sabato 15 settembre 2018

ELOISE


ELOISE

P. DICIASSETTE E DICIOTTO





La locanda era deserta quando scesero per la colazione. Un tavolo appartato con la visuale sulla porta d’entrata era stato apparecchiato per loro. Si sedettero e non dissero nemmeno una parola fino a che furono portati via i piatti vuoti.
Cosa dobbiamo fare, sir Power? Io non ho ordini se non eseguire i suoi. Gli disse il capitano.
Sir Power aveva ordini ben precisi, che aveva imparato a memoria, ogni sera, alle otto in punto doveva farsi trovare al quel tavolo e qualcuno si sarebbe presentato mostrandogli una moneta particolare, a lui avrebbe consegnato il messaggio del re. Questo non lo disse al capitano. Abbiamo le giornate libere, il nostro obbligo è essere presenti a cena. Può andare dove vuole non dimenticando la prudenza. Io farò altrettanto. Gli rispose.
Il capitano assentì, ma non era molto contento di separarsi dal suo compagno, certo non poteva fare diversamente ma avrebbe fatto in modo di non perderlo di vista. Anche lui aveva degli ordini da eseguire.
 Iniziarono così lunghe e noiose giornate. Ogni mattina partivano ognuno per luoghi diversi (o così pareva) e ogni sera cenavano con gli occhi puntati all’entrata.
Una settimana volò in questa maniera. Sir Power si chiedeva cosa trattenesse il messaggero dall’arrivare e l’incertezza lo logorava.
Quella mattina partì prima del solito senza fermarsi nemmeno per la colazione. Sellò il suo cavallo e prese una direzione che ben conosceva. Si era accorto che il capitano lo seguiva spesso tenendosi nascosto e a distanza, ma una spia come lo era lui era sopravvissuto proprio per il suo istinto e la sua capacità di scoprire i fatti prima degli altri. Quell’uomo gli piaceva sempre meno.
Arrivò ad un bivio e fece in modo di lasciare tracce nella direzione opposta a quella che avrebbe preso, questa volta non voleva essere seguito.
Spronò al galoppo il cavallo e passò più di due ore prima di farlo rallentare e riposare entrambi. In lontananza si vedevano delle fattorie piuttosto isolate, e più in là ancora c’era il villaggio. Un tuffo al cuore gli risvegliò i ricordi.
Aveva vissuto nella fattoria più grande, accudendo i cavalli mentre svolgeva il compito per il suo re, lì aveva conosciuto Marianne, la splendida figlia del proprietario, l’aveva sedotta e si erano amati, ovvero lei si era innamorata perdutamente di lui, che a quel tempo si faceva chiamare Leon e lui ne aveva approfittato. Non ne andava per niente fiero ma la sua copertura era essenziale. Avrebbe voluto che il suo re non lo richiamasse ma sapeva di essere un soldato, anzi una spia del suo sovrano e che sapeva svolgere molto bene il suo compito. Si avvicinò alla fattoria che il sole era alto, alcuni uomini lavoravano nei campi e riusciva a vedere i grandi serragli per i cavalli, le scuderie e vari animali tranquilli. Anche il suo cavallo proveniva da quell’allevamento e lo stava riconoscendo, per questo lo legò ad un albero e continuò a piedi.
Che ci sono venuto a fare qui? Pensò. Ma la risposta la conosceva molto bene: Marianne. Avrebbe voluto rivederla, solo da lontano per potersi accertare che era felice e stava bene. Si sedette su un punto rialzato e rimase ad osservare.
Piano piano i lavori ripresero il loro ritmo e, finalmente anche Mariane uscì di casa.
Si emozionò rivedendola, sapeva che anche lui aveva provato dei sentimenti per lei, ci aveva provato a rimanere insensibile, ma la dolcezza e la sensualità della ragazza erano riuscite ad entrargli nel cuore.
Marianne era sul portico e osservava la sua terra e i suoi uomini che lavoravano. Spinse avanti il suo sguardo e sir Power, per un attimo ebbe paura di essere stato scoperto, ma non poteva essere così. Qualcun la chiamò e lei, sorridente si voltò. Fu allora che si accorse dell’avanzato stato di gravidanza della donna e dell’uomo che, appena arrivato la stringeva fra le braccia. Per un attimo sentì una stretta allo stomaco. Sentimenti contrastanti gli alimentavano la mente e il cuore: avrebbe potuto essere lui al posto dell’altro uomo ma era sollevato che Marianne avesse trovato l’amore anche senza di lui.
Quanti ricordi passarono nella sua mente mentre rimaneva ad osservare, come poteva essere diverso il suo destino se non fosse stato una spia del re, ma lui lo era e poteva solo portare a termine questa ultima missione e ritirarsi al suo castello con la sua sposa.
Sospirò e tornò al cavallo riprendendo la strada del ritorno.
Giunse alla locanda pochi minuti prima delle otto e si sedette, non aveva toccato cibo per tutto il giorno ma faticò a inghiottire il pasto.
Rimase fino alle dieci ma nessuno, nemmeno questa volta si presentò.
Dovremo aspettare ancora per molto, sir Power? Gli chiese il suo compagno.
Vorrei proprio saperlo. Gli rispose. Ogni giorno che passiamo su suolo nemico diventa sempre più pericoloso per noi.
Diede un’occhiata all’oste che scosse la testa e salì nella sua stanza.
C’era qualcosa di diverso, se ne accorse subito. Qualcuno aveva rovistato nelle sue cose.
Questo era un brutto segno se nemmeno l’oste se ne era accorto, a meno che fosse d’accordo con chiunque fosse stato, il che era ancora più pericoloso.
Si tolse gli stivali, mise il pugnale, come al solito sotto il cuscino e si sdraiò. Quella sera, prima di dormire non furono né Mariclaire né Eloise il suo ultimo pensiero, ma Marianne, alla quale disse mentalmente addio.




Quasi due settimane, aprile era al termine della sua corsa e ancora nessuno si era presentato. Sir Power faticava a tenere sotto controllo il suo nervosismo. Aveva ridotto le uscite, troppi soldati e aria di complotti e tradimenti si respiravano ovunque.
Insieme al capitano stava pranzando al solito tavolo quando entrarono quattro guardie e si diressero dall’oste che versò loro da bere. La pattuglia si guardava intorno cercando di cogliere qualsiasi cosa fosse fuori posto e i due compagni si ritirarono nell’ombra più che poterono. Trattenevano il fiato mentre le guardie passavano fra i tavoli, istintivamente portarono la mano all’elsa della spada pur continuando a bere. C’era silenzio nella locanda, un silenzio innaturale mentre quelli facevano la loro ispezione. Ci pensò l’oste a distogliere la loro attenzione chiamando Lucille a servire da bere e fare bella mostra del suo decolté e del suo fare suadente.
Sir Power e il capitano ne approfittarono per raggiungere ognuno la propria stanza.
Era innegabile che stavano correndo un grosso pericolo, soprattutto se avessero scoperto la lettera del re, per sir Power sarebbe stata la fine. Maledisse quell’attesa insopportabile, si sdraiò sul letto aspettando l’ora di cena.
Il sorriso di Mariclaire si insinuò subito nei suoi pensieri e questo lo rilassò. La immaginò nel suo castello, al suo fianco, marito e moglie con i frutti del loro amore.
Sentì bussare alla porta che si aprì facendo entrare l’oste. Sir, la situazione sta degenerando, le guardie e i soldati arrestano un sacco di gente e la portano in gattabuia, la impiccano senza motivo apparente. Vi stanno cercando, sanno che ci sono spie sul nostro territorio. Dovete andarvene il più in fretta possibile, o penderete sulla forca in piazza. Gli disse.
Non posso andarmene, non ancora, sto aspettando un messaggero e non capisco questo ritardo. Gli rispose. Farò attenzione e la ringrazio per l’aiuto che ci ha dato oggi. Aggiunse.
Quella sera, alla locanda c’erano pochi avventori. Poca gente aveva voglia di uscire dopo il tramonto, ogni scusa era buona per essere arrestati. La porta si aprì e gli sguardi dei due uomini, come sempre corsero al nuovo venuto. Andò dall’oste e poi li raggiunse.
Il nuovo venuto mise sul tavolo la moneta che sir Power osservò attentamente. Ce ne avete messo di tempo! Ringhiò sir Power in faccia al nuovo venuto. Ma quello non si scompose. Devo solo ritirare un messaggio e voi dovete aspettare la risposta. Gli rispose. Da sotto il tavolo la missiva cambiò di mano. Quanto tempo ci vorrà? Volle sapere il capitano. Il tempo che servirà! Gli rispose secco lo sconosciuto. Si alzò dal tavolo e li guardò. Devo imparare le vostre facce per non sbagliarmi. E se ne andò riprendendosi la moneta.
Avrei voluto che fosse finita. Bisbigliò sir Power. Anch’io. Gli rispose il capitano.
Iniziava maggio e in piazza le esecuzioni avvenivano ogni giorno. Una folla di uomini, donne e bambini assisteva alle impiccagioni che avvenivano come normale routine. La forca aveva sette cappi ed ogni giorno veniva usata parecchie volte.
Era sempre più difficile per i due stranieri mescolarsi con i residenti, perfino nella locanda c’era aria di sospetto. Era stata messa una taglia e chiunque consegnasse forestieri avrebbe avuto il proprio tornaconto. Sir Power e il capitano smisero di uscire perfino dalla loro stanza. Le ore erano interminabili, l’attesa e la noia li divorava. Si affacciavano alla finestra nascosti dalle tende e osservavano il movimento che c’era in strada, perfino i bambini correvano per non incorrere nelle guardie, ci voleva davvero poco per essere arrestati.
Dopo aver bussato, l’oste entrò nella stanza di sir Power. Sono costernato, sir, ma dovete lasciare la locanda. Ho saputo che subiremo un’ispezione minuziosa, non so se qualcuno ha fatto segnalazioni o se sia di routine. Stiamo rischiando tutti e ne va della vita della mia famiglia. Gli disse molto dispiaciuto.
Sir Power sapeva che l’uomo stava dicendo la verità, ed era sicuro che gli stava di nuovo salvando la vita, ma gli ordini che aveva ricevuto erano molto precisi. Io devo essere qui ogni sera alle otto precise, il messaggero dovrebbe arrivare presto e poi ce ne andremo. Gli confermò.
Dovete andarvene, sir. Sto rischiando la vita e questo non era nei patti. Rimarcò l’oste.
Sir Power sospirò. Avete una stanza da qualche altra parte? Qualunque sia il posto. Vi prometto che aspetterò fuori dalla locanda il messaggero e lei non sarà coinvolto per nessun motivo. Lo stava pregando. L’oste gli offrì un bugigattolo nascosto nelle stalle, di più non poteva fare e uscì.
Sir Power e il capitano raccolsero le loro poche cose e si nascosero in quel buco puzzolente e scomodo. Si davano il turno per dormire nell’unico letto, se così si poteva chiamare e ogni sera uscivano nascosti nell’ombra per aspettare quel maledetto messaggero che non si decideva ad arrivare.
Passò un’intera settimana prima che quello arrivasse. Lo videro arrivare e lo bloccarono prima che entrasse nella locanda. Si guardarono negli occhi senza parlare e si riconobbero. Velocemente sir Power ritirò la tanto attesa missiva e con il capitano rientrò.
Finalmente possiamo andarcene. Aspetto che si faccia buio pesto e vado al porto a vedere quando parte il nostro battello, prega il tuo dio, se ne hai uno che sia lì ad aspettarci, o con quello che abbiamo da trasportare, se ci scoprono ci tagliano la testa senza nessuna esitazione. Disse sir Power. Controlla i cavalli e tieniti pronto. Aggiunse prima di uscire.



 foto dal web - diritti e proprietà riservati di Milena Ziletti

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