martedì 25 settembre 2018

ELOISE


ELOISE

P. TRENTAQUATTRO E TRANTACINQUE





Le sue guardie del corpo lo distesero sul tavolo dell’infermeria. La benda che gli premevano sulla guancia era fradicia di sangue e sir Power non aveva ripreso i sensi. Oliver e Allen aiutarono l’uomo che venne chiamato per suturare la ferita. Oliver puntò la sua lama alla gola di quest’ultimo cerca di fare un buon lavoro o ti riduco come hanno ridotto lui. Le mani dell’uomo tremavano mentre cuciva la ferita di sir Power, sapeva bene che sarebbe rimasta una brutta cicatrice, sempre che fosse sopravvissuto a tanta perdita di sangue.
Finì di cucirlo e di fasciarlo, lasciò unguenti e erbe dicendo che sarebbe ritornato la mattina a controllare.
Le quattro guardie non lasciarono l’infermeria, presto la voce si sarebbe sparsa per tutto il palazzo e la sicurezza del loro capo doveva essere assolutamente efficace.
Chi può aver fatto questo? Chiese Oliver. Siamo arrivati appena in tempo! Dopo essere scampato al primo attentato doveva saperlo che non poteva essere al sicuro. Per fortuna non l’abbiamo lasciato solo. Aggiunse.
Leroi e Steven si erano sdraiati, avrebbero fatto il prossimo turno. La notte trascorse lenta, il respiro di sir Power sembrava tornato normale ma non si era ancora svegliato.
Allen aveva recuperato il suo pugnale e lo stava pulendo quando i primi gemiti riscossero gli uomini di guardia. Dovettero faticare parecchio per tenergli le braccia ferme, si lamentava e urlava mentre tentava di togliersi la benda, non sapevano cosa fare, scottava e sudava per la gran febbre e delirava frasi senza senso.
Per fortuna arrivò il medico, o quello che era e riuscì fargli inghiottire qualche goccia di un liquido scuro, dopo pochi minuti, il ferito riprese a dormire.
Passarono così tre giorni prima che sir Power riprendesse completamente i sensi e la febbre sparisse. Dove sono? Riuscì faticosamente a chiedere, ogni volta che apriva la bocca la ferita gli doleva in modo inumano. Le sue guardie lo misero al corrente di tutto e di come lo avevano salvato. Mandate un messaggio alla regina, ho bisogno di parlarle. Ordinò ai suoi uomini. La regina è partita con il suo seguito due giorni fa, per raggiungere il re. Gli rispose Allen.
Vuoi dire che abbiamo fatto il viaggio per niente? Che sono quasi morto, per niente? Grugnì arrabbiato sir Power. Seguì il silenzio. Domattina torniamo al castello. Ordinò.
Le sue guardie si guardarono ben sapendo che non poteva sopportare il viaggio in quelle condizioni ma non osarono controbattere.
Impiegarono parecchi giorni per arrivare a casa e sir Power non si reggeva in piedi. Cadde svenuto sulla sua branda appena lo accompagnarono nella sua baracca.
Era già metà luglio quando sir Power riprese ad uscire dalla sua baracca. Era dimagrito e stava recuperando le forze. Sul viso una benda più leggera gli copriva la ferita, ferita che ogni sera osservava nello specchio che gli rimandava l’immagine di un viso deturpato.
I lavori procedevano spediti e prima dell’inverno i muri portanti dell’abitazione principale sarebbero stati eretti. Altri muri si stavano alzando, e ben presto tutto avrebbe preso la forma di quello che sarebbe stato alla fine. Sapeva di essere sempre seguito da almeno due delle sue guardie ma lì, era a casa sua e si sentiva al sicuro.
Gli operai lavoravano a torso nudo sotto un sole implacabile e quando scoppiavano i temporali dovevano correre a ripararsi, troppo spesso grandine e fulmini li avevano sorpresi sui blocchi di pietra, per questo avevano messo una sentinella che li avvisava dell'arrivo della tempesta.
La sentinella osservava spesso la ragazza in sella al suo cavallo nero che si metteva sull’altura ad osservare i lavori. Fu lì che Oliver la raggiunse.
Che bello rivederti, Oliver. Dove sei stato tutto questo tempo? Gli chiese con un sorriso la ragazza.
Lo so che sarei dovuto venire prima ma non ho potuto liberarmi. Sir Power è stato ferito in un’imboscata e noi abbiamo dovuto raddoppiare la sorveglianza. La mise al corrente.
Siamo in pericolo? Gli chiese preoccupata. Non è successo qui, ma a palazzo reale. Cercò di rassicurarla.
Oliver la osservava e faticava a trattenersi dall’abbracciarla, ogni giorno diventava più bella, ancora pochi mesi e al suo quattordicesimo compleanno si sarebbe dichiarato, o almeno era quella la sua intenzione. Rimasero insieme solo pochi minuti. Eloise lo salutò col suo solito bellissimo sorriso e tornò a casa.
Oliver rimase ad osservare la sua schiena che si rimpiccioliva mentre si allontanava, doveva ammetterlo almeno con se stesso, era proprio innamorato di lei. Ma lei lo avrebbe mai visto come più che un amico? Sospirò girando il cavallo e tornando al castello.
Aveva ancora nella mente e nei pensieri il viso dolce di Eloise quando superò la muraglia. Vide subito un cavallo sconosciuto davanti alla baracca di sir Power. Raggiunse Leroi che era di guardia. Chi è arrivato? Gli chiese. Penso sia un messaggero del re. Gli rispose. Rimase accanto a Leroi fino a quando lo sconosciuto uscì dalla baracca e, senza nemmeno guardarsi intorno riprese la strada e scomparve.
Sir Power uscì sulla porta. Oliver, Leroi, entrate. Ordinò.
Il re vuole che vada al palazzo. Ho risposto che non è il momento. I due uomini lo osservavano allibiti, aveva disobbedito al re per la prima volta nella sua vita.





Il caldo era insopportabile. Gli operai che lavoravano erano costantemente rifocillati di acqua e viveri. Sir Power seguiva costantemente i lavori intervenendo solo raramente a correggere o modificare il lavoro dei suoi uomini e delle sue donne che si impegnavano senza risparmiarsi. Stavano facendo un gran bel lavoro e lui ne era consapevole.
Era metà settimana e il tempo si manteneva al bello. Tutti erano stanchi ma altrettanto consapevoli che non potevano rallentare. Sir Power aveva smesso di portare anche la leggera benda e sulla guancia era molto visibile la cicatrice ancora rossa. Sapeva che col tempo si sarebbe schiarita e sarebbe stata meno visibile, ma per il momento gli doleva ancora. Era intento ad osservare il movimento di tutta la gente al lavoro e, per la prima volta sentì una grande stanchezza. Un cavallo entrò al galoppo e lui riconobbe le insegne del re sulla sella. Lo stesso messaggero della volta precedente lo raggiunse e gli consegnò un messaggio. Sir Power lo spedì a rinfrescarsi ed entrò nella sua baracca.
Osservava il rotolo senza il minimo desiderio di aprirlo, ma sapeva di non poter tergiversare oltre. Strappò il sigillo e iniziò a leggere.
“Sono stato molto deluso dal suo rifiuto. Avevamo un accordo e lei, sir Power non l’ha rispettato. Io sono il suo re e nessuno può disobbedire ad un mio ordine, anche se camuffato da invito come quello che le ho inviato solo pochi giorni fa. A seguito del suo comportamento ho provveduto a richiamare i miei tre esperti che dovranno lasciare i lavori e tornare a palazzo immediatamente. Ordino che tutti i lavori vengano sospesi fino a quando non darà seguito all’ordine di tornare a palazzo. Non procedo al suo arresto solo in virtù dei suoi trascorsi.”
Sir Power gettò con rabbia la missiva sul tavolo. Non fu sorpreso quando vide entrare i tre esperti con l’ordine scritto di rientrare, ordine firmato dal re in persona.
Partiremo domani mattina. Abbiamo l’ordine preciso di bloccare tutto. Siamo spiacenti, sir Power. Disse il più anziano.
A sir Power tremavano le mani dalla rabbia e dalla frustazione. Doveva prendere una decisione e non era affatto facile. Tornare al palazzo reale significava rimettersi nelle mani di chi lo voleva morto, ma era altrettanto importante che i lavori del suo castello procedessero e avanzassero il più possibile prima dell’inverno.
Rimanete e continuate. Andrò io dal nostro sovrano. Non aggiunse altro e quelli uscirono confusi.
Oliver e Allen erano fuori dalla baracca quando furono invitati ad entrare. Il loro capo era seduto con uno sguardo che loro non avevano mai conosciuto. Li mise al corrente della missiva e della decisione che aveva preso. Preparate tutto quello che serve, domattina partiremo alle prime luci dell’alba. E li liquidò con gesto nervoso della mano.
Le sue quattro guardie del corpo si riunirono per mettere a punto ogni cosa. Era innegabile che ci fosse qualcosa sotto. Capivano che il loro campito sarebbe stato ancora più difficile. Oliver era dispiaciuto di partire senza rivedere Eloise, ma non poteva fare diversamente.
Arrivarono al palazzo e, come consuetudine ognuno raggiunse i propri alloggi. Sir Power fu accompagnato nelle sue stanze. Era molto stanco, nervoso e frustrato. Quello che lo innervosiva maggiormente era il fatto che non poteva fidarsi di nessuno, nemmeno del suo re. Sapeva di essere costantemente in pericolo proprio nel luogo dove doveva essere più al sicuro.
Si rinfrescò e si sdraiò, la ferita gli doleva e vi cosparse l’unguento che gli era stato dato.
Il giorno volgeva al termine e lui si era riposato a sufficienza. Avrebbe voluto raggiungere i suoi uomini ma sapeva di dover aspettare l’invito del re che poteva arrivare in qualsiasi momento.
Le lucciole erano sparse tutt’intorno ei grilli sembravano cantare una canzone diversa quando sentì bussare. Un paggio del re era finalmente venuto per portarlo dal sovrano.
Passarono fra corridoi semibui e il cuore del cavaliere batteva all’impazzata ripensando a quello che gli era capitato proprio fra quei corridoi. La sua mano era ferma sulla stretta dell’elsa della spada, stavolta non lo avrebbero colto di sorpresa. Gli parve di sentire un rumore e si voltò di scatto, non vide nessuno ma non si sentiva tranquillo.
Riconobbe l’ala riservata del sovrano e sospirò di sollievo. Il paggio bussò e lo accompagnò nello studio riservato del re.
Il sovrano gli dava le spalle mentre sir Power rimaneva immobile. Non mi aspettavo questo comportamento da parte sua. Il mio cavaliere, quello che ho compensato così generosamente che rifiuta di venire quando lo chiamo. Spero che abbia un ottimo motivo, sir Power o, come è vero che sono il re la spedisco nelle campagne in compagnia dei contadini! Il suo tono era rabbioso. A stento si era trattenuto da mandarlo a prendere dai suoi soldati. Nessuno poteva disubbidire al re, nemmeno la sua spia personale.
Sir Power rimase in silenzio. Il re, sempre più indisposto si girò verso di lui. La luce delle torce rischiarava la stanza e lo sguardo infuriato del re si fissò sulla figura dell’uomo che aveva osato disobbedirgli.
Passarono alcuni secondi di silenzio assoluto mentre il re spalancava gli occhi accorgendosi della ferita sul volto dell’uomo. Gli si avvicinò. Cosa le è successo? Chiese il re senza staccare lo sguardo dalla cicatrice. Non è a me che lo deve chiedere, sire, visto che è successo proprio fra queste mura.
I due uomini si fronteggiavano. Il sovrano cercava di assimilare quello che aveva appena saputo mentre l’altro taceva per non incorrere ancora di più nelle ire del suo re.



foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

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