ESTERINA
P. SETTE
Abbiamo saputo che i combattimenti sull’Isonzo
si sono molto intensificati. I nostri soldati hanno l’ordine di tenere i
confini e lo faranno a costo della loro stessa vita.
Io non capisco: che senso ha la guerra? A cosa
serve? Mi pare che sia solo sofferenza e dolore, chi è che ci guadagna in tutto
questo? Possibile che il nostro re non sappia quanto dolore sta provocando a
tutte le famiglie? Mi hanno insegnato a rispettarlo e a volergli bene, ma non
ci riesco più.
Anche mio padre sta cambiando atteggiamento e si
scaglia con parole grosse e irripetibile contro il ritratto della famiglia
reale. Vorrebbe buttarlo nel fiume, ma sa che non lo può fare. Mia madre tiene
sotto controllo anche gli scoppi d’ira di mio padre, che temo, abbia anche
cominciato a bere di nascosto.
30
settembre 1915. Caro Diario. Questa mattina sono uscita presto e sono stata al
fiume. Mi sono fermata a ricordare gli ultimi momenti passati con Alberto. Non
ho ancora ricevuto suo notizie e sono molto preoccupata. Anche Alfredo non si è
ancora fatto vivo e, in famiglia, c’è molta apprensione. Mentre pedalavo sulla
mia bicicletta guardavo i campi quasi pronti per l’inverno. Le donne ed i
ragazzi hanno svolto proprio un bel lavoro e sono fiera di aver contribuito
anch’io. Con l’arrivo della stagione fredda si intensificheranno anche i
disagi. Tutto il paese è col fiato sospeso. Tutti temiamo la consegna del
“dannato dispaccio”. In alcuni paesi vicini hanno cominciato ad arrivare e
molte donne sono già vedove, ci sono già orfani e genitori senza più figli.
Maledetta guerra e maledetto chi l’ha voluta.
E’ con molta tristezza che rientro a casa.
Pedalo lentamente e guardo il fiume, non riesco nemmeno a cantare una canzone,
dov’è finita la mia giovinezza? Non devo lasciarmi prendere dallo sconforto,
perché quando Alberto tornerà avrà bisogno di tutta la mia allegria.
Appoggio la bicicletta contro il muro e vedo
Mariuccia che mi corre incontro. “Esterina,
ti ho cercato dappertutto, deve essere successo qualcosa, in casa di Alberto è
arrivato uno di quei dispacci, ma non so cosa ci fosse scritto. Stanno tutti
piangendo e…”
Riprendo la mia bicicletta e come un fulmine
sono davanti alla casa di Alberto. Adesso cosa faccio? Non ho il coraggio di
entrare.
Sento pianti e lamenti e vorrei scappare via. Ma
io non sono una codarda, mi faccio forza e busso alla porta. La signora Albina
mi vede e mi abbraccia “E’ caduto
Gabriele, al fronte, non ce l’ha fatta.” Fa fatica a spiegarsi ma capisco
che il dispaccio riguarda Gabriele e non Alberto. Pur con grande dolore mi
sento sollevata e, dentro di me un poco me ne vergogno. Gabriele lascia una
moglie e due bambini e questo è ingiusto.
Saluto, faccio le mie condoglianze e ritorno a
casa. Lungo la strada vedo altre famiglie distrutte dal dolore, oggi i dispacci
arrivano nel nostro paese e sento una fitta di presentimento nel cuore.
Entro in casa di corsa e vedo mio padre
accasciato sulla poltrona. Non servono parole per capire che anche Alfredo ha
lasciato la sua vita in riva a quel dannato fiume. Mia madre è al suo fianco in
attesa della sua reazione che, stranamente, tarda ad arrivare.
Mi siedo
anch’io con loro e sono la prima che inizia a piangere. Alfredo era il mio
unico fratello e lo amavo, era sempre gentile con la sua sorellina minore e
tante volte mi ha difeso dalle mani lunghe di mia madre. Ora non lo rivedrò
più. Morire a vent’anni, lontano da casa deve essere davvero terribile.
L’autunno è passato e l’inverno sta arrivato
preannunciato già dal gelo. In casa mia le cose sono cambiate. Mio padre ha
perso la voglia di vivere e di lottare, si rifugia nel suo studio e si
stordisce di alcol e sigari. Quando viene a tavola per cena è quasi irriconoscibile.
Mia madre lo guarda con disprezzo e non si capacita della sua caduta morale
(sono parole sue). Tocca a lei mandare avanti i lavoranti e la casa, se non
fosse per lei andrebbe tutto alla malora. Io vorrei parlargli ma è come
penetrare in un muro: la perdita del suo unico figlio gli ha fatto perdere
anche la ragione e la voglia di vivere.
In paese
le campane suonano spesso a morto e ormai, dopo un frettoloso segno della croce,
aspettiamo di conoscere chi ha subito un altro lutto.
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