ESTERINA
P. UNDICI
Sono sicura che vorrebbe strapparmela dalle mani
ma non osa farlo.
E’ solo una lettera e la guerra non è ancora
finita, e Alberto è ancora lontano e in pericolo. Uno sguardo stizzito e si
gira come se l’avessi offesa. Non mi importa mamma, non mi importa di quello
che pensi, e salgo di corsa le scale.
Ho il fiatone quando chiudo la porta e appoggio
la lettera sul letto. E’ sporca e stropicciata, chissà quanta strada ha fatto
prima di arrivare fino a me. Ho quasi timore ad aprirla, l’ho tanto desiderata
che mi sembra un miracolo. Non resisto un attimo di più, la apro, e alcuni
fogli cadono silenziosamente sul letto. Li raccolgo, li metto in ordine e
comincio a leggere.
“Mia
bellissima Esterina. Quanto tempo è passato da quando ci siamo lasciati. Non
passa giorno che mi svegli e non riveda il tuo bel viso con tante lentiggini
colorate, il tuo sorriso meraviglioso che mi tiene compagnia in ogni momento.
Qui è difficile avere tempo per scrivere. Ora sono in infermeria per curare una
piccola ferita e approfitto per mandarti questa lettera. Non ti preoccupare,
sono quasi guarito e presto tornerò a combattere. Spero che voi ve la passiate
meglio che qui. Ti garantisco che la vita di soldato non è facile e ci fanno
compagnia la paura e il dolore.
Sono
sicuro che vorrai sapere come ho passato questi anni in trincea e mi sembra
giusto raccontarti un poco di questa vita.
All’inizio
è stato tremendo. Siamo stati mandati allo sbaraglio con poche armi e
munizioni, con l’ordine di tenere il confine all’Isonzo. Quante battaglie!
Quanti giovani coraggiosi morti in un amen! I nostri comandanti avevano ordini
precisi: non bisogna mollare il territorio, costi quel che costi. I ragazzi in
prima linea cadevano come mosche, e a gruppi di cinquanta soldati venivamo
mandati a sostituire i morti. Poi altri soldati sostituivano gli altri morti e
così, siamo andati avanti per settimane. Sono morti a decine di migliaia. La
paura si respirava in ogni fiato. Nelle buche scavate nella terra ci trovavamo
in 15 o più ragazzi. Ci rimanevamo anche alcuni giorni, con poco cibo, molta
paura, con la dissenteria che ci ha colpiti tutti. Non puoi immaginare il
freddo e la fame che abbiamo patito in quei giorni. Nelle “buche” si moriva più
di stenti che di pallottole o baionette. Ho visto soldati feriti e moribondi
lasciare sul terreno pezzi di carne a brandelli. All’inizio pensavo di non
farcela a sopportare tutto questo schifo ma poi, ci ho fatto il callo e ho
cercato di aiutare tutti quelli che potevo. Ho ucciso anche molti nemici, ma ti
giuro, è veramente terribile toglier la vita ad un essere umano. Anche loro
sono ragazzi come noi e quando li guardi negli occhi è sempre molto difficile
colpirli. Ognuno di noi spera di sparare a soldati lontani per non guardare la
vita che li abbandona. Sono diventato un bravo tiratore ed il mio capitano mi
ha tolto spesso dalla prima linea perché insegnassi anche a tanti altri giovani
come si spara a distanza. Nei momenti di riposo, quando hai la branda a
disposizione non riesci a fare altro che dormire. Tante volte avrei voluto
fermarmi e scriverti un biglietto, ma non ci sono mai riuscito. Se non avessi
dormito almeno un po’, non sarei stato in grado di riprendere a combattere. Non
puoi immaginare quante mani e piedi sono stati amputati a causa del gran
freddo. E nei mesi caldi la dissenteria la faceva da padrona. Fare un bagno non
fa parte di questa vita ed io, solo adesso che sono in infermeria, mi sono
potuto lavare tutto. Se i giorni sono stati tremendi non puoi immaginare come
sono state le notti. Quando si è in prima linea, nelle “buche” di notte, la
paura non abbandona nessuno. Non si sa mai che il nemico possa arrivare non
visto e, con una sola bomba, uccidere tutti gli occupanti. Anche se si è di
guardia e si ha paura è difficile rimanere svegli a lungo e, quando spunta
l’alba, e ci si ritrova ancora tutti insieme e vivi è già un piccolo miracolo.
Durante
una delle più terribili battaglie eravamo in duemila circa a combattere, e
siamo ritornati solo in dieci. Il terreno era lastricato di cadaveri e sembrava
un cimitero a cielo aperto. I corpi disseminati sul terreno erano uno
spettacolo disumano. Qualcuno ha scattato una fotografia, perché si possa
vedere il massacro che ci è stato ordinato.
Non c’è
umanità in tutto questo! E tutti noi preghiamo che finisca presto. All’inizio
della guerra molti di noi erano fieri e orgogliosi di combattere per il proprio
Paese ma, a lungo andare, ogni velleità è sparita per lasciare il posto al mero
istinto di sopravvivenza. Tutti noi
abbiamo qualcuno dal quale tornare e quanti rimarranno delusi nel non veder
tornare il proprio caro. Se penso che tutto questo disastro si può protrarre
ancora a lungo mi sembra di impazzire. Mia adorata Esterina, se non ci fossi tu
a tenermi compagnia non avrei niente di bello da portarmi nel cuore. Sono
sicuro che lì va tutto bene, voglio crederlo. Nel mio cuore c’è ancora quella
promessa che ci siamo scambiati, è lì dove nessuno la può toccare. Adesso devo
salutarti e, ti prego, porta un saluto alla mia famiglia, dì loro che non so
niente di Gabriele ma spero che stia bene anche lui. Un grosso, grossissimo
bacio e un arrivederci a presto.
Tuo per
sempre. Alberto
immagine dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti
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