ELOISE
p. cinque e sei
Il tempo
passava e in quella casupola si respirava serenità. Lea sembrava ringiovanita,
osservava Eloise crescere e l’attività di Tom prosperare, ora aveva preso anche
un ragazzo come aiutante. Si sentiva stanca ma era talmente felice di vivere
con Tom, Rose ed Eloise che avrebbe voluto vivere in eterno.
Quel giorno
avrebbero festeggiato il dodicesimo compleanno di Eloise. Non era l’esatto
giorno della sua nascita ma volevano approfittare del bel tempo e fare una
festa all’aperto finchè c’era ancora il sole caldo. Avevano preparato una festa
a sorpresa, con altri ragazzini e le loro mamme. Quegli anni trascorsi avevano
lasciato un buon segno. Tom era rispettato per la sua bravura e la sua onestà,
Rose aiutava le mamme che dovevano andare nei campi tenendo i loro bambini.
Erano stati anni meravigliosi e altri ne sarebbero venuti, anche se era
evidente che Lea non ci sarebbe stata ancora per molto.
La festa era
nel pieno dei divertimenti quando arrivò Tom con il suo regalo: una splendida
cavalla nera con una macchia bianca in mezzo alla fronte. La teneva per le
briglie e si avvicinava lentamente, ancora Eloise non lo aveva visto e sua
madre sorrideva in attesa di vedere la sorpresa negli occhi di sua figlia.
Aveva sempre desiderato un cavallo tutto suo, era un’ottima cavallerizza ma non
glielo avevano mai concesso, ma ora, a dodici anni avevano deciso di
accontentarla.
Lea, seduta
ad osservare tanta allegria li vide per prima. Tom, ma cosa hai portato? Urlò per farsi sentire. Eloise si girò e
vide suo padre e lo splendido animale. Lanciò uno sguardo a sua madre, ancora
incredula, e la donna le fece un cenno con la testa. Quando si rese conto che
quella cavalla era il regalo per il suo compleanno corse incontro al padre e lo
abbracciò. Corse da sua madre e la baciò, strinse Lea fra e braccia mentre
tutti i presenti battevano le mani.
Tom le
consegnò le redini. Fate la vostra
conoscenza, ora. Sappi che dovrai prenderti cura di lei. Come la vuoi chiamare?
La ragazzina accarezzava il muso morbido della cavalla e le diceva dolci
parole. Si amarono all’istante. Questa è
Beatrice. Disse a suo padre. Poi incurante degli invitati e della festa
saltò in sella e si allontanò al galoppo. Le arrivò la voce di suo padre che le
intimava di non allontanarsi ma lei era un tutt’uno con la cavalla e sparirono
fra la polvere.
I capelli
sciolti volavano nel vento della corsa, rallentò per godersi la meravigliosa
sensazione di cavalcare la sua cavalla. Le accarezzò il collo. Piacere Beatrice, io sono Eloise e ora ci
apparteniamo. La cavalla raddrizzò il collo in attesa di un’altra carezza. Ora torniamo, ho degli invitati che mi
aspettano.
L’autunno
arrivò più umido e freddo del solito. Lea si ammalò seriamente e morì prima
dell’arrivo del freddo e della neve.
Fu molto
triste continuare senza di lei e le furono molto grati per avere ereditato la
sua proprietà. Non l’avrebbero mai dimenticata.
Eloise si
prendeva cura di Beatrice e aspettava il ritorno del bel tempo per poter
cavalcare e sentirsi libera. Era grande e stava diventando una bella ragazza.
Suo padre le aveva forgiato un bellissimo pugnale con il manico intarsiato e le
aveva insegnato ad usarlo. Lo portava sempre con sé anche se non lo aveva mai
usato.
Quell’inverno
fu davvero molto rigido, peggio di quando erano arrivati. Era già marzo ma il
ghiaccio ancora non si era sciolto nei corsi d’acqua e sui tetti, e la neve non
aveva ancora smesso di cadere.
Tom e Rose
erano davanti al camino mentre Eloise era nella sua cameretta. Ti ricordi, amore mio quando eravamo al
castello ed io ero il re e tu la regina? Ecco, ora mi sento proprio un re, non
avrei potuto desiderare di più. Fuori pioveva e presto la natura sarebbe
rinata, Rose guardò suo marito. Anche se
non sono più riuscita a darti dei figli? Gli disse. Tom la strinse a sé, non erano
giovani quando si erano conosciuti, e lui non aveva mai immaginato di diventare
padre. Abbiamo la nostra principessa, e
una vita bellissima. Rimasero davanti al fuoco ripensando a quello che
avevano costruito insieme con l’aiuto di Lea.
La primavera
esplose improvvisa. Sembrava impossibile che solo alcuni giorni prima ci fosse
il ghiaccio ed ora le primule fossero già fiorite. Il sole riscaldava ogni cosa
e le piante germogliavano con gemme giganti, pronte a dare fiori e frutti.
L’orto aveva bisogno di essere sistemato e finalmente Eloise poteva uscire con
Beatrice.
Tom le fece
un sacco di raccomandazioni, ben sapendo che sarebbero state vane. Sua figlia
era uno spirito libero come lo era sempre stato lui e ne riconosceva i tratti,
peccato non assomigliasse a sua madre, ma così era.
Si mise in
sella e in quel fine marzo soleggiato andò incontro al suo destino, anche se
ancora lo sapeva.
La sua meta
era quella, il castello diroccato. Ne aveva tanto sentito parlare ma non le
avevano mai permesso di andarci. Ora era lì, fra quelle pietre ricoperte di
fanghiglia e pareti che sembravano crollare da un momento all’altro. Andò in
cerca della stanza dove avevano sostato tanti anni prima ma non la trovò.
Teneva la cavalla per le briglie mentre si inoltrava fra i ruderi, i piccioni
volavano via disturbati nel loro silenzio.
Improvviso e
inatteso la colse il profumo di rosa, si fermò e si guardò intorno.
Non vide
nessuno, solo i piccioni volavano e si posavano sui mozziconi di travi che
ancora resistevano. Conosceva la leggenda del fantasma rosa, e lei ci credeva.
Il suo desiderio più grande era proprio di incontrarla, non lo aveva mai detto
a nessuno ma qualcosa dentro di lei la spingeva a quei ruderi.
Si fermò e
rimase con i sensi in ascolto. Il cuore le martellava nel petto, in attesa di
qualcosa che ancora non sapeva.
Il profumo
di rosa ora era molto intenso. Beatrice scalpitava, anche lei aveva colto qualcosa,
si sa che gli animali hanno sensi molto sviluppati. La ragazzina chiuse gli
occhi, forse il fantasma non voleva essere visto, non ancora.
Shsss. Shsss. A fatica tenne gli occhi chiusi. Era
poggiata ad un masso e sentiva il freddo che le penetrava dai vestiti. Una
fresca carezza le solcò il viso, rimase immobile per non perdere quel contatto.
Poi, così come era iniziato, tutto finì, e il profumo di rosa sparì.
Eloise
riaprì gli occhi, nulla era cambiato e, se non fosse stato che i suoi capelli
profumavano di rosa poteva pensare di aver immaginato tutto. Chissà come mai
quella giovane donna innamorata non aveva ancora abbandonato quei ruderi.
Doveva essere triste non poter raggiungere il suo amato e sua figlia. Scosse e
la testa e continuò la sua perlustrazione. Era davvero desolante quel posto,
niente lasciava intravedere quello che una volta doveva essere stato quel
castello, pozzanghere scure e pietre spezzate trasmettevano una tristezza e una
desolazione infinite.
Camminava fra
fango e sporcizia. Dove sei? Dove sei
sparita? Perché non mi parli? Sussurrava la ragazzina. Ma non riceveva
risposta. Allora si mise ad urlare. Dove
sei? E lo ripeteva senza stancarsi. I piccioni, spaventati volarono via,
soltanto i corvi non le davano retta e continuavano a sonnecchiare sulle creste
delle pareti sbriciolate.
Poi lo vide.
Il pozzo! Si fermò con la pelle d’oca. Era proprio quello? Era proprio lì che
il signore ustionato e la sua famiglia avevano trovato la pace eterna? Com’era
sopravvissuto quasi indenne all’incendio?
Eloise si
avvicinò, titubante. Poggiò le mani sul bordo e si sporse. Era un gesto
inutile, lo sapeva che non avrebbe visto niente. Teneva il viso con gli occhi
fissi al buio del pozzo quando fu investita di nuovo da un intenso profumo di
rosa.
Allora sei qui! Sei ancora qui! Bisbigliò fra sé e sé. Shsss. Shsss. Sentì di nuovo. Non era
proprio un sibilo, sembrava piuttosto un modo cantilenante di trasmettere un
messaggio. Vuoi parlare con me? Disse
Eloise. Dimmi come fare. Il profumo
di rosa era molto intenso. Un ragno sbucò da una fessura fra le pietre e punse
la mano della ragazzina. Eloise staccò una pietra dal bordo del pozzo per
schiacciare quella bestiaccia. Alcune altre pietre rotolarono a terra, anche il
pozzo si stava sgretolando, il tempo e le intemperie lo avevano risparmiato
fino ad allora ma non poteva sottrassi anch’esso alla distruzione.
Eloise
osservava con tristezza il disintegrarsi di quell’ultimo manufatto rimasto, il
profumo di rosa era quasi insopportabile. Poi lo vide, dopo l’ennesima pietra
caduta qualcosa venne allo scoperto: una scatola di metallo con incisa una rosa
sul coperchio. La ragazzina spalancò gli occhi. Le tremavano le mani quando la
raccolse. Era chiusa da un lucchetto. Osservava quella scatola arrugginita
chiedendosi cosa fare. Shhhh. Shhhh. Si
sentì soffiare nelle orecchie. Prese il suo coltello e senza pensarci oltre
aprì il lucchetto. Un minuscolo quaderno con la copertina rosa era intatto. Lo
accarezzò delicatamente e lo aprì. Sulla prima pagina era ritratta una bambina,
il disegno era in carboncino ma molto bello. Eloise guardava quel viso di
bambina sorridente e le sorrise di rimando. Sentì una fresca carezza sul viso. Era questo che volevi che io trovassi! Per
questo mi chiamavi. Bisbigliava Eloise.
Un refolo di
vento scompigliò le pagine del piccolo quaderno. Ho capito, sai. Vuoi che lo legga. Lo porto con me… non finì la
frase che un turbine di gelo la investì e le fece cadere il quaderno.
Shhh. Shhh. Stavolta il sibilo era più rabbioso.
Eloise lo raccolse e lo rimise nella scatola. Lo nascose sotto alcune pietre
che rimise a posto. Tornerò per leggerlo,
ma non lo porterò via. Ora devo andare ma tu aspettami, verrò a conoscere la
tua storia.
Tornò velocemente
da Beatrice e, con molto dispiacere lasciò il castello diroccato.
I suoi
genitori erano in ansia, era stata assente a lungo e tirarono un gran sospiro
quando la videro tornare al galoppo, spettinata e con il viso arrossato, con
gli occhi che le splendevano di felicità.
Avrebbero
imparato molto presto che quell’ansia li avrebbe accompagnati a lungo. Capirono
immediatamente dove fosse stata, impossibile non sentire il profumo che aveva
nei capelli.
Il fantasma rosa ti aspettava? Le chiese sua madre. Eloise guardava
gli occhi grandi e buoni di sua madre, sapeva che di lei si poteva fidare ma
non era pronta a rivelare il suo segreto a nessuno. Mi aspettava, aspettava me. Le rispose. Lo so, piccola mia, l’ho capito quel giorno di tanti anni fa, sei tu
che vuole, anche se non ne conosco i motivo. Sii gentile, ha molto sofferto ed
ha diritto a raggiungere i suoi cari.
Eloise
guardava sua madre, un discorso così lungo non glielo aveva mai fatto e non
capiva cosa intendesse ma le sorrise e l’abbracciò. Le pose le labbra
sull’orecchio scoprirò la sua storia e te
la racconterò. La baciò e corse a sistemare Beatrice.
FOTO DAL WEB - PROPRIETA 'E DIRITTI RISERVATI DI MILENA ZILETTI
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