ELOISE
P. DICIASSETTE E DICIOTTO
La locanda
era deserta quando scesero per la colazione. Un tavolo appartato con la visuale
sulla porta d’entrata era stato apparecchiato per loro. Si sedettero e non
dissero nemmeno una parola fino a che furono portati via i piatti vuoti.
Cosa dobbiamo fare, sir Power? Io non
ho ordini se non eseguire i suoi. Gli disse il capitano.
Sir Power
aveva ordini ben precisi, che aveva imparato a memoria, ogni sera, alle otto in
punto doveva farsi trovare al quel tavolo e qualcuno si sarebbe presentato
mostrandogli una moneta particolare, a lui avrebbe consegnato il messaggio del
re. Questo non lo disse al capitano. Abbiamo
le giornate libere, il nostro obbligo è essere presenti a cena. Può andare dove
vuole non dimenticando la prudenza. Io farò altrettanto. Gli rispose.
Il capitano
assentì, ma non era molto contento di separarsi dal suo compagno, certo non
poteva fare diversamente ma avrebbe fatto in modo di non perderlo di vista.
Anche lui aveva degli ordini da eseguire.
Iniziarono così lunghe e noiose giornate. Ogni
mattina partivano ognuno per luoghi diversi (o così pareva) e ogni sera
cenavano con gli occhi puntati all’entrata.
Una
settimana volò in questa maniera. Sir Power si chiedeva cosa trattenesse il
messaggero dall’arrivare e l’incertezza lo logorava.
Quella
mattina partì prima del solito senza fermarsi nemmeno per la colazione. Sellò
il suo cavallo e prese una direzione che ben conosceva. Si era accorto che il
capitano lo seguiva spesso tenendosi nascosto e a distanza, ma una spia come lo
era lui era sopravvissuto proprio per il suo istinto e la sua capacità di
scoprire i fatti prima degli altri. Quell’uomo gli piaceva sempre meno.
Arrivò ad un
bivio e fece in modo di lasciare tracce nella direzione opposta a quella che
avrebbe preso, questa volta non voleva essere seguito.
Spronò al
galoppo il cavallo e passò più di due ore prima di farlo rallentare e riposare
entrambi. In lontananza si vedevano delle fattorie piuttosto isolate, e più in
là ancora c’era il villaggio. Un tuffo al cuore gli risvegliò i ricordi.
Aveva
vissuto nella fattoria più grande, accudendo i cavalli mentre svolgeva il
compito per il suo re, lì aveva conosciuto Marianne, la splendida figlia del
proprietario, l’aveva sedotta e si erano amati, ovvero lei si era innamorata perdutamente
di lui, che a quel tempo si faceva chiamare Leon e lui ne aveva approfittato.
Non ne andava per niente fiero ma la
sua copertura era essenziale. Avrebbe voluto che il suo re non lo richiamasse
ma sapeva di essere un soldato, anzi una spia del suo sovrano e che sapeva
svolgere molto bene il suo compito. Si avvicinò alla fattoria che il sole era
alto, alcuni uomini lavoravano nei campi e riusciva a vedere i grandi serragli
per i cavalli, le scuderie e vari animali tranquilli. Anche il suo cavallo proveniva
da quell’allevamento e lo stava riconoscendo, per questo lo legò ad un albero e
continuò a piedi.
Che ci sono venuto a fare qui? Pensò. Ma la risposta la conosceva
molto bene: Marianne. Avrebbe voluto rivederla, solo da lontano per potersi
accertare che era felice e stava bene. Si sedette su un punto rialzato e rimase
ad osservare.
Piano piano
i lavori ripresero il loro ritmo e, finalmente anche Mariane uscì di casa.
Si emozionò
rivedendola, sapeva che anche lui aveva provato dei sentimenti per lei, ci
aveva provato a rimanere insensibile, ma la dolcezza e la sensualità della
ragazza erano riuscite ad entrargli nel cuore.
Marianne era
sul portico e osservava la sua terra e i suoi uomini che lavoravano. Spinse
avanti il suo sguardo e sir Power, per un attimo ebbe paura di essere stato
scoperto, ma non poteva essere così. Qualcun la chiamò e lei, sorridente si
voltò. Fu allora che si accorse dell’avanzato stato di gravidanza della donna e
dell’uomo che, appena arrivato la stringeva fra le braccia. Per un attimo sentì
una stretta allo stomaco. Sentimenti contrastanti gli alimentavano la mente e
il cuore: avrebbe potuto essere lui al posto dell’altro uomo ma era sollevato
che Marianne avesse trovato l’amore anche senza di lui.
Quanti
ricordi passarono nella sua mente mentre rimaneva ad osservare, come poteva
essere diverso il suo destino se non fosse stato una spia del re, ma lui lo era
e poteva solo portare a termine questa ultima missione e ritirarsi al suo
castello con la sua sposa.
Sospirò e
tornò al cavallo riprendendo la strada del ritorno.
Giunse alla
locanda pochi minuti prima delle otto e si sedette, non aveva toccato cibo per
tutto il giorno ma faticò a inghiottire il pasto.
Rimase fino
alle dieci ma nessuno, nemmeno questa volta si presentò.
Dovremo aspettare ancora per molto,
sir Power? Gli
chiese il suo compagno.
Vorrei proprio saperlo. Gli rispose. Ogni giorno che passiamo su suolo nemico diventa sempre più pericoloso
per noi.
Diede
un’occhiata all’oste che scosse la testa e salì nella sua stanza.
C’era
qualcosa di diverso, se ne accorse subito. Qualcuno aveva rovistato nelle sue
cose.
Questo era
un brutto segno se nemmeno l’oste se ne era accorto, a meno che fosse d’accordo
con chiunque fosse stato, il che era ancora più pericoloso.
Si tolse gli
stivali, mise il pugnale, come al solito sotto il cuscino e si sdraiò. Quella
sera, prima di dormire non furono né Mariclaire né Eloise il suo ultimo
pensiero, ma Marianne, alla quale disse mentalmente addio.
Quasi due
settimane, aprile era al termine della sua corsa e ancora nessuno si era
presentato. Sir Power faticava a tenere sotto controllo il suo nervosismo.
Aveva ridotto le uscite, troppi soldati e aria di complotti e tradimenti si
respiravano ovunque.
Insieme al
capitano stava pranzando al solito tavolo quando entrarono quattro guardie e si
diressero dall’oste che versò loro da bere. La pattuglia si guardava intorno
cercando di cogliere qualsiasi cosa fosse fuori posto e i due compagni si
ritirarono nell’ombra più che poterono. Trattenevano il fiato mentre le guardie
passavano fra i tavoli, istintivamente portarono la mano all’elsa della spada
pur continuando a bere. C’era silenzio nella locanda, un silenzio innaturale
mentre quelli facevano la loro ispezione. Ci pensò l’oste a distogliere la loro
attenzione chiamando Lucille a servire da bere e fare bella mostra del suo
decolté e del suo fare suadente.
Sir Power e
il capitano ne approfittarono per raggiungere ognuno la propria stanza.
Era
innegabile che stavano correndo un grosso pericolo, soprattutto se avessero
scoperto la lettera del re, per sir Power sarebbe stata la fine. Maledisse
quell’attesa insopportabile, si sdraiò sul letto aspettando l’ora di cena.
Il sorriso
di Mariclaire si insinuò subito nei suoi pensieri e questo lo rilassò. La
immaginò nel suo castello, al suo fianco, marito e moglie con i frutti del loro
amore.
Sentì
bussare alla porta che si aprì facendo entrare l’oste. Sir, la situazione sta degenerando, le guardie e i soldati arrestano un
sacco di gente e la portano in gattabuia, la impiccano senza motivo apparente.
Vi stanno cercando, sanno che ci sono spie sul nostro territorio. Dovete
andarvene il più in fretta possibile, o penderete sulla forca in piazza.
Gli disse.
Non posso andarmene, non ancora, sto
aspettando un messaggero e non capisco questo ritardo. Gli rispose. Farò attenzione e la ringrazio per l’aiuto che ci ha dato oggi.
Aggiunse.
Quella sera,
alla locanda c’erano pochi avventori. Poca gente aveva voglia di uscire dopo il
tramonto, ogni scusa era buona per essere arrestati. La porta si aprì e gli
sguardi dei due uomini, come sempre corsero al nuovo venuto. Andò dall’oste e
poi li raggiunse.
Il nuovo
venuto mise sul tavolo la moneta che sir Power osservò attentamente. Ce ne avete messo di tempo! Ringhiò sir
Power in faccia al nuovo venuto. Ma quello non si scompose. Devo solo ritirare un messaggio e voi dovete
aspettare la risposta. Gli rispose. Da sotto il tavolo la missiva cambiò di
mano. Quanto tempo ci vorrà? Volle
sapere il capitano. Il tempo che servirà!
Gli rispose secco lo sconosciuto. Si alzò dal tavolo e li guardò. Devo imparare le vostre facce per non
sbagliarmi. E se ne andò riprendendosi la moneta.
Avrei voluto che fosse finita. Bisbigliò sir Power. Anch’io. Gli rispose il capitano.
Iniziava
maggio e in piazza le esecuzioni avvenivano ogni giorno. Una folla di uomini,
donne e bambini assisteva alle impiccagioni che avvenivano come normale
routine. La forca aveva sette cappi ed ogni giorno veniva usata parecchie volte.
Era sempre
più difficile per i due stranieri mescolarsi con i residenti, perfino nella
locanda c’era aria di sospetto. Era stata messa una taglia e chiunque
consegnasse forestieri avrebbe avuto il proprio tornaconto. Sir Power e il
capitano smisero di uscire perfino dalla loro stanza. Le ore erano
interminabili, l’attesa e la noia li divorava. Si affacciavano alla finestra
nascosti dalle tende e osservavano il movimento che c’era in strada, perfino i
bambini correvano per non incorrere nelle guardie, ci voleva davvero poco per
essere arrestati.
Dopo aver
bussato, l’oste entrò nella stanza di sir Power. Sono costernato, sir, ma dovete lasciare la locanda. Ho saputo che
subiremo un’ispezione minuziosa, non so se qualcuno ha fatto segnalazioni o se
sia di routine. Stiamo rischiando tutti e ne va della vita della mia famiglia.
Gli disse molto dispiaciuto.
Sir Power
sapeva che l’uomo stava dicendo la verità, ed era sicuro che gli stava di nuovo
salvando la vita, ma gli ordini che aveva ricevuto erano molto precisi. Io devo essere qui ogni sera alle otto
precise, il messaggero dovrebbe arrivare presto e poi ce ne andremo. Gli
confermò.
Dovete andarvene, sir. Sto rischiando
la vita e questo non era nei patti. Rimarcò l’oste.
Sir Power
sospirò. Avete una stanza da qualche
altra parte? Qualunque sia il posto. Vi prometto che aspetterò fuori dalla
locanda il messaggero e lei non sarà coinvolto per nessun motivo. Lo stava
pregando. L’oste gli offrì un bugigattolo nascosto nelle stalle, di più non
poteva fare e uscì.
Sir Power e
il capitano raccolsero le loro poche cose e si nascosero in quel buco
puzzolente e scomodo. Si davano il turno per dormire nell’unico letto, se così
si poteva chiamare e ogni sera uscivano nascosti nell’ombra per aspettare quel
maledetto messaggero che non si decideva ad arrivare.
Passò
un’intera settimana prima che quello arrivasse. Lo videro arrivare e lo
bloccarono prima che entrasse nella locanda. Si guardarono negli occhi senza
parlare e si riconobbero. Velocemente sir Power ritirò la tanto attesa missiva
e con il capitano rientrò.
Finalmente possiamo andarcene. Aspetto
che si faccia buio pesto e vado al porto a vedere quando parte il nostro
battello, prega il tuo dio, se ne hai uno che sia lì ad aspettarci, o con
quello che abbiamo da trasportare, se ci scoprono ci tagliano la testa senza
nessuna esitazione. Disse
sir Power. Controlla i cavalli e tieniti
pronto. Aggiunse prima di uscire.
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