ELOISE
P. TRENTAQUATTRO E TRANTACINQUE
Le sue
guardie del corpo lo distesero sul tavolo dell’infermeria. La benda che gli
premevano sulla guancia era fradicia di sangue e sir Power non aveva ripreso i
sensi. Oliver e Allen aiutarono l’uomo che venne chiamato per suturare la
ferita. Oliver puntò la sua lama alla gola di quest’ultimo cerca di fare un buon lavoro o ti riduco come hanno ridotto lui. Le
mani dell’uomo tremavano mentre cuciva la ferita di sir Power, sapeva bene che
sarebbe rimasta una brutta cicatrice, sempre che fosse sopravvissuto a tanta
perdita di sangue.
Finì di
cucirlo e di fasciarlo, lasciò unguenti e erbe dicendo che sarebbe ritornato la
mattina a controllare.
Le quattro
guardie non lasciarono l’infermeria, presto la voce si sarebbe sparsa per tutto
il palazzo e la sicurezza del loro capo doveva essere assolutamente efficace.
Chi può aver fatto questo? Chiese Oliver. Siamo arrivati appena in tempo! Dopo essere scampato al primo attentato
doveva saperlo che non poteva essere al sicuro. Per fortuna non l’abbiamo
lasciato solo. Aggiunse.
Leroi e
Steven si erano sdraiati, avrebbero fatto il prossimo turno. La notte trascorse
lenta, il respiro di sir Power sembrava tornato normale ma non si era ancora
svegliato.
Allen aveva
recuperato il suo pugnale e lo stava pulendo quando i primi gemiti riscossero
gli uomini di guardia. Dovettero faticare parecchio per tenergli le braccia
ferme, si lamentava e urlava mentre tentava di togliersi la benda, non sapevano
cosa fare, scottava e sudava per la gran febbre e delirava frasi senza senso.
Per fortuna
arrivò il medico, o quello che era e riuscì fargli inghiottire qualche goccia
di un liquido scuro, dopo pochi minuti, il ferito riprese a dormire.
Passarono
così tre giorni prima che sir Power riprendesse completamente i sensi e la
febbre sparisse. Dove sono? Riuscì
faticosamente a chiedere, ogni volta che apriva la bocca la ferita gli doleva
in modo inumano. Le sue guardie lo misero al corrente di tutto e di come lo
avevano salvato. Mandate un messaggio
alla regina, ho bisogno di parlarle. Ordinò ai suoi uomini. La regina è partita con il suo seguito due
giorni fa, per raggiungere il re. Gli rispose Allen.
Vuoi dire che abbiamo fatto il
viaggio per niente? Che sono quasi morto, per niente? Grugnì arrabbiato sir Power. Seguì il
silenzio. Domattina torniamo al castello.
Ordinò.
Le sue
guardie si guardarono ben sapendo che non poteva sopportare il viaggio in
quelle condizioni ma non osarono controbattere.
Impiegarono
parecchi giorni per arrivare a casa e sir Power non si reggeva in piedi. Cadde
svenuto sulla sua branda appena lo accompagnarono nella sua baracca.
Era già metà
luglio quando sir Power riprese ad uscire dalla sua baracca. Era dimagrito e
stava recuperando le forze. Sul viso una benda più leggera gli copriva la
ferita, ferita che ogni sera osservava nello specchio che gli rimandava
l’immagine di un viso deturpato.
I lavori
procedevano spediti e prima dell’inverno i muri portanti dell’abitazione
principale sarebbero stati eretti. Altri muri si stavano alzando, e ben presto
tutto avrebbe preso la forma di quello che sarebbe stato alla fine. Sapeva di
essere sempre seguito da almeno due delle sue guardie ma lì, era a casa sua e
si sentiva al sicuro.
Gli operai
lavoravano a torso nudo sotto un sole implacabile e quando scoppiavano i
temporali dovevano correre a ripararsi, troppo spesso grandine e fulmini li
avevano sorpresi sui blocchi di pietra, per questo avevano messo una sentinella
che li avvisava dell'arrivo della tempesta.
La
sentinella osservava spesso la ragazza in sella al suo cavallo nero che si
metteva sull’altura ad osservare i lavori. Fu lì che Oliver la raggiunse.
Che bello rivederti, Oliver. Dove sei
stato tutto questo tempo? Gli chiese con un sorriso la ragazza.
Lo so che sarei dovuto venire prima
ma non ho potuto liberarmi. Sir Power è stato ferito in un’imboscata e noi
abbiamo dovuto raddoppiare la sorveglianza. La mise al corrente.
Siamo in pericolo? Gli chiese preoccupata. Non è successo qui, ma a palazzo reale. Cercò
di rassicurarla.
Oliver la
osservava e faticava a trattenersi dall’abbracciarla, ogni giorno diventava più
bella, ancora pochi mesi e al suo quattordicesimo compleanno si sarebbe
dichiarato, o almeno era quella la sua intenzione. Rimasero insieme solo pochi
minuti. Eloise lo salutò col suo solito bellissimo sorriso e tornò a casa.
Oliver
rimase ad osservare la sua schiena che si rimpiccioliva mentre si allontanava,
doveva ammetterlo almeno con se stesso, era proprio innamorato di lei. Ma lei
lo avrebbe mai visto come più che un amico? Sospirò girando il cavallo e tornando
al castello.
Aveva ancora
nella mente e nei pensieri il viso dolce di Eloise quando superò la muraglia.
Vide subito un cavallo sconosciuto davanti alla baracca di sir Power. Raggiunse
Leroi che era di guardia. Chi è arrivato?
Gli chiese. Penso sia un messaggero
del re. Gli rispose. Rimase accanto a Leroi fino a quando lo sconosciuto
uscì dalla baracca e, senza nemmeno guardarsi intorno riprese la strada e
scomparve.
Sir Power
uscì sulla porta. Oliver, Leroi, entrate.
Ordinò.
Il re vuole che vada al palazzo. Ho
risposto che non è il momento. I due uomini lo osservavano allibiti, aveva disobbedito al re
per la prima volta nella sua vita.
Il caldo era
insopportabile. Gli operai che lavoravano erano costantemente rifocillati di
acqua e viveri. Sir Power seguiva costantemente i lavori intervenendo solo
raramente a correggere o modificare il lavoro dei suoi uomini e delle sue donne
che si impegnavano senza risparmiarsi. Stavano facendo un gran bel lavoro e lui
ne era consapevole.
Era metà
settimana e il tempo si manteneva al bello. Tutti erano stanchi ma altrettanto
consapevoli che non potevano rallentare. Sir Power aveva smesso di portare
anche la leggera benda e sulla guancia era molto visibile la cicatrice ancora
rossa. Sapeva che col tempo si sarebbe schiarita e sarebbe stata meno visibile,
ma per il momento gli doleva ancora. Era intento ad osservare il movimento di
tutta la gente al lavoro e, per la prima volta sentì una grande stanchezza. Un
cavallo entrò al galoppo e lui riconobbe le insegne del re sulla sella. Lo
stesso messaggero della volta precedente lo raggiunse e gli consegnò un
messaggio. Sir Power lo spedì a rinfrescarsi ed entrò nella sua baracca.
Osservava il
rotolo senza il minimo desiderio di aprirlo, ma sapeva di non poter
tergiversare oltre. Strappò il sigillo e iniziò a leggere.
“Sono stato molto deluso dal suo
rifiuto. Avevamo un accordo e lei, sir Power non l’ha rispettato. Io sono il suo re e nessuno può
disobbedire ad un mio ordine, anche se camuffato da invito come quello che le
ho inviato solo pochi giorni fa. A seguito del suo comportamento ho provveduto
a richiamare i miei tre esperti che dovranno lasciare i lavori e tornare a
palazzo immediatamente. Ordino che
tutti i lavori vengano sospesi fino a quando non darà seguito all’ordine di
tornare a palazzo. Non procedo al suo arresto solo in virtù dei suoi
trascorsi.”
Sir Power
gettò con rabbia la missiva sul tavolo. Non fu sorpreso quando vide entrare i
tre esperti con l’ordine scritto di rientrare, ordine firmato dal re in
persona.
Partiremo domani mattina. Abbiamo
l’ordine preciso di bloccare tutto. Siamo spiacenti, sir Power. Disse il più anziano.
A sir Power
tremavano le mani dalla rabbia e dalla frustazione. Doveva prendere una
decisione e non era affatto facile. Tornare al palazzo reale significava
rimettersi nelle mani di chi lo voleva morto, ma era altrettanto importante che
i lavori del suo castello procedessero e avanzassero il più possibile prima
dell’inverno.
Rimanete e continuate. Andrò io dal
nostro sovrano. Non
aggiunse altro e quelli uscirono confusi.
Oliver e
Allen erano fuori dalla baracca quando furono invitati ad entrare. Il loro capo
era seduto con uno sguardo che loro non avevano mai conosciuto. Li mise al
corrente della missiva e della decisione che aveva preso. Preparate tutto quello che serve, domattina partiremo alle prime luci
dell’alba. E li liquidò con gesto nervoso della mano.
Le sue
quattro guardie del corpo si riunirono per mettere a punto ogni cosa. Era
innegabile che ci fosse qualcosa sotto. Capivano che il loro campito sarebbe
stato ancora più difficile. Oliver era dispiaciuto di partire senza rivedere
Eloise, ma non poteva fare diversamente.
Arrivarono
al palazzo e, come consuetudine ognuno raggiunse i propri alloggi. Sir Power fu
accompagnato nelle sue stanze. Era molto stanco, nervoso e frustrato. Quello
che lo innervosiva maggiormente era il fatto che non poteva fidarsi di nessuno,
nemmeno del suo re. Sapeva di essere costantemente in pericolo proprio nel
luogo dove doveva essere più al sicuro.
Si rinfrescò
e si sdraiò, la ferita gli doleva e vi cosparse l’unguento che gli era stato
dato.
Il giorno
volgeva al termine e lui si era riposato a sufficienza. Avrebbe voluto
raggiungere i suoi uomini ma sapeva di dover aspettare l’invito del re che
poteva arrivare in qualsiasi momento.
Le lucciole
erano sparse tutt’intorno ei grilli sembravano cantare una canzone diversa
quando sentì bussare. Un paggio del re era finalmente venuto per portarlo dal
sovrano.
Passarono
fra corridoi semibui e il cuore del cavaliere batteva all’impazzata ripensando
a quello che gli era capitato proprio fra quei corridoi. La sua mano era ferma sulla
stretta dell’elsa della spada, stavolta non lo avrebbero colto di sorpresa. Gli
parve di sentire un rumore e si voltò di scatto, non vide nessuno ma non si
sentiva tranquillo.
Riconobbe
l’ala riservata del sovrano e sospirò di sollievo. Il paggio bussò e lo accompagnò
nello studio riservato del re.
Il sovrano
gli dava le spalle mentre sir Power rimaneva immobile. Non mi aspettavo questo comportamento da parte sua. Il mio cavaliere,
quello che ho compensato così generosamente che rifiuta di venire quando lo
chiamo. Spero che abbia un ottimo motivo, sir Power o, come è vero che sono il
re la spedisco nelle campagne in compagnia dei contadini! Il suo tono era
rabbioso. A stento si era trattenuto da mandarlo a prendere dai suoi soldati.
Nessuno poteva disubbidire al re, nemmeno la sua spia personale.
Sir Power
rimase in silenzio. Il re, sempre più indisposto si girò verso di lui. La luce
delle torce rischiarava la stanza e lo sguardo infuriato del re si fissò sulla
figura dell’uomo che aveva osato disobbedirgli.
Passarono
alcuni secondi di silenzio assoluto mentre il re spalancava gli occhi
accorgendosi della ferita sul volto dell’uomo. Gli si avvicinò. Cosa le è successo? Chiese il re senza
staccare lo sguardo dalla cicatrice. Non
è a me che lo deve chiedere, sire, visto che è successo proprio fra queste
mura.
I due uomini
si fronteggiavano. Il sovrano cercava di assimilare quello che aveva appena
saputo mentre l’altro taceva per non incorrere ancora di più nelle ire del suo
re.
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