dal desiderio che dalla realtà.
E’ una stagione fredda e gelida, identica a
quelle precedenti, ma molti anziani sono morti portati via dalla tubercolosi e
dalla dissenteria.
In casa mia tutto è immutato, tutto è in attesa
di quello che può avvenire.
Io rimango nella mia camera, leggo libri, e
rileggo la lettera di mio padre.
Aspetto notizie, e il disgelo.
Anno 1918. E’ iniziato l’anno nuovo. Dio dacci
finalmente la pace nel mondo.
Mentre questo inverno trascorre identico a
quelli precedenti, tutti sappiamo che sarà un altro anno di guerra. Le nostre
preghiere, le nostre speranze si infrangono nella realtà che ci circonda e che
non ci dà motivo di essere felici.
20 marzo
1918. Caro Diario. I soldati che sono tornati a casa dal fronte non sono
sopravvissuti tutti. Abbiamo già partecipato a cinque funerali dei nostri
giovani. Non so descrivere il dolore delle loro famiglie: erano contenti di
averli a casa anche se erano malati, storpi o amputati. Ma non ce l’hanno
fatta. Quando sono arrivati in paese c’è stata quasi aria di festa, ma è durata
poco. Le loro condizioni erano talmente gravi che tutta la comunità si è
impegnata ad aiutarli. Erano pieni di pidocchi e di zecche, molte ferite erano
infette, i loro corpi talmente magri ed emaciati che a stento siamo riusciti a
riconoscerli. Nessuno di loro ha voluto, fin’ora, parlare della loro esperienza
al fronte. Hanno solo tanta voglia di guarire nel corpo per poi poter guarire
anche nell’anima. Molti sono fortunati perché hanno ritrovato genitori o mogli,
ma alcuni non hanno più trovato nessuno della propria famiglia e sono stati
ospitati da altri parenti. Ho visto Guglielmo, che era molto amico di Alberto,
e mi sono fermata a parlare un po’ con lui. Ha solo 21 anni ma la faccia e
l’espressione sono quelli di un vecchio. Ci siamo solo salutati, lui non aveva
voglia di parlare, non mi ha nemmeno chiesto notizie di Alberto. Avrei voluto
stringerlo fra le braccia e trasmettergli un po’ di calore, ma penso che, oltre
che sconveniente, sarebbe stato un gesto non capito. I suoi genitori mi hanno
chiesto di ritornare, ma non sono sicura di poterlo fare. In tante famiglie si
stanno dannando l’anima per aiutarli e rimetterli in salute; molti genitori
rinunciano al cibo per loro, per rifocillarli e per fare in modo che si
riprendano in fretta. Ma il nostro re, ha mai pensato a tutto questo? Io non
capisco.
Per fortuna le stagioni ci aiutano tutti. La
primavera si sta preannunciando con viole e primule sparse nelle rive dei
campi. Anche il bel tempo sembra sia impaziente di arrivare e, noi tutti, lo
aspettiamo con nuova speranza.
In casa mia sembra di stare in una chiesa, tanto
è il silenzio che c’è. Mia madre non è cambiata, continua il suo lavoro e si
cura poco, apparentemente, di me.
Alberto non mi ha più scritto ma io sono sicura
di essere nel suo cuore. Credo, credo, credo, che questo sarà l’anno della
pace.
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