venerdì 8 marzo 2019

ESTERINA


ESTERINA

P. UNDICI






Sono sicura che vorrebbe strapparmela dalle mani ma non osa farlo.

E’ solo una lettera e la guerra non è ancora finita, e Alberto è ancora lontano e in pericolo. Uno sguardo stizzito e si gira come se l’avessi offesa. Non mi importa mamma, non mi importa di quello che pensi, e salgo di corsa le scale.

Ho il fiatone quando chiudo la porta e appoggio la lettera sul letto. E’ sporca e stropicciata, chissà quanta strada ha fatto prima di arrivare fino a me. Ho quasi timore ad aprirla, l’ho tanto desiderata che mi sembra un miracolo. Non resisto un attimo di più, la apro, e alcuni fogli cadono silenziosamente sul letto. Li raccolgo, li metto in ordine e comincio a leggere.

“Mia bellissima Esterina. Quanto tempo è passato da quando ci siamo lasciati. Non passa giorno che mi svegli e non riveda il tuo bel viso con tante lentiggini colorate, il tuo sorriso meraviglioso che mi tiene compagnia in ogni momento. Qui è difficile avere tempo per scrivere. Ora sono in infermeria per curare una piccola ferita e approfitto per mandarti questa lettera. Non ti preoccupare, sono quasi guarito e presto tornerò a combattere. Spero che voi ve la passiate meglio che qui. Ti garantisco che la vita di soldato non è facile e ci fanno compagnia la paura e il dolore.
Sono sicuro che vorrai sapere come ho passato questi anni in trincea e mi sembra giusto raccontarti un poco di questa vita.
All’inizio è stato tremendo. Siamo stati mandati allo sbaraglio con poche armi e munizioni, con l’ordine di tenere il confine all’Isonzo. Quante battaglie! Quanti giovani coraggiosi morti in un amen! I nostri comandanti avevano ordini precisi: non bisogna mollare il territorio, costi quel che costi. I ragazzi in prima linea cadevano come mosche, e a gruppi di cinquanta soldati venivamo mandati a sostituire i morti. Poi altri soldati sostituivano gli altri morti e così, siamo andati avanti per settimane. Sono morti a decine di migliaia. La paura si respirava in ogni fiato. Nelle buche scavate nella terra ci trovavamo in 15 o più ragazzi. Ci rimanevamo anche alcuni giorni, con poco cibo, molta paura, con la dissenteria che ci ha colpiti tutti. Non puoi immaginare il freddo e la fame che abbiamo patito in quei giorni. Nelle “buche” si moriva più di stenti che di pallottole o baionette. Ho visto soldati feriti e moribondi lasciare sul terreno pezzi di carne a brandelli. All’inizio pensavo di non farcela a sopportare tutto questo schifo ma poi, ci ho fatto il callo e ho cercato di aiutare tutti quelli che potevo. Ho ucciso anche molti nemici, ma ti giuro, è veramente terribile toglier la vita ad un essere umano. Anche loro sono ragazzi come noi e quando li guardi negli occhi è sempre molto difficile colpirli. Ognuno di noi spera di sparare a soldati lontani per non guardare la vita che li abbandona. Sono diventato un bravo tiratore ed il mio capitano mi ha tolto spesso dalla prima linea perché insegnassi anche a tanti altri giovani come si spara a distanza. Nei momenti di riposo, quando hai la branda a disposizione non riesci a fare altro che dormire. Tante volte avrei voluto fermarmi e scriverti un biglietto, ma non ci sono mai riuscito. Se non avessi dormito almeno un po’, non sarei stato in grado di riprendere a combattere. Non puoi immaginare quante mani e piedi sono stati amputati a causa del gran freddo. E nei mesi caldi la dissenteria la faceva da padrona. Fare un bagno non fa parte di questa vita ed io, solo adesso che sono in infermeria, mi sono potuto lavare tutto. Se i giorni sono stati tremendi non puoi immaginare come sono state le notti. Quando si è in prima linea, nelle “buche” di notte, la paura non abbandona nessuno. Non si sa mai che il nemico possa arrivare non visto e, con una sola bomba, uccidere tutti gli occupanti. Anche se si è di guardia e si ha paura è difficile rimanere svegli a lungo e, quando spunta l’alba, e ci si ritrova ancora tutti insieme e vivi è già un piccolo miracolo.
Durante una delle più terribili battaglie eravamo in duemila circa a combattere, e siamo ritornati solo in dieci. Il terreno era lastricato di cadaveri e sembrava un cimitero a cielo aperto. I corpi disseminati sul terreno erano uno spettacolo disumano. Qualcuno ha scattato una fotografia, perché si possa vedere il massacro che ci è stato ordinato.
Non c’è umanità in tutto questo! E tutti noi preghiamo che finisca presto. All’inizio della guerra molti di noi erano fieri e orgogliosi di combattere per il proprio Paese ma, a lungo andare, ogni velleità è sparita per lasciare il posto al mero istinto di sopravvivenza.  Tutti noi abbiamo qualcuno dal quale tornare e quanti rimarranno delusi nel non veder tornare il proprio caro. Se penso che tutto questo disastro si può protrarre ancora a lungo mi sembra di impazzire. Mia adorata Esterina, se non ci fossi tu a tenermi compagnia non avrei niente di bello da portarmi nel cuore. Sono sicuro che lì va tutto bene, voglio crederlo. Nel mio cuore c’è ancora quella promessa che ci siamo scambiati, è lì dove nessuno la può toccare. Adesso devo salutarti e, ti prego, porta un saluto alla mia famiglia, dì loro che non so niente di Gabriele ma spero che stia bene anche lui. Un grosso, grossissimo bacio e un arrivederci a presto.
Tuo per sempre. Alberto


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